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PIANETA TERRA...

AFRICA IN GUERRA. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, MASSIMA EMERGENZA. Nel Nord Kivu, al confine con il Rwanda, ormai gli sfollati sono quasi due milioni - a cura di Federico La Sala

"Nessuno può restare indifferente dinanzi ai drammatici fatti che stanno accadendo nel Congo"(Veltroni).
domenica 2 novembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il Congo non può essere lasciato solo. L’est della Repubblica democratica del Congo è teatro da diverse settimane di un tragico conflitto, residuo del genocidio di un milione di tutsi e hutu nel 1994, in Ruanda. La guerra civile si è scatenata fra i ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) guidati dal generale dissidente Laurent Nkunda, che affermano di agire per difendere la comunità tutsi, e le forze governative congolesi, accusate di collaborare coi (...)

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> AFRICA IN GUERRA. REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, MASSIMA EMERGENZA. --- In Congo soldati di Angola e Zimbabwe. L’allarme sul pericolo di allargamento delle ostilità lanciato da Ban Ki-moon.

sabato 8 novembre 2008


-  Le Nazioni Unite hanno raccolto prove della presenza dei reparti di Luanda e Harare
-  L’allarme sul pericolo di allargamento delle ostilità lanciato da Ban Ki-moon

-  In Congo soldati di Angola e Zimbabwe
-  L’Onu: "Il conflitto rischia di estendersi"

dal nostro inviato DANIELE MASTROGIACOMO *

GOMA - Ci sono anche reparti di soldati angolani e dello Zimbabwe nelle zone del conflitto in corso nel Nord del Kivu. Nei giorni scorsi erano circolate voci che denunciavano la presenza di gruppi armati stranieri. Ma come accade in ogni guerra, soprattutto africana, era difficile distinguere la nazionalità di chi combatteva o imbracciava un’arma. Le divise si cambiano e si gettano. Anche per evitare ritorsioni. Il fronte da queste parti è mobile. Cambia quasi ogni giorno. Ma stamane è arrivata una conferma autorevole: è stata l’Onu, attraverso i suoi portavoce, a riferire di aver raccolto prove sempre più convincenti sulla presenza, a fianco delle truppe dell’esercito regolare della Rdc, di soldati di Luanda e di Harare.

Alcuni militari angolani sono stati segnalati vicino al confine con il Ruanda, ma a un centinaio di chilometri da Goma, quindi nella parte più a nord del Kivu. La cosa non è stata confermata dalle autorità di Kigali impegnate a restare fuori dal conflitto, pur seguendo con molta apprensione quanto accade a due passi da casa. L’Angola è tradizionalmente legata al Congo. Per origini storiche, quando le sua parte settentrionale apparteneva al regno del Congo. Per affinità di interessi, visto che sono in molti a voler sfruttare l’enorme quantità di risorse minerali del paese. Ma l’arrivo sulla scena di consiglieri di altri eserciti è considerato, da molti osservatori, un segnale allarmante. Si rischia davvero di estendere il conflitto.

Il vertice di Nairobi non ha prodotto risultati rilevanti. E’ stato un incontro interlocutorio. Ma è servito a riassumere i nodi del contenzioso. Di fronte alle posizioni concilianti ma rigide sui torti e sulle ragioni dei diversi attori coinvolti nello scenario dei Grandi Laghi, al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon non è rimasto altro che chiedere un forte impegno internazionale. "Il conflitto in corso nel Nord del Kivu", ha annunciato davanti ai giornalisti, "rischia di allargarsi e di incendiare tutta la regione. Ci sono 250 mila sfollati ridotti allo stremo che non hanno assistenza e soccorso. I continui scontri attorno e a nord di Goma impediscono il lavoro delle organizzazioni internazionali. Chiediamo di nuovo l’apertura di un corridoio umanitario e la creazione di isole che tutelino la popolazione civile".

Le Nazioni unite accusano gli uomini del generale Laurent Nkunda del massacro di decine di civili. Alcuni caschi blu sono riusciti a raggiungere il villaggio di Kiwanja, 80 chilometri a nord di Goma, dove giovedì scorso c’era stata una furibonda battaglia. Conquistato dai ribelli del generale, il villaggio era stato poi attaccato dalle milizie dei Mai-Mai, da sempre nemici dei tutsi jomba, alla quale appartiene Nkunda e schierati al fianco dell’esercito congolese. I soldati dell’Onu hanno scoperto 11 fosse comuni con dentro 26 corpi, tra miliziani e civili. Il portavoce del Cnlp, Bertrand Bisimwa, non nega la circostanza. "Ci sono stati molti scontri, con armi anche pesanti. Abbiamo respinto l’assalto dei Mai-Mai e come sempre accade in questi frangenti la popolazione civile è rimasta tra due fuochi". Ma Bisimwa smentisce, nel modo più categorico, come ritiene l’Onu, che ci sia stato un rastrellamento nel villaggio e un’esecuzione dei civili sospettati di parteggiare per i Mai-Mai.

Difficile distinguere, provare, denunciare in situazioni come queste. Le guerre, da sempre, sono tratteggiate da orrore, violazione di diritti umani, torture, soprusi, angherie. A pagarne il prezzo sono i civili. Il dramma riguarda loro. Donne, vecchi e bambini che resistono come possono, vagando di campo in campo, rifugiandosi spesso nelle foreste per sfuggire alle battaglie, svuotando i villaggi che vengono regolarmente saccheggiati e dati alle fiamme.

La forte presa di posizione del segretario generale dell’Onu è arrivata dopo una serie di colloqui bilaterali al vertice di Nairobi. Oltre a Kenya, Tanzania, Uganda, Burundi, Sudafrica e Unione africana, erano presenti per la prima volta i due protagonisti della crisi: il presidente del Ruanda Paul Kagame e il suo omologo della Repubblica democratica del Congo Joseph Kabila. I due non si parlano da due anni, da quando la ribellione del generale Nkunda, ex ufficiale dell’esercito della Rdc, si è allargata al nord del Kivu. Kabila, figlio di Laurent Desirè Kabila, un personaggio di spicco del movimento di liberazione degli anni Settanta, poi assassinato in un attentato a Kinshasa, accusa il Ruanda di appoggiare indirettamente i ribelli del Cndp. Cosa che Kigali nega recisamente, sostenendo che l’attuale conflitto è una questione interna al Congo.

All’origine della guerra, quasi ininterrotta dal 1996, c’è la presenza delle milizie hutu interhawne del Fdlr, il Fronte democratico di liberazione del Ruanda. Si tratta di decine di migliaia di rifugiati fuggiti in Congo dopo aver partecipato attivamente al genocidio in Ruanda di un milione di tutsi e moderati hutu. Sistemati in enormi tendopoli, lungo il confine est del Congo, hanno vissuto in condizioni difficili e precarie. La maggioranza era composta da civili. Gente che aveva paura delle ritorsioni per il solo fatto di essere hutu. Ma consapevoli che le milizie della loro stessa etnia, anche queste presenti nei campi di rifugiati, si erano macchiate di massacri spaventosi. Per un paio d’anni, gli interhawne si sono abbandonati ad altre violenze e si sono accaniti soprattutto nei confonti dei congolesi di etnia tutsi che vivono nel Kivu. Dopo anni di guerriglia sotterranea, il genarale Nkunda decide si mettersi alla testa dei cogolesi tutsi. Lascia l’esercito regolare e si rifugia nel Kivu. Il conflitto riprende con scontri sempre più violenti. Fino al 2007 quando, sotto l’egida dell’Onu, viene firmato un accordo: il Congo si impegna a disarmare tutte le milizie presenti sul posto (tra le quali i famigerati Mai-Mai, che ieri hanno rilasciato un giornalista belga preso in ostaggio per due giorni), il Ruanda a far rientrare la popolazione hutu fuggita.

Nel vertice di venerdì questo aspetto è stato riaffrontato e i due ministri degli esteri di Congo e Ruanda si sono rinfacciati le responsabilità del fallimento. Crescono le critiche anche nei confronti della Moduc, la missione Onu in Congo. E’ infuriata la popolazione locale che non si sente difesa, sono insofferenti gran parte degli Stati dei Grandi Laghi. "Si spendono miliardi di dollari, sono presenti 17 mila caschi blu", ci diceva stamani il ministro dell’Informazione di Kigali, Louise Mushikiwabo. "E’ il più grande impegno delle Nazioni Unite. Eppure è stato fatto ben poco. Basta poco per spegnere l’incendio: bisogna applicare gli accordi di due anni fa. Disarmare tutte le milizie presenti nella regione, risolvere il problema del Fdlr, protagonisti del genocidio del 1994, rendere più trasparenti i contratti minerari per l’estrazione di materie prime".

L’Onu ha intenzione di chiedere una modifica delle regole d’ingaggio dei caschi blu. Più interventi armati, maggiore libertà nelle reazioni. Ma vuole anche conservare la sua posizione equidistante e reagire solo nei casi estremi. Una posizione difficile. Quasi una trappola. Che ha portato alle dimissioni, appena due mesi dopo la nomina, del comandante spagnolo Vincente Diaz di Villegas. Al suo posto è stato chiamato un senegalese, il generale Babacar Gaye.

* la Repubblica, 8 novembre 2008.


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