Diplomazia e Verità
di Gianfranco Ravasi (Il Sole 24-Ore, 7 luglio 2012)
Tra i pregevoli e a tratti sorprendenti discorsi al Cortile dei Gentili del 26 giugno sul dinamico e inquieto rapporto tra diplomazia e verità, vorrei richiamarne uno in particolare: quello di Hassan Abouyoub, ambasciatore del Marocco presso il Quirinale.
Ciò che egli ha affermato, infatti, dischiude una ricca messe di ragionamenti e proiezioni sul mondo attuale. Riporto alcune brevissime citazioni: «quando si tratta qualcosa con trasparenza - ha detto Abouyoub - c’è progresso»; e ancora: «la negoziazione non ha risolto i problemi del mondo. [...] Lavorare nella cornice del segreto è lavorare fuori della democrazia. [...] Il mondo è cambiato [anche perché, ndr] gli attori non statali giocano un ruolo pari a quello degli Stati sovrani».
Abouyoub ha di fatto introdotto un’idea di superamento dei cosiddetti arcana imperii, che sono sì i segreti di Stato, ma anche un modo antico di intendere l’agire politico secondo ragion di Stato.
Tale superamento, certo, non è irresponsabile e indistinta pubblicità di ogni fatto e rapporto, ma è incidenza del pubblico nei processi collettivi. In altre parole, il pubblico innerva i processi istituzionali spingendoli, per così dire, a cambiare natura.
La parola greca alètheia, che traduce verità , significa letteralmente assenza di nascondimento, dunque, per esteso, assenza di segreto. Come si combina, dunque, la verità come disvelamento con la necessità di riservatezza propria delle pratiche del potere? É questo un tema delicatissimo e fin troppo spesso preso a pretesto per muovere accuse anche viscerali a strutture giuridicamente valide secondo Stato di diritto o, per quanto mi riguarda direttamente, nei confronti dell’azione della Santa Sede.
Ora, se si pensa che tali affermazioni giungono da un importante esponente del mondo mediterraneo a prevalenza religiosa musulmana e culturale araba, da un’area - peraltro - scossa da sussulti sociali stupefacenti che si usa racchiudere nell’espressione “primavera araba” (beninteso, il Marocco non direttamente, e non in modo così prorompente), ebbene, tali dichiarazioni, ponendo l’enfasi sui concetti di “democrazia” e “trasparenza” rappresentano una svolta notevole nel modo di intendere l’azione pratica politica nel contesto attuale e futuro. Quella dell’ambasciatore Abouyoub è, insomma, una lettura descrittiva, cioè sociologica, ma anche filosofico-politica, nel senso che traguarda un orizzonte direi anche teoretico di elaborazione culturale.
Nel mondo arabo-musulmano la religione riveste un ruolo eminente nella configurazione politica, così, essendo ogni religione intimamente relazionata al movimento del concetto di verità, ciò che ha dichiarato l’ambasciatore non rappresenta forse anche un formidabile invito all’Occidente a guardare bene in faccia il profondo cambiamento che oggi riguarda la partecipazione politica?
Così, nel tempo della crisi economico-finanziaria e della evoluzione delle potestà sovranazionali, non è infine un invito a definire una nuova cultura e pratica politica (non ideologica) fondata su un rinnovato rapporto tra politica e religione, dunque in sostanza su una nuova idea di laicità? È una cosa sulla quale dover riflettere pienamente, specie se si guarda alla situazione europea e al movimento delle etnie e delle culture e mentalità nel mondo globalizzato.