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Galullo, libera nos

Sosteniamo Gratteri (Dda), Cisterna (Dna) e Lumia: i mafiosi nelle isole e inchieste mirate sui fuoriclasse della mafia

domenica 9 novembre 2008 di Emiliano Morrone
Dal blog di Roberto Galullo
Eccole qui - cari amici di blog - due proposte stagionate (gallina vecchia fa buon brodo) per capire veramente chi è dalla parte della legalità e chi no.
Visto che non c’è nulla di più inedito del già scritto (è un vecchio adagio giornalistico) vi sottopongo un test facile facile: basta barrare virtualmente la casella “sì” e non prendere neppure per un istante in considerazione la casella “no”.
Il test lo giriamo paro paro ai nostri (...)

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> Sosteniamo Gratteri (Dda), Cisterna (Dna) e Lumia: i mafiosi nelle isole e inchieste mirate sui fuoriclasse della mafia

domenica 9 novembre 2008
Integro il mio commento al Suo articolo per rispondere ai quesiti che solleva. Lei afferma che la preparazione professionale e culturale degli agenti è scarsissima. Mi chiedo da dove lo desuma. Forse non sa che nei concorsi per agente di Polizia penitenziaria è facilmente accertabile l’elevata partecipazione di candidate e candidati in possesso del diploma di Laurea e di diploma di scuola media superiore, titoli di studio in possesso di una buona percentuale del personale in servizio. Scarsa la preparazione professionale? Il corso di formazione per agente di polizia penitenziaria dura un anno, quello per sovrintendente sei mesi, quello per ispettore 18 mesi, quello di funzionario (ruolo direttivo) 12. Tutti corsi che si tengono nelle Scuole del Corpo e dell’Istituto Superiore di Studi penitenziari e che vedono tra gli altri, quali docenti, professori universitari, magistrati, esponenti della classe forense, alti ufficiali delle altre Forze di Polizia, dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria, specialisti, psicologi, psichiatri, criminologi. Lo sapeva? O pensa che siano proprio loro a fornirci una ‘preparazione professionale scarsissima’? E’ opportuno anche che sappia che 12 giornate all’anno di un appartenete alla Polizia penitenziaria sono riservate all’aggiornamento professionale. Scommetto che anche questo non lo sapeva. Ma un giornalista, prima di scrivere su qualcosa, non dovrebbe adeguatamente informarsi e documentarsi? Gli agenti sono ‘facilmente ricattabili’? Con questa squallida affermazione Lei offende non solo la Sua intelligenza e le donne e gli uomini del Corpo che quotidianamente lavorano in carcere con professionalità, alto senso del dovere e sprezzo del pericolo ma soprattutto tutti i nostri colleghi morti, uccisi dai terroristi e dai mafiosi, per avere rappresentato l’inflessibilità dello Stato nelle carceri del Paese. Vuole qualche nome? Ne è pieno, purtroppo, il nostro Martirologio, che può consultare sul sito internet ufficiale della Polizia penitenziaria. Un dato è incontrovertibile: nonostante la cronica carenza di organico (più di 4mila unità) e le mille difficoltà operative-strutturali, tra i detenuti, con compiti di sorveglianza e trattamento, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, c’è il personale di Polizia penitenziaria. Il carcere, oggi, è quasi come una discarica sociale, un grande magazzino dove la società, senza eccessive remore, continua a riversare tossicodipendenti, malati di AIDS, extracomunitari, malati di mente, pedofili, mafiosi e camorristi, prostitute, travestiti e transessuali, tutto ciò che non si vuole vedere sotto casa e nelle strade. In mezzo a loro, spesso isolato se non dimenticato, il più delle volte anche giovane, l’agente di Polizia penitenziaria, che deve rappresentare la dignità e la legalità dello Stato, la Legge. La rappresenta da solo, con la sua divisa, con la sua coscienza professionale, con il suo coraggio, con il suo rischio. Rappresenta, dunque, la Legge e la sicurezza della società. E questo fa delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria una ‘categoria corruttibile e avvicinabile’? Certo, se uno è un delinquente lo è a prescindere dal lavoro che fa, sia esso giornalista o quant’altro - anche poliziotto penitenziario. Ma siamo noi i primi a volere ‘cacciare’ dal Corpo questi delinquenti che infangano la divisa che indossano; siamo noi i primi ad arrestarli una volta scoperti. Non generalizzi: non è serio da parte sua. Rispetto ovviamente tutte le figure professionali che operano all’interno del carcere, ma sottolineo l’importanza del Personale di Polizia penitenziaria, perché è questo Personale che garantisce tutta una serie di attività realizzate nei momenti in cui non vi sono altri operatori penitenziari. Penso alla sera, quando può verificarsi un tentativo di suicidio (come si è verificato e si verifica, purtroppo, abbastanza frequentemente) o quando il detenuto riceve un mortificante telegramma dalla famiglia che incrina la sua serenità. In tali momenti, insieme a quel detenuto, non vi sono gli educatori o gli assistenti sociali, ma gli agenti di Polizia penitenziaria, pur risultando sotto organico rispetto al sovraffollamento di detenuti nelle carceri. Se il carcere è, in qualche misura, la frontiera ultima, la più esposta del sistema-giustizia, all’interno del sistema carcerario il personale di Polizia penitenziaria costituisce la barriera estrema. Siamo noi quelli che stanno in prima linea, che stanno nelle sezioni detentive, che stanno in contatto quotidiano con i detenuti 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, quelli cui viene affidato, dal nostro sistema giudiziario, un compito indubbiamente più complesso rispetto alle altre Forze di polizia, senza naturalmente nulla togliere al lavoro importantissimo svolto dai Colleghi e dalle Colleghe appartenenti a queste altre Forze dell’Ordine. E’ necessario metterlo in evidenza, perché la rivendicazione del ruolo, del significato, del prestigio e dell’importanza del Corpo di Polizia penitenziaria, di una sua professionalità crescente, di una sua dignità sempre più alta, deve partire dalla considerazione della specificità dei nostri compiti istituzionali. Allorché l’agente della Polizia di Stato, il Carabiniere o il Finanziere, che svolgono una funzione fondamentale per la difesa dello Stato e delle sue Istituzioni, nel corso della loro giornata lavorativa hanno un incontro con il nemico dello Stato, con il criminale (e quindi, Le chiedo, diventano anche loro di per se stesso ‘categorie corruttibili e avvicinabili’?) , si tratta di un incontro che è, per un verso, eventuale e peraltro, quando si verifica, limitato nel tempo. Si riduce al momento dell’arresto, della perquisizione, dell’interrogatorio. Viceversa, il compito dell’agente di Polizia penitenziaria, nel confronto anche e soprattutto fisico con chi rappresenta, in un modo o nell’altro, il nemico dello Stato, colui che ne ha violato le leggi, si svolge giorno dopo giorno, anche a Natale, Capodanno, Pasqua e Ferragosto, di notte, minuto per minuto. Questa è già, di per sé, la ragione di una difficoltà, di una complessità, di una tensione, la ragione vuoi pure di un rischio che non ha confronto. Mentre all’agente della Polizia di Stato, al Carabiniere o al Finanziere, lo Stato chiede -e si tratta di un incarico estremamente difficile, che ha a che fare principalmente con la sicurezza e la legalità- di catturare chi ha violato la legge e di rinchiuderlo in prigione, all’agente di Polizia penitenziaria -ecco la difficoltà e la specificità- affida compiti che talvolta sembrano tra loro in contraddizione. Egli deve, in quella frontiera esposta che è il carcere e, come dicevo, spesso isolato se non dimenticato, rappresentare la dignità e la legalità dello Stato. E’ lì, ripeto, solo e spesso di giovane età, a simboleggiare la Legge di fronte al nemico dello Stato. Lo fa, ribadisco, da solo, con la sua divisa, con la sua coscienza professionale, con il suo coraggio, con il suo rischio. Altro che ‘categoria corruttibile e avvicinabile’!. Il nostro Agente impersona, dunque, la Legge e la sicurezza della società, ma nello stesso tempo gli si chiede un’altra cosa: di far sì che il nemico diventi un amico. E’ un po’ la quadratura del cerchio. Non basta che egli rappresenti la sicurezza della società, deve esprimere anche la speranza, l’offerta di una possibilità di recedere dalla proprie scelte. Con una mano lo Stato rinchiude il detenuto e lo allontana dalla collettività, con l’altra lo invita a rientrarvi attraverso il recupero, la rieducazione, il reinserimento nella vita civile. Questo Agente dunque, molte volte solo, incompreso, dimenticato, rappresenta la legge dello Stato e la speranza della società, la punizione del delitto commesso, ma anche qualcosa di molto alto, che è l’essenza della civiltà e lo spirito della nostra Costituzione: vale a dire la fiducia nel fatto che colui che ha violato la legge non la violi più. Sarebbe una meschina vittoria se lo Stato non dovesse fare altro che punire quanti continuamente violano la Legge senza riuscire a riaffermare, presso costoro, i valori civili e la speranza umana. Si tratta di un compito che presenta difficoltà senza pari, un compito arduo e insieme straordinariamente nobile. Un compito che ci pone di fronte all’imperativo di fondo: l’essenza della Riforma del 1990, cioè la qualificazione professionale, l’innalzamento del livello di professionalità degli appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria che non hanno altre armi da contrapporre al nemico, al detenuto, se non la ricchezza delle proprie acquisizioni culturali e la complessità della formazione professionale. Si chiede alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria, a questi rappresentanti dello Stato, di fronteggiare il mafioso, il sequestratore di persone, il narcotrafficante, nei cui confronti dobbiamo rappresentare l’inflessibilità, la durezza, l’implacabilità della giustizia che si riafferma sul delitto. Allo stesso tempo ci viene domandato di avere a che fare con il tossicodipendente, di capire i drammi umani complessi, problematici, di intere generazioni di giovani che l’emarginazione e la disperazione hanno spinto sulla strada della droga. E i sieropositivi, i malati di mente... Quanti problemi umani, anche drammatici, dobbiamo ogni giorno affrontare! Ecco perché le sue parole sono ingiuste ed indegne. Perché offendono decine di migliaia di donne e uomini del Corpo di Polizia penitenziaria che quotidianamente svolgono con passione, professionalità, senso dello Stato un lavoro difficilissimo. Senza avere alcun riconoscimento sociale, come dimostrano le Sue ingiuste affermazioni. Pretendiamo rispetto per quello che facciamo seriamente e con onesta, a rischio della vita e dei nostri familiari.

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