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CRISI FINANZIARIA, ECONOMICA E POLITICA. CHE "PARADISO": UN LUNGO DEFICIT DI LOGICA E DI ETICA!!! Una riflessione di Ettore Gotti Tedeschi - a cura di Federico La Sala

domenica 9 novembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] La fiducia si fonda sulla condotta etica degli operatori e produce miglioramento della concorrenza, credibilità, motivazione e cooperazione; consente stabilità, garantendo valore finanziario all’impresa e permette sviluppo, stimolando creatività ed efficienza. Il mercato oggi chiede soprattutto certezze e rispetto delle regole: la scorrettezza nella finanza produce infatti un costo inaccettabile per la collettività. Ma per risanare l’economia e generare nuova fiducia è necessario (...)

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> CRISI FINANZIARIA, ECONOMICA E POLITICA. --- FESTIVAL DELL’ECONOMIA A TRENTO: GLI ECONOMISTI ALLA SBARRA (di Rosaria Amato).

sabato 30 maggio 2009


-  L’evoluzione dei mutui NINJA (non garantiti) nel mercato statunitense
-  la loro diffusione, le cartolarizzazioni a catena, la bolla immobiliare e il collasso

-  I subprime, dal sogno americano
-  al crollo della finanza internazionale

-  Le considerazioni di un’economista piacentina che insegna negli Stati Uniti
-  "In un mondo sempre più complesso, è indispensabile l’alfabetizzazione finanziaria"

dal nostro inviato ROSARIA AMATO *

TRENTO - E’ tutta colpa del sogno americano. Che, a sentire Annamaria Lusardi, piacentina, docente di economia negli Stati Uniti, al Dartmuth College, non è così diverso da quello italiano: gli americani vogliono una casa di proprietà. E per averla sono disposti a indebitarsi fino al collo, senza calcolarne le conseguenze perché non hanno le conoscenze finanziarie per farlo e perché, e questo sì, li differenzia invece dagli italiani, non hanno alcuna propensione al risparmio. Ma questo non basta per spiegare la disastrosa crisi dei mutui subprime, che ha innescato una recessione dalla quale il mondo stenta ancora a venir fuori.

Per capire come si è arrivati al disastro occorre anche capire come negli Stati Uniti si sono comportati le banche e gli altri istituti finanziari, e anche i governi. In poco meno di un’ora, al Festival dell’Economia di Trento, Anna Maria Lusardi ha ricostruito una sequenza di fatti che resta ancora un po’ oscura. E’ estremamente difficile, ha detto Lusardi, calcolare il prezzo di un mutuo subprime e valutarne il rischio. Su questi titoli strani, estremamente rischiosi, è stato costruito un gigantesco castello di carta che alla fine ha trascinato con sé i sogni e le speranze degli americani, e non solo le loro.

Ma è da lì che bisogna partire, ha sottolineato l’economista. "Solo nel 2004 Alan Greenspan sottolineava come ’l’innovazione ha portato ad una molteplicità di prodotti nuovi, come i mutui subprime’, lodati come uno strumento che permetteva anche ai "soggetti richiedenti più marginali di ottenere un prestito". Nell’ottobre del 2008 lo stesso Greenspan ammetteva: ’Questa crisi si è rivelata molto più grande di quanto avessi mai potuto immaginare. Si è trasformata da una crisi costretta da vincoli di liquidità in una crisi in cui ormai prevalgono i timori di insolvenza’.".

Cosa aveva permesso ai subprime di stravolgere il mercato? "Negli Stati Uniti un mutuo tipico ha la durata a 30 anni, prevalentemente a tasso fisso e finanzia l’80% dell’immobile, pur potendo arrivare al 95%. Per concederlo si valuta il punteggio di credito del mutuatario, il rapporto tra mutuo e valore dell’immobile e tra rata e reddito disponibile, la documentazione sul patrimonio del richiedente", ha spiegato Lusardi.

Al contrario, i mutui subprime si sono evoluti come prodotti ’Ninja’: No income, no job, no asset (il richiedente non era tenuto a presentare alcuna documentazione sul reddito, sul lavoro e sul patrimonio). Prestiti facili, insomma, per favorire chi non avrebbe avuto i requisiti ad ottenere un mutuo con tutte le garanzie del caso. D’altro canto, il subprime è un contratto capestro: "Quello più comune - spiega Anna Maria Lusardi - è il 2-28. E’ un ibrido perché ha un tasso fisso, inizialmente molto basso, che a partire dal secondo anno si trasforma in tasso variabile, di valore ben superiore rispetto a quello di mercato".

I subprime nel ’94 ammontavano a 35 miliardi di dollari, corrispondenti al 5% dei mutui accesi. Ma dal 2000 le cose cambiano, e nel 2005 si arriva a 600 miliardi di dollari, corrispondenti al 20% del mercato. Con percentuali maggiori di anno in anno, dal momento che, man mano che i prezzi delle case salivano, fino a raddoppiare, anche chi avrebbe avuto tutte le credenziali per avere un mutuo ’normale’ preferiva un subprime, per non sottostare alle forche caudine dei controlli.

I subprime venivano poi acquistati e cartolarizzati dalle due agenzie sponsorizzate dal governo federale, Fannie Mae e Freddie Mac: "Lo scopo era quello di incoraggiare l’estensione del credito alle comunità a reddito basso e modesto e sostenere l’acquisto di case di proprietà". Ma dal 2006 i prezzi delle case invertono il segno, con molta più rapidità rispetto all’aumento. Se in cinque anni i prezzi erano raddoppiati, ha ricordato la professoressa Lusardi, in circa due anni si dimezzano, e così gli americani si ritrovano con un mutuo dal valore più alto di quello della casa. Tanto che, a quel punto, "conviene la bancarotta": non ha senso continuare a pagare una casa che vale molto meno delle somme esorbitanti che si è costretti a pagare. Ed è la rovina.

Il resto è storia nota. Le banche in drammatica crisi di liquidità, i discussi salvataggi del governo americano e gli ancora più discussi salvataggi mancati, come quello di Lehman Brothers. Operazioni che non convincono i cittadini americani: la professoressa Lusardi ha mostrato al pubblico di Trento una vignetta nella quale si vede un bagnino con una canotta con su scritto The Fed (Federal Reserve, la banca centrale Usa) che tutto felice porta via dall’acqua un pescecane, ’lenders’ (prestatori, cioè le banche, gli istituti della galassia finanziaria), mentre i mutuatari insolventi affondano disperati nel mare in tempesta.

Cosa si sarebbe potuto fare per evitare tutto questo? Anna Maria Lusardi ha una sua personale ricetta, condivisa peraltro anche da molti economisti italiani: l’alfabetizzazione finanziaria rende i cittadini consapevoli delle proprie scelte, evita che facciano scelte dannose per se stessi e per il mercato. Ma basta per spiegare la crisi dire, statistiche in mano, che i cittadini americani erano e sono (del resto come quelli italiani, anche la Banca d’Italia e l’Abi possono esibire statistiche altrettanto scoraggianti) più che ignoranti in materia finanziaria? Oppure, come ha obiettato uno studente, "è al medico che tocca dire al paziente che cos’ha e quali medicine deve prendere, e non al malato capire i sintomi e farsi una prescrizione?".

"Bisogna iniziare seriamente a porsi il problema di avviare un programma di educazione finanziaria. - ha ribadito con forza Anna Maria Lusardi - Le banche hanno probabilmente dato il via alla crisi e ne sono state coinvolte, dando capitali a prestito a persone che non offrivano sufficienti garanzie. E i broker si sono sicuramente arricchiti alle spalle dei consumatori. Tuttavia la responsabilità è diffusa. In un mondo in cui i meccanismi sono sempre più complessi e cresce il rischio di speculazioni, la conoscenza finanziaria è indispensabile".

* la Repubblica, 30 maggio 2009)


-  Al Festival dell’Economia di Trento un "tribunale" giudicherà gli studiosi
-  accusati di non aver seguito gli sviluppi della finanza. Chiesta la condanna a 7 anni

-  Gli economisti alla sbarra
-  "Non hanno compreso la crisi"

-  Applicavano regole vecchie a un sistema che in pochi anni era stato rivoluzionato?
-  Oppure sono stati Cassandre inascoltate, e le colpe del collasso sono altrove?

-  dal nostro inviato ROSARIA AMATO

TRENTO - Gli economisti sono colpevoli di non aver previsto la crisi economica innestata dai mutui subprime? Perché non hanno denunciato le anomalie e le distorsioni del mercato che hanno portato alla recessione l’intero pianeta? Perché non avevano le conoscenze necessarie per rendersene conto, è la tesi dell’economista Roberto Perotti, professore alla Bocconi, ex consulente della Banca Mondiale e della Banca Centrale Europea.

A Perotti è toccato l’ingrato compito di sostenere la pubblica accusa nel processo che stamane a Trento, al Festival dell’Economia, si è tenuto contro gli studiosi. La difesa è stata sostenuta da un altro economista, Luigi Guiso, professore all’European University Institute di Firenze, che ha chiamato a testimoniare due colleghi, Nicola Persico e Nouriel Roubini, celebrato proprio perché invece lui la crisi l’aveva prevista eccome, però lanciare l’allarme per tempo non è servito a nulla.

Questo perché, ha sostenuto Guiso davanti alla giuria, costituita da studenti della Facoltà di Economia di Trento, prevedere le crisi non è come prevedere i terremoti: "I collassi finanziari, a differenza delle città, non sono evacuabili". E quindi, paradossalmente, "Se anche gli economisti avessero potuto prevedere la crisi...forse sarebbe stato meglio non dirlo: l’unico risultato che avrebbero ottenuto sarebbe stato di anticipare il collasso".

Accusa e difesa, nel tribunale allestito nella Sala Depero del Palazzo della Provincia, si sono comunque trovati d’accordo su una tesi: la crisi in senso stretto non era prevedibile, nel senso che conoscere il giorno, o il periodo preciso nel quale l’economia subisce un tracollo, uno shock violento, è impossibile, così come lo è conoscere in anticipo il giorno e l’ora di un terremoto. E quindi in questo senso ha torto chi, come hanno fatto anche diversi esponenti politici, punta il dito contro gli economisti.

Ma qui finiscono le analogie tra accusa e difesa. Secondo Perotti gli economisti sono senz’altro da condannare (anche se la condanna chiesta non è troppo pesante, "sette anni di reclusione, perché con meno di cinque anni in Italia non si va neanche in galera, e almeno un anno al fresco gli economisti se lo meritano"), perché, quando la crisi è esplosa, hanno continuato ad annaspare: non ne hanno compreso appieno le ragioni, non hanno saputo indicare le vie per affrontarla al meglio. E la ragione è semplice: non conoscevano a sufficienza, o forse non conoscevano affatto, il mondo della finanza. I subprime e le loro evoluzioni, i problemi legati alla senior tranche, le mille vie delle cartolarizzazioni per cui i titoli diventavano irriconoscibili persino agli stessi emittenti.

Una finanza di carta, misteriosa persino per chi avrebbe avuto tutta la convenienza oltre che il dovere di conoscerla a fondo, dal momento che su essa poggiavano le proprie personali fortune, oltre che le sorti del sistema finanziario e in definitiva dei paesi: i manager delle banche, delle società finanziarie, i broker. Doppia colpa per gli economisti: non aver capito che il bandolo della matassa era stato perso da quegli stessi che avevano iniziato a dipanarla. "Negli ultimi anni c’era stata un’enorme evoluzione del mercato del credito - ha dichiarato Perotti, in un sofferto e interminabile J’accuse, rivolto anche a se stesso ("neanch’io avevo capito niente") - che aveva dato luogo a un vero e proprio sistema bancario ombra, che si finanziava con strumenti nuovi ad alto rischio, a scadenza giornaliera. Al tempo stesso, le banche erano arrivate a detenere una sempre maggiore quantità di titoli cartolarizzati".

Mentre gli economisti dormivano sonni tranquilli, ha ricostruito Perotti, ritenendo che i manager sapessero quello che stavano facendo, e che le istituzioni finanziarie fossero nelle mani di illustri studiosi, a cominciare da Ben Bernanke, a capo della Federal Reserve Usa, il sistema finanziario accumulava tossine che a un certo punto hanno provocato il collasso, unite alla bolla immobiliare. "Non ci eravamo resi conto che questi titoli erano molto più rischiosi di quello che pensassimo". Peggio, neanche le banche se n’erano rese conto: "Credevamo di essersi assicurate, e lo erano, per il rischio singolo, non certo contro un problema sistemico".

Insomma, il mondo era cambiato in pochissimo tempo, e gli economisti applicavano regole pensate per situazioni ormai morte e sepolte, come la Taylor rule, uno dei principi cardine della politica monetaria. "Oltre a non comprendere cosa stava succedendo nel mercato del credito - ha concluso Perotti - siamo stati incapaci di comprendere le conseguenze del tracollo per il mondo dell’economia". E infine, non hanno neanche fatto autocritica. Condanna, senza appello.

Una tesi condivisa dal giornalista Roberto Petrini, che stamane ha presentato al Festival dell’Economia il suo ultimo libro, che s’intitola proprio "Processo agli economisti": "Ci si ostina a considerare la finanza come un mero insieme di dati, di modelli, di equazioni matematiche. Un atteggiamento miope che impedisce di vedere più lontano". E da Nouriel Roubini, che ha sottolineato come è difficile che un economista abbia una visione così ampia che vada dalla macroeconomia alla finanza, l’unica però che avrebbe potuto permettere di prevedere in qualche modo le conseguenze di un mercato drogato.

Ovviamente opposta la tesi della difesa, secondo la quale molti economisti hanno invece previsto la crisi. Soprattutto, l’hanno prevista gli studiosi ai quali le istituzioni finanziarie internazionali avevano dato il compito di monitorare il mercato, a cominciare da Raghuram Rajan, capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale. O la meno famosa Jane Eberly, macroecononista statunitense che diversi anni prima dell’esplosione della crisi aveva pubblicato uno studio dal titolo eloquente: "Il credito al consumo sarà il tallone d’Achille dell’economia americana?". E, tra gli italiani, il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Il torto, secondo il testimone Nicola Persico, è di non avere ascoltato queste autorevoli voci, e di essersi affidati invece a soggetti molto meno adatti a dare consigli in materia.

Guiso ha citato economisti che ammonivano i banchieri: "Come si chiede a un padre se sa dove siano i suoi figli, si chiedeva ai senior manager se sapessero chi e dove deteneva i loro rischi". Accusare gli economisti, ha osservato Guiso, fa gioco ai politici: meglio zittire una categoria che non fa altro che pontificare sulla spesa pubblica e sulla politica economica, spesso criticando le scelte di chi governa. Al massimo, ha concluso nella sua arringa, gli economisti si meritano uno scappellotto, non certo una condanna alla detenzione...

La sentenza verrà resa pubblica domani a mezzogiorno. E subito dopo in tribunale la corte giudicherà altre due categorie fortemente sotto accusa per non aver saputo governare la crisi: i controllori e i politici.

* la Repubblica, 30 maggio 2009


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