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EVANGELO = BUONA NOVELLA. DIO E’ AMORE (Charitas) non "MAMMONA" (Benedetto XVI, "Deus CARITAS est", 2006). "DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo Maria Martini)!!!

VERITA’ ("EMET") E MORTE ("MET"): AMORE E "MAMMONA". IL GOLEM, IL TITOLO DELLA PRIMA ENCICLICA DI PAPA RATZINGER E LA FINE DEL CATTOLICESIMO ROMANO. Due note per una riflessione - a cura di Federico La Sala

martedì 11 novembre 2008 di Maria Paola Falchinelli


Golem *
Il Golem (ebr. גולם) è una figura immaginaria frutto della mitologia ebraica e del folklore medievale. Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica gelem che significa "materia grezza", o "embrione". Esso fa la sua prima apparizione nella Bibbia (Antico Testamento, Salmo 139:16) per indicare la "massa ancora priva di forma", che gli Ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse infusa l’anima.
Indice (...)

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> VERITA’ ("EMET") E MORTE ("MET"): AMORE E "MAMMONA". --- La storia del Golem: «Ogni trentatré anni all’incirca si ripete nelle nostre viuzze un avvenimento» (di Gustav Meyrink - da "Il golem").)

mercoledì 31 maggio 2023

La storia del Golem

di Gustav Meyrink

"«Non so proprio da dove cominciare,» disse il vecchio esitando, «la storia del Golem è difficile formularla. Come prima diceva Pernath: di sapere esattamente qual era l’aspetto di quello sconosciuto, e tuttavia di non riuscire a dipingerlo.
-  Ogni trentatré anni all’incirca si ripete nelle nostre viuzze un avvenimento, che in se stesso non ha proprio niente di particolarmente allarmante e tuttavia riesce a propagare uno spavento per il quale non si possono trovare né spiegazioni né giustificazioni.

Succede cioè ogni volta che un uomo assolutamente sconosciuto, privo di barba, dalla faccia gialla e tratti mongolici, provenendo dalla via della Vecchia Scuola [Altschulegasse], vestito di stinti abiti fuori moda, con un’andatura inciampicante in modo specialissimo e uniforme come se ad ogni attimo dovesse cadere in avanti, attraversa il quartiere ebraico e d’un tratto si rende invisibile.

Di solito svolta in un vicolo, e scompare. Una sola volta si dice che abbia descritto con il suo cammino un cerchio, ritornando al punto da cui era partito: una vecchissima casa nei pressi della sinagoga.

Alcuni, particolarmente eccitabili, pretendono poi di averlo visto svoltare a una cantonata e venir loro incontro. Ma per quanto fosse evidentissimo che stava camminando verso di loro, pure, esattamente come qualcuno la cui sagoma si perda in lontananza, si era fatto sempre più piccolo, sempre più piccolo, sinché alla fine era svanito del tutto.

Particolarmente profonda dev’esser stata l’impressione da lui suscitata sessantasei anni fa, poiché mi ricordo ero ancora un bambino di pochissimi anni che la gente rovistò quella casa di via della Vecchia Scuola [Altschulegasse] da cima a fondo.

Si appurò anche che in quella casa c’è davvero una stanza con una finestra munita d’inferriata e priva di qualsiasi accesso. Per averne la prova dalla strada, si era appesa della biancheria a tutte le finestre, e risultò chiaramente che quella stanza effettivamente esiste. Non essendoci altra maniera di arrivarci, un uomo si era lasciato scivolare lungo una corda dal tetto per guardar dentro. Ma non era ancor arrivato all’altezza della finestra, che la corda si spezzò, e l’infelice si fracassò il cranio sul selciato. E quando più tardi pareva doversi ripetere il tentativo, i pareri circa l’ubicazione della finestra si rivelarono così contrastanti, che non se ne fece nulla.

Quanto a me, ho incontrato il Golem per la prima volta in vita mia circa trentatré anni fa. Egli mi venne incontro in una casa a due uscite, ricordo che quasi ci buttammo uno addosso all’altro dallo spavento. Ancor oggi non riesco a comprendere che cosa allora sia avvenuto in me. Grazie a Dio, non è che si vada continuamente in giro con l’idea che s’incontrerà il Golem.

Ma in quell’istante preciso, ne sono certo, certissimo, un attimo prima di scorgerlo, qualcosa in me esplose in un urlo straziante: il Golem! E in quel medesimo istante qualcuno uscì inciampicando dall’oscurità del corridoio, e lo sconosciuto mi passò vicino. Un attimo dopo mi si riversò contro una marea di volti pallidi, eccitati, e tutti a chiedermi incalzanti se l’avessi visto.

Come risposi, sentii che la lingua mi si disimpastoiava, come liberata da uno spasmo di cui non m’ero affatto accorto. Ero sorpresissimo di potermi muovere, e mi resi perfettamente conto che, sia pure per una frazione di secondo, dovevo essermi trovato in una specie di rigidità catalettica.

Ho in seguito più volte riflettuto su tutto questo; mi sembra che alla verità maggiormente ci si avvicini ammettendo tranquillamente che una volta per generazione una specie d’epidemia spirituale si diffonde fulminea per il quartiere ebraico e s’impadronisce degli animi dei viventi per uno scopo che ci resta oscuro, facendo scaturire dal nulla la sagoma di un essere caratteristico, vissuto forse secoli fa in queste contrade e agognante di riprender forma e consistenza.

Forse quest’essere è in mezzo a noi, in ogni momento, senza che noi lo percepiamo. Come del resto non udiamo il suono di un diapason in vibrazione, se lo strumento non è a contatto con la cassa di risonanza che fa vibrare. Non si tratta forse d’altro che di un artifizio psichico, senza immanente coscienza un artifizio che nasce allo stesso modo che il cristallo trae origine dall’informe secondo leggi eternamente uguali.

Chi lo sa? Un po’ come nelle giornate d’afa, quando la tensione elettrica s’accumula sino ad un grado intollerabile e alla fine esplode nel fulmine: analogamente, potrebbe benissimo essere che l’incessante accumularsi di quei pensieri sempre uguali che vanno avvelenando l’aria del ghetto sfoci in una scarica improvvisa e intermittente qualcosa come un’esplosione psichica che viene in pieno giorno a frustare la nostra coscienza trasognata e come nel primo caso si forma il lampo in cielo, nel secondo ecco lo spettro, che nelle sembianze, nell’andatura, nel contegno, in tutto potrebbe essere l’inequivocabile personificazione dell’anima della massa, solo che fossimo capaci di interpretare esattamente il linguaggio segreto delle forme.

E al modo che svariati fenomeni annunciano lo schianto della folgore, anche qui certi orribili segni premonitori tradiscono il minaccioso irrompere di quel fantasma nel dominio dell’azione. Ecco allora la screpolatura dell’intonaco di un vecchio muro prender la forma di un uomo che cammina, le figure di ghiaccio sui vetri delle finestre stranamente configurarsi come lineamenti di volti irrigiditi. La sabbia sembra cadere dal tetto diversamente dal solito e il sospettoso osservatore subito pensa sia un’intelligenza occulta e invisibile a buttarla giù in strada, sforzandosi segretamente di comporre con essa ogni genere di bizzarri contorni.

Mettetevi a guardare l’intreccio uniforme di una stoffa o le ineguaglianze della pelle, e sarete sopraffatti dalla poco piacevole constatazione che state scorgendo dappertutto forme significative, ammonitrici, che nel sogno si dilatano a dimensioni gigantesche. E attraverso tali tentativi che i greggi accalcati dei nostri pensieri fanno di guadagnar un varco nelle staccionate della quotidianità, trascorre, rosso filo indicatore, la coscienza tormentosa che il nostro io più intimo e segreto viene con premeditazione e contro la nostra volontà succhiato, divorato, solo perché la figura del fantasma possa acquistare plastica consistenza." (Gustav Meyrink, "Il Golem").


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