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ITALIA. CARTA COSTITUZIONALE E CARTA DI IDENTITA’ PERSONALE....

DOPO LA DISASTROSA SCONFITTA, BERTINOTTI CERCA DI PENSARE "DA DOVE RIPARTIRE" E PROPONE 15 TESI. MA A CHI?! HA PERSO LA SUA CARTA D’IDENTITA’ E ANCORA NON SI E’ RESO CONTO DI AVERLA PERSA!!! Queste le tesi - a cura di Federico La Sala

giovedì 13 novembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
Dopo la sconfitta della sinistra e gli gli eventi che in questi mesi hanno
profondamente cambiato la scena della politica
Da dove ripartire?
15 tesi
per la sinistra
di Fausto Bertinotti *
1. Dopo la disastrosa sconfitta elettorale e la cancellazione della sinistra in Italia si è posta l’esigenza inderogabile della sua rinascita. Il rischio, in caso contrario, è la sua scomparsa dal panorama politico del paese per un lungo periodo.
2. Da allora, in pochi mesi, sono (...)

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> DOPO LA DISASTROSA SCONFITTA, BERTINOTTI CERCA DI PENSARE "DA DOVE RIPARTIRE" E PROPONE 15 TESI. MA A CHI?! --- Commenti di Mateo Bartocci e di Luca Telese.

venerdì 14 novembre 2008


-  Bertinotti frena la scissione. Alle europee sinistra unita
-  Nelle tesi dell’ex segretario liste aperte sotto la falce e martello

di Matteo Bartocci (il manifesto, 13.11.2008)

Quindici tesi per la sinistra. Oggi su Liberazione Fausto Bertinotti prova a riprendere il filo unitario rotto con la disastrosa sconfitta di aprile. Non per marcare le differenze e sollecitare scissioni di corrente ma per ritrovare «l’uscita a sinistra dalla crisi del movimento operaio del ’900». Come titolo alle sue tesi Bertinotti riparte da se stesso agli stati generali di dicembre: «Per imparare a nuotare bisogna buttarsi in acqua», disse allora alla Fiera di Roma prima del disastro arcobaleno e ripete oggi, con un aforisma che Google attribuisce nientemeno che al guru Sai Baba.

E’ un invito all’unità della sinistra, a tutta la sinistra, a costruire quel big-bang necessario alla sua rinascita. Tesi dove la parola comunismo non è indicibile ma nondimeno deve essere maneggiata con cura. In una sinistra in cui le identità contano e vengono da lontano ma devono avere il coraggio di «fare massa critica» se vogliono ambire a trasformare la società. E’ una sinistra che deve tornare a imparare, andando a lezione dal movimento della scuola, e ritrovare voce sul terreno sindacale (con la Cgil in primis) e su altre contraddizioni fondamentali, oltre a quella generata dal capitale, come quelle ambientale e di genere. Nelle ultime due tesi la lunga analisi sulla società e la sconfitta epocale di aprile precipitano nel futuro e nella forma della possibile reazione. Si legge chiaramente l’invito a un’impresa comune per una «forza politica unitaria e plurale così com’è oggi possibile» e a scegliere le primarie o comunque la partecipazione «una testa, un voto» per decidere tutto, a cominciare dai gruppi dirigenti. Non è il là alla scissione di Rifondazione verso Sinistra democratica. Né certamente la sua sconfessione. E’ la prima forma pubblica, certo autorevole, della tregua che un po’ goffamente l’area Vendola ha chiesto e ottenuto all’interno del partito pur impegnandosi ufficialmente nell’associazione con Fava e compagni.

Una tregua che per Bertinotti può prendere due forme. In alto, alle elezioni europee, con una lista nazionale in cui, dice, è preziosa l’esperienza della Sinistra europea. Un precedente dove, anche se l’ex segretario non lo ricorda esplicitamente, la metà delle liste furono di iscritti al Prc e l’altra metà aperta all’esterno (movimenti, associazioni e stavolta, chissà, anche altri partiti o pezzi di essi) fino al clamoroso successo del «disobbediente» Nunzio d’Erme. In basso, insiste però Bertinotti, l’unità si può fare con un modello federativo dove rappresentanze territoriali e direzione centrale contino allo stesso modo (una sinistra lombarda, pugliese, etc. accanto a quella nazionale).

Per le reazioni bisognerà attendere. Martedì intanto una riunione dell’area vendoliana «Rifondazione per la sinistra» ha registrato molti dissensi alla scissione. E non è da escludere nei prossimi giorni un documento pubblico firmato soprattutto da dirigenti di federazione ostili al salto nel buio fuori dal partito. L’idea prevalente, in questa fase piuttosto confusa, è di insistere per liste unitarie alle europee senza precludersi, là dove è possibile, liste di sinistra dal basso insieme a Sd e Verdi. Per esempio a Firenze, in Basilicata o a Bari. Ma è un doppio binario che sicuramente troverebbe l’ostilità di tutta la maggioranza di Rifondazione inclusa la componente ferreriana. Ieri sera il segretario nulla sapeva delle tesi di Bertinotti in uscita sul quotidiano del suo partito. Ma certo è che almeno per Ferrero dal congresso di Chianciano è uscito con chiarezza da un lato il no alla riproposizione dell’Arcobaleno, dall’altro il sì all’apertura delle liste di Rifondazione a soggetti comunisti e non comunisti. Sotto la falce e martello molto è possibile. Ma come spiega uno dei dirigenti a lui più vicini «non si può proprio fare che si chiede una tregua per le europee e poi ci si mette a fare la guerricciola alle amministrative dove si può». La sinistra, del resto, ha già dimostrato di buttarsi nell’acqua e finire per affogare.


Il «Berti-bossi» seppellisce il comunismo

di Luca Telese (Il Giornale, 14.11.2008)

Roma. Quindici tesi per rifondare la sinistra, scritte in una lingua di mezzo, a metà fra il «bertinottese» stretto e il «neopadano». C’è qualcosa di curioso nel percorso di «reinserimento» di Fausto Bertinotti nella società, dopo la traumatica (per lui) esperienza alla presidenza della Camera. Certo, non è facile per nessuno: per provarlo basta ricordare la parabola dolorosa di Irene Pivetti, che transitò in meno di un mese dai foularini color pastello ultra-istituzionali, alla passerella in camicia verde ultraleghista, alla fondazione di un partito di cui non si ricorda più nessuno (l’Orso!), all’ipotesi centrista della lista Dini, per approdare a una nuova vita televisiva con rubrica delle lettere del cuore su La7, fino alla conduzione di prime serate Mediaset, e servizi fotografici vestita in lattice nero come Catwoman, o accompagnata dai pettorali scolpiti di Costantino Vitagliano. Si dirà: a Bertinotti è andata meglio. Una trombatura sontuosa come candidato premier della lista Arcobaleno e il faticoso tentativo di ritagliarsi il ruolo di «grande saggio» a sinistra.

Percorso non impossibile: poche interviste mirate, la direzione di una pensosa rivista (Alternative), qualche centellinata riflessione da leader super partes. Senonché il digiuno mediatico è difficile per tutti. Dopo uno struggente addio ai monti, o meglio a Porta a Porta («È la mia ultima puntata, mi ritiro dalla politica»), l’astinenza dal palcoscenico è faticosa. Così Bertinotti non resiste agli inviti del suo amico Massimo Fagioli, e le sue folle di «fagiolini» (gli ultimi che non gli lesinano applausi). E nemmeno alle richieste di intervista di Bruno Vespa. Così Bertinotti aveva appena archiviato la disastrosa sconfitta subìta al congresso di Rifondazione (il suo candidato, Nichi Vendola, è stato messo incredibilmente in minoranza con il 47%, anche e sopratutto per l’ostilità che si era accumulata contro di lui) ha fatto un altro scivolone imperdonabile agli occhi degli ex compagni: ha incautamente dichiarato - in una intervista per l’ultimo libro di Bruno Vespa Viaggio in una italia diversa - che «il comunismo è ormai indicibile». Ora, a parte che Vespa è uno che ai politici italiani riesce a strappare qualunque cosa, i militanti del Prc non l’hanno presa bene, e Bertinotti è a rischio fischiaggio in molte sedi del suo partito (gli è successo anche il 12 ottobre al corteo antigovernativo promosso da Rifondazione).

Incivili, certo. Ma per tornare a «volare alto» Fausto doveva trovare il modo di far dimenticare quelle revisioni vagamente gossipare dell’utopia comunista. Così, ieri, su Liberazione, ha pubblicato il suo nuovo manifesto, una sorta di vademecum per risollevare le sorti della sinistra. E qui, per chi si è pazientemente letto la doppia lenzuolata bertinottiana, qualche sorpresa è arrivata. Per esempio alla tesi numero 8): «Era già evidente dopo la sconfitta che la rinascista della sinistra sarebbe dovuta essere, in realtà, un cominciare da capo. Tutto ciò che accade, avvalora questa tesi. Il rinnovamento nella continuità che sarebbe stato possibile fino a ieri - avverte Bertinotti - oggi è impossibile». Seconda doccia scozzese per i militanti, al punto 11): «Si tratta di ricominciare da capo... Non sarà un caso che nel rinascimento della sinistra latinoamericana, nessuna grande formazione politica che lì ha condotto alla vittoria, nei diversi Paesi, la sinistra e i popoli del continente si chiami comunista». Quindi, se mai non fosse chiaro, l’ennesimo certificato di morte per la storia politica del «comunismo». Punto 12) «Il Pd non è di sinistra, non per la composizione della sua base sociale, ma per la natura intrinseca del partito e del suo progetto politico». Nostalgie uliviste? Macché, al punto 13) Bertinotti stila un altro certificato di decesso, quasi impietoso: «Il centrosinistra è finito, ed è finito insieme alla sua tormentata, speranzosa, ma al fondo fallimentare stagione». Caspita.

Ma è il punto 15), l’ultimo, quello che stupisce più di tutti, non solo per il contenuto politico, ma addirittura per le scelte lessicali. Se non ci fosse la firma di Bertinotti, infatti, leggendo un singolo passo, sembrerebbe di sentire parlare Umberto Bossi, il leader del Carroccio in persona. Scrive infatti Bertinotti: «Il centralismo romanocentrico, figlio non più dell’esigenza nazionale di una formazione compatta di combattimento, bensì della governamentalità, e della centralità delle istituzioni della politica va spezzato in radice, dalle fondamenta». Morale della favola? «Va fatta, nell’organizzazione della politica della sinistra - scrive Bertinotti - la scelta di un modello federativo partecipato, fondato sulla pianificazione dei ruoli dirigenti tra autonome strutture regionali, la sinistra sarda, campana, lombarda, toscana, pugliese, eccetera». Parola di Fausto Bertinotti - pardon - Bertibossi.


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