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LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E UN CITTADINO CHE RUBA IL NOME DI TUTTO UN POPOLO E LO USA PER FARNE UN PROPRIO PARTITO PERSONALE ...

PER LA SCUOLA, PER L’UNIVERSITA’, E PER IL BUON USO DELLA LINGUA DI TUTTA L’ITALIA - DEL PASSATO, DEL PRESENTE E DEL FUTURO!!! Rimuovere la lunga e devastante offesa alla dignità delle Istituzioni e di tutti gli italiani e di tutte le italiane - l’esistenza di un Partito dal nome "Forza Italia", "Popolo della Liberta’". Un appello - di Federico La Sala

Che il Presidente della Repubblica svegli Berlusconi dal ’sogno’ di essere il presidente d’Italia, con il suo partito "Forza Italia", con il suo partito "Popolo della libertà"!!!
martedì 9 marzo 2010 di Maria Paola Falchinelli
[...] L’ITALIA HA UN SOLO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
E LA PAROLA "ITALIA" E’ COSTITUZIONALMENTE SOLO SUA.
NESSUNO PUO’ APPROPRIARSENE PER FARNE PAROLA DI PARTITO O SCUDO PER COPRIRE INTERESSI DI PARTE, COME E’ AVVENUTO E CONTINUA AD AVVENIRE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI I CITTADINI E DI TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA [...]
COSTITUZIONE, LINGUA E PAROLA.....
Che il Presidente della Repubblica svegli Berlusconi dal ’sogno’ di essere il presidente d’Italia, con il suo partito "Forza Italia", con (...)

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> PER LA SCUOLA, PER L’UNIVERSITA’, E PER IL BUON USO DELLA LINGUA DI TUTTA L’ITALIA - DEL PASSATO, DEL PRESENTE E DEL FUTURO!!! --- L’Italia rischia, molto più che negli anni Cinquanta, di rimanere esclusa definitivamente dal gruppo di Paesi che concorrono al progresso scientifico e civile (di Renato Dulbecco)..

mercoledì 19 novembre 2008


-  È il momento di cambiare
-  Noi, costretti a regalare il cervello all’estero

di Renato Dulbecco (la Repubblica 19.11.2008)

HO LASCIATO il mio Paese nel 1947, a soli 33 anni, per gli Stati Uniti, per poter sviluppare le ricerche scientifiche che mi hanno fatto meritare il Premio Nobel per la Medicina, molti anni dopo, nel ’75. Oggi mi fa male vedere che, dopo oltre 60 anni, la situazione di crisi della ricerca scientifica in Italia non è cambiata, anzi. Lo dimostrano i più di mille ricercatori italiani sparsi per il mondo che hanno già riposto all’appello di questo giornale e che hanno dovuto, come me, lasciare il Paese per dedicarsi alla scienza. Il mio rammarico non è una questione di nazionalismo: la scienza per sua natura ignora il concetto di Patria, perché è e deve rimanere universale. Anzi, penso sia importante per uno scienziato formarsi all’estero e studiare in una comunità internazionale. Tuttavia dovrebbe anche poter scegliere dove sviluppare le sue idee e i frutti del suo studio, senza dover escludere del tutto il Paese dove è nato. Ciò che mi dispiace profondamente è toccare con mano l’immobilismo di un’Italia che sembra non curarsi della ricerca scientifica, esattamente come nel dopoguerra.

Come se più di mezzo secolo di esplosione del progresso scientifico fosse passato invano. Chi vuole fare ricerca se ne va, oggi come ieri, per gli stessi motivi. Perché non c’è sbocco di carriere, perché non ci sono stipendi adeguati, né ci sono fondi per ricerche e le porte degli (ottimi) centri di ricerca sono sbarrate perché manca, oltre ai finanziamenti, l’organizzazione per accogliere nuovi gruppi e sviluppare nuove idee. Perché non esiste in Italia la cultura della scienza, intesa come tendenza all’innovazione che qui, negli Stati Uniti, è privilegiata in ogni senso ed è il motore del cambiamento.

Ciò che è cambiato concretamente, rispetto ai miei tempi, è che la ricerca scientifica, spinta dalla conoscenza genomica che è stata al centro del miei studi e oggi rappresenta il futuro, richiede molti più investimenti in denaro e persone rispetto a 60 anni fa. Si allungano così le distanze fra Paesi che investono e quelli che non lo fanno. L’Italia rischia, molto più che negli anni Cinquanta, di rimanere esclusa definitivamente dal gruppo di Paesi che concorrono al progresso scientifico e civile.

Io sono uno scienziato e non ho la ricetta per salvare la ricerca italiana, ma proprio come "emigrato della ricerca " posso dire che i modelli ci sono, anche vicini ai nostri confini, senza guardare agli Stati Uniti, che sicuramente hanno una cultura e una storia molto diversa dalla nostra. Basterebbe iniziare a riflettere dal dato più semplice. Un Paese che investe lo 0,9% del proprio prodotto interno lordo in ricerca, contro la media del 2% degli altri, non può essere scientificamente competitivo né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori.


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