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FILOSOFIA E PSICOANALISI. E. Fachinelli, Sulla spiaggia (1985): La mente estatica (1989). Il libro, nella dedica, è "per Giuditta"....

LA DECAPITAZIONE DI OLOFERNE E LA FINE DELLA CLAUSTROFILIA. UN OMAGGIO A ELVIO FACHINELLI. Una nota sull’importanza della sua ultima coraggiosa opera - di Federico La Sala

venerdì 31 agosto 2012 di Maria Paola Falchinelli
[...] Come Kafka - davanti alla legge, Freud ha "visto" la porta aperta e non ha capito [...]
progressivamente, identificazione
dopo identificazione, egli finisce per assumere la maschera del più terribile nemico della storia del suo popolo: non avendo vinto Roma (Annibale), non essendo giunto nella terra promessa (Mosè), si fa egiziano e diventa il Faraone con il cuore di pietra [49]. Chi osa pensare diversamente è subito espulso dal suo regno. Egli nega, rimuove, cancella le tracce ed (...)

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> LA DECAPITAZIONE DI OLOFERNE E LA FINE DELLA CLAUSTROFILIA. ----Claustrofobia è un concetto che si usa poco in politica, eppure è proprio questo che provocano i regimi chiusi e totalitari, a diversi gradi del loro insediamento (di Beppe Sebaste - I carcerieridi Durrenmatt).

martedì 1 dicembre 2009

I carcerieri di Dürrenmatt

di Beppe Sebaste (l’Unità, 01.12.2009)

Claustrofobia è un concetto che si usa poco in politica, eppure è proprio questo che provocano i regimi chiusi e totalitari, a diversi gradi del loro insediamento. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: chiusura, appunto, omogeneizzazione, ripiegamento sulla propria identità; identità che, a diversi livelli di fascistizzazione, si basa sulla comunanza del suolo oppure del sangue. L’appartenenza religiosa ha pure un ruolo importante in questa marca di identità.

In Svizzera, storicamente terra d’asilo e di rifugiati politici e religiosi, dove un referendum populista ha proibito l’edificazione di minareti, nel 1990 il grande Friedrich Dürrenmatt pronunciò un discorso d’indimenticabile e feroce ironia contro la politica claustrofobizzante del suo Paese. Descrisse la Svizzera come una paradossale prigione nella quale gli svizzeri sono carcerati e al tempo stesso carcerieri di se stessi, «per dimostrare la propria libertà». In tale prigione, disse, «gli Svizzeri si sono rifugiati (...) perché soltanto lì essi sono sicuri di non essere aggrediti».

Vale la pena di ricordare alla lettera un passo del discorso di Dürrenmatt: «C’è un solo problema in questa prigione, quello di provare che non è una prigione ma il rifugio della libertà, poiché, dall’esterno, una prigione è una prigione e quelli che sono dentro sono carcerati, e chi è carcerato non è libero: agli occhi del mondo esterno, solo i carcerieri sono liberi, poiché se non fossero liberi sarebbero carcerati. Per risolvere questa contraddizione i carcerati hanno introdotto l’obbligo generale di essere guardiani: ogni carcerato dimostra di essere libero facendo lui stesso il proprio carceriere. Ciò che dà agli svizzeri il vantaggio dialettico di essere al tempo stesso liberi, carcerati e carcerieri».

Le sue parole valgono oggi più che mai per l’Italia, da quando a fare le leggi c’è un paradossale «Popolo delle libertà», guidato dai carcerati-carcerieri della Lega. Non so voi, ma la ma claustrofobia sta superando il livello di guardia.❖


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