Adista mi ha chiesto il commento alle letture di queste festività. Anche per aiutarvi a ridare un’anima al Natale, vi invio il mio commento. Auguri. Aldo
NATALE: IL DIO POSSIBILE
Come un filo rosso, sotto tensione, esso percorre tutta la narrazione biblica e, direi, la storia del fidanzamento tra Dio e gli uomini; si tratta del grido di salvezza strozzato in gola ai popoli come invocazione e proclamato da Dio come offerta. I pilastri fondanti di questa architettura sono l’autopresentazione di Dio a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido... Sono sceso per liberarlo” (Es.3,7-8) e il prologo che Giovanni prepone al suo Vangelo: “Verbum caro factum est et habitavit in nobis. Colui che è ‘la Parola’ è diventato un uomo e ha vissuto in mezzo a noi” (Gv 1,14).
Due tralicci che tengono alto il discorso di una trascendenza immanente che nel corso dei secoli ha spezzato, da una parte, il gioco evasivo in cui la religione vorrebbe soggiogare un Dio insequestrabile e, dall’altra, ha infranto le catene della necessità con le quali il potere irreggimenta e paralizza il fare e l’operare degli uomini.
Il Dio della cura e della premura, che va in cerca dei disobbedienti nel giardino dell’Eden, che si fa protettore del fratricida, che infrange l’impero del faraone e diventa bastone di viaggio per il popolo nel deserto; il Dio che distoglie il suo volto dall’odore degli incensi e dal sangue dei sacrifici, mentre s’impietosisce del popolo assetato e fa piovere manna per la sua fame; questo Dio non può che immedesimarsi nell’uomo per il quale egli, semplicemente, “È”!
Il Natale, come suo farsi carne, e l’Eucaristia, come suo farsi pane, sono una necessità-necessitata del suo “dover essere” e non un optional della sua “benevolenza”.
Sì! Perché l’amore per la bibbia è «questo sguardo con cui Dio si prende cura dell’alterità umana, facendole spazio e sostenendola; è il movimento di discesa con cui, andando incontro all’altro, invocazione di pane e di perdono, l’alterità divina inverte e converte la sua alterità in prossimità e la sua trascendenza in vicinanza; è l’irriducibile differenza che si rivela come ostinata non indifferenza nei confronti di chi, povero e nemico, è attesa di vita e di amicizia» (Carmine di Sante: L’io ospitale; p.12).
Contro questa narrazione si pone, nel segno opposto dell’indifferenza e del disprezzo, l’”Homo Oeconomicus”, autocefalo e senza relazioni, autofago e onnivoro, che tutto consuma, trasformando in merce e in merce di rifiuti, persone e cose, valori e affetti, progetti e speranze.
Avvezzi come siamo a incorniciare l’“Evento-Incarnazione” nella composizione agropastorale del presepe, nessuno stupore viene più a farci visita; ancor meno ci tocca l’ondata rivoluzionaria per cui storia e trascendenza, finito e infinito, frammento e totalità, umano e divino sono una cosa sola. Tutto al più ci facciamo invadere dalla tenerezza nostalgica di un mondo-non-più. In questa lettura bucolica del Natale risiede la sterilizzazione dell’evento, incapace ormai a sovvertire i loschi connubi tra spiritualità e mercantilismo, universalità e localismo, filantropia e xenofobia, amore e odio. Sono, questi, matrimoni funzionali alla deriva liberista di una economia senza anima e di una politica senza etica, in Italia prima e più che nel resto del mondo.
Dal Brasile, invece, ci viene il richiamo alla logica del Regno di cui l’Incarnato è Messia: «Il regno è come un semino che accetta di scomparire sotto terra, per rinascere come albero che si fa casa per tutti. O, anche, sì, il regno succede quando c’è chi accetta di essere come lievito nell’impasto, che c’era, ma non c’è già più, eppure tutti ne vedono gli effetti. Nel pane soffice e buono, per esempio. Gesù è quel semino che accetta di sparire, perché avvenga il regno. Perché questa, e solo questa, è la logica del regno: morire (anche poco a poco) perché l’altro viva, come è in ogni amore vero. E Lui cerca solo pochi amici e amiche che facciano lo stesso. Altro che cultura della presenza, capace solo di vanificare la croce e il suo significato. A Lui non interessano le chiese piene, o le belle e inutili liturgie, il suo nome strombazzato in tutte le maniere, le sue immagini profanate negli edifici del potere, no, Lui preferisce di gran lunga le chiese delle catacombe, che addestrano cospiratori della sua Parola, silenziosi e nonviolenti testimoni del principio universale della cura: non mi importa chi tu sia o che cosa tu pensi di me. Io sono niente, ma sono tuo fratello (sorella), puoi fidarti, ti difenderò, lotterò con te per i tuoi diritti, vivrò e nel caso morirò per vederti felice».(Fraternitade 31 Ottobre 2006).