Le voci di chi lavora fuori: «Per noi imbarazzo continuo»
di g.v. *
Se gli italiani che vivono all’estero cominciano ad inviare ai giornali, al nostro, lettere di preoccupazione e disagio qualcosa forse sta succedendo. Scrivere come per esorcizzare, per dire che non è vero. Oppure per cercare solidarietà, conforto, capire se passerà, prima o poi, che questo possa essere una volta buona un paese normale.
Ma così non è. Ed il motivo per cui vengono fermati i nostri connazionali a Parigi come a Washington, a Londra come a Barcellona è quasi sempre per parlare in tono canzonatorio delle gesta per nulla edificanti del nostro presidente del Consiglio. Il crescendo dei fatti privati e pubblici si somma alle gaffe compiute all’estero nei vertici internazionali ufficiali; alle considerazioni sull’abbronzatura di Obama; alle battute vecchie e nuove sui capi di stato, soprattutto se sono donne.
Leggete queste pagine e il coro è quasi unanime. Ci si può anche ridere su, ma a volte il disagio è troppo forte. Si può anche rispondere, ma alla lunga gli argomenti per dire che tutto il mondo è paese vengono a mancare. È vero che Francia, Stati Uniti e Spagna sono dei grandi paesi e che chi li ha scelti per lavoro (senza dimenticare che spesso per lavorare bisogna lasciarla per forza quest’Italia) ha altro a cui pensare: Berlusconi è un argomento da pausa pranzo. Singolare coincidenza: si vive anche con grande tranquillità il premier gaffeur a Mosca. Non è consolante constatare però che la popolarità del nostro è alta dove la democrazia è più debole.
* l’Unità, 16 maggio 2009