Musica che salva i bambini
Da Caracas alle periferie italiane arriva il “sistema Abreu” che insegna a suonare come alternativa al degrado
di Stefano Miliani (l’Unità, 14.11.2010)
Nella nostra Italia in frantumi, Rossini un giorno dovrà ringraziare il Venezuela. Tra i palazzi che fanno letteralmente acqua nel quartiere periferico delle Piagge a Firenze, nel quartiere Sanità di Napoli dove la camorra fa suonare le pistole, nel multietnico San Salvario a Torino, sta per plasmarsi un sogno a forma di oboi e violini suonati da bambini, bambine, ragazze e ragazzi.
Nel paese latinoamericano, dove la povertà impazza nonostante il petrolio, dove la criminalità dilaga e le baracche fatiscenti punteggiano le colline di Caracas, dal 1975 esiste il «sistema Abreu»: è il programma inventato dal «maestro» Abreu che ha permeso a 2 milioni di ragazzi e ragazze di apprendere la musica, di suonare in un’orchestra per acquisire fiducia in se stessi, per trovare un’altra via al degrado, alla povertà economica e culturale, e divertendosi.
Il «sistema» oggi impegna 400mila ragazzi in 250 orchestre giovanili e 150 infantili. Quell’ utopia diventata realtà ora la importiamo nella terra di Monteverdi, Puccini e De André. Dietro la spinta di Claudio Abbado, la Scuola di musica di Fiesole e Federculture ieri hanno tenuto a battesimo qualcosa di unico, audace, perfino da scavezzacollo: tra i cipressi delle colline fiesolane l’istituto musicale e l’associazione hanno organizzato un confronto internazionale quale preludio alla onlus detta «Comitato sistema nazionale delle orchestre e dei cori infantili e giovanili». Il nome un po’ farraginoso non faccia pensare a strutture elefantiache o succhiasoldi. L’obiettivo è altro. La meta è creare «nuclei didattici» nelle cento città e cittadine per rendere la musica accessibile a tutti, per insegnarla a cuccioli d’uomo e donna tra i 4 e i 14 anni. Attenzione però: non si vuole creare ulteriori fabbriche di aspiranti professionisti né tanto meno illusioni televisive stile Talent Show. Si vuole insegnare la musica per imparare a stare insieme, perché - come ama ripetere Riccardo Muti - suonando in gruppo si apprende ad ascoltare gli altri, se stessi e quella convivenza oggi così compromessa.
Il «sistema» italiano vede due piloti principali: il presidente di Federculture Roberto Grossi e il direttore artistico della Scuola fiesolana nonché affermato pianista Andrea Lucchesini. Grossi introduce: «Valorizzeremo le esperienze già vive nella società e ne incoraggeremo di nuove seguendo criteri unitari oltre la logica dei 100 campanili. Non prepareremo musicisti professionisti avvisa non faremo concorrenza ai Conservatori, non saremo una sovrastruttura pesante». «Partiamo sì da zone disagiate, vogliamo dare a chi non ha prospettive, ma per coinvolgere tutti senza esclusioni, compresi i genitori - chiosa Lucchesini - E le lezioni saranno gratuite». Lezioni senza solfeggio, all’inizio, per cantare e suonare subito.
Il «sistema» avrà «nuclei» didattici con docenti-musicisti preparati sia a insegnare sia ai rapporti umani anche in situazioni sociali emarginate. Requisiti: metodi e organizzazione condivisi più l’entusiasmo. Ma l’entusiasmo non paga l’affitto di stanze né i flauti. I soldi? Grossi risponde che, diventati Fondazione, chiederanno sostegno ai ministeri dell’istruzione, delle politiche giovanili e dei beni culturali (auguri), che presenteranno progetti all’Ue, che saranno essenziali le Regioni, i privati e, dando luoghi, strutture, attrezzature, gli enti locali. Grossi confida anche in un disegno di legge bi-partisan con Buttiglione primo firmatario ora in commissione cultura alla Camera (ci permettiamo un certo scetticismo sull’esito concreto), però c’è già chi si muove. Valga citare la Cgil: aderisce quella nazionale e in Toscana offrirà le sue 262 sedi. Piccole viole e cantanti tra le tute blu e i precari.