Calamandrei, le idee di un «costruttore di ponti»
di Arturo Colombo (Corriere della Sera, 11.03.2013)
Oggigiorno di Piero Calamandrei si parla troppo poco; quindi, va dato merito a Paolo Bagnoli di aver elaborato questo saggio, breve ma efficace, dal titolo Piero Calamandrei: l’uomo del ponte (Fuorionda), dove il riferimento al ponte non serve solo a richiamare la rivista «Il Ponte», che Calamandrei fondò nell’aprile del 1945 e della quale fu direttore fino al 1956, anno della sua scomparsa.
L’espressione «uomo del ponte» vuole indicare soprattutto un elemento caratterizzante della sua forma mentis, che vale a spiegare il costante rifiuto di ogni esclusivismo e settarismo, e la ricerca, invece, di quello spirito di collaborazione, che sempre contraddistinse Calamandrei nei diversi campi in cui operava, ogni volta lasciando il segno. Infatti fu un giurista, un docente universitario, un politico e anche un raffinato umanista: il suo libro del 1942, Inventario della casa di campagna, è lì a dimostrarlo.
Ma soprattutto l’apporto di Calamandrei fu decisivo negli anni dell’Assemblea Costituente, dove diede un apporto fondamentale nella difesa tanto del principio di libertà, «non come garanzia di isolamento egoistico, ma come garanzia di espansione sociale», quanto nel definire il ruolo della giustizia, connesso all’organizzazione del potere giudiziario e all’autogoverno della magistratura. Così da poter sostenere - sono parole di Calamandrei - che «le norme di una Costituzione democratica, come è quella della Repubblica italiana, possono avere un’efficacia educativa e quasi, si direbbe, pedagogica, che può servire di stimolo e di guida alle forze politiche».
Per la verità, mai come adesso si moltiplicano le critiche verso più di un aspetto di questa nostra Carta costituzionale. Eppure, rileggere non poche delle tesi di Calamandrei ci aiuta a costruire il profilo, mai intollerante o settario, di questa «coscienza inquieta»; ma soprattutto ci permette di intendere che solo attraverso «l’intervento correttore dello Stato» (purtroppo, così spesso latitante nel nostro Paese) riusciremo a rendere operante - Calamandrei lo scriveva fin dall’agosto del 1945 - una «democrazia vitale in cui la giustizia sociale, piuttosto che come ideale separato ed assoluto, sia concepita come premessa necessaria e come graduale arricchimento della libertà individuale».