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Costituzione e Sovranità ...

COSA SIGNIFICA ESSERE ITALIANI ED ITALIANE. LA LEZIONE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI - di Piero Calamandrei. La Costituzione italiana: SALVIAMOLA! - selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 20 novembre 2006 di Emiliano Morrone
In memoria di Sandro Pertini.
Caro Presidente della Repubblica....
"FRATELLI D’ITALIA"?! MA DOV’E’ PIU’ L’ITALIA?!
NON SOLO L’INNO MA IL NOME STESSO DELL’INTERA ***ITALIA*** E’ STATO MESSO SOTTO I PIEDI DA UN USO GOLPISTA DELLA "LOGICA" DEL MENTITORE.
Un po’ di decenza, se vogliamo andare avanti dignitosamente!!!


Il 26 gennaio 1955 ad iniziativa di un gruppo di studenti (...)

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> COSA SIGNIFICA ESSERE ITALIANI ED ITALIANE. LA LEZIONE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI - di Piero Calamandrei. La Costituzione italiana: SALVIAMOLA! - selezione a cura del prof. Federico La Sala

martedì 1 maggio 2007

I fratelli Rosselli, genesi di un delitto impunito A settant’anni dall’uccisione di Carlo e Nello Rosselli, Mimmo Franzinelli rievoca, in un saggio appena uscito per Mondadori, l’attività antifascista dei due fratelli e i processi che portarono alla scandalosa assoluzione di esecutori e mandanti

di SILVIA CALAMANDREI (il manifesto, 29.04.2007)

Carlo Rosselli fece in tempo il 22 maggio a commemorare dall’esilio di Parigi la morte in carcere di Antonio Gramsci, prima di essere assassinato insieme al fratello Nello il 9 giugno del 1937 a Bagnoles-de-l’Orne. C’è un presagio nelle sue parole: «L’ideale, lo si serve e non ce ne si serve. E, se necessario, si muore, con la semplicità di un Gramsci, piuttosto che continuare a vivere perdendo la ragione di vita».

A settant’anni di distanza, Mimmo Franzinelli, con Il delitto Rosselli, (Mondadori 2007, pp. 291, euro 18,50) ricostruisce la genesi di questo assassinio nel contesto italiano e francese e i processi che seguirono, lasciando impuniti i mandanti italiani e la maggior parte degli esecutori della Cagoule, un gruppo paramilitare della destra filofascista francese. La sinergia tra le mire di colpo di stato in Francia e la volontà di Mussolini di eliminare avversari politici sempre più attivi nella propaganda contro il regime (soprattutto dopo la sconfitta dei legionari fascisti a Guadalajara ad opera delle Brigate internazionali) verrà oscurata nei meandri giudiziari del dopoguerra, fino alla clamorosa sentenza di assoluzione dei mandanti da parte della Corte d’appello di Perugia nell’ottobre 1949, stigmatizzata da Gaetano Salvemini e Piero Calamandrei.

Particolarmente interessante nella ricerca di Franzinelli la ricostruzione del Preludio ad un delitto, con la descrizione dell’«attivismo irrefrenabile» di Carlo Rosselli nel suo esilio, dopo che approdò a Parigi nel 1929 in seguito alla clamorosa evasione dal confino di Lipari. Insieme al liberale Tarchiani e al federalista Lussu, Rosselli fondò il movimento «Giustizia e libertà» e sul settimanale di GL condusse una incessante propaganda antifascista che acquistò maggiore incidenza con la guerra d’Africa, quando fu elaborato un progetto di propaganda tra i soldati e di denuncia delle bombe all’iprite, e soprattutto con la guerra di Spagna.

Risale all’agosto del 1936 l’organizzazione dell’intervento armato in Spagna da parte di Carlo Rosselli, che individuò nella guerra civile «la guerra di tutto l’antifascismo » (mentre i comunisti ancora esitavano a internazionalizzare il conflitto) e capeggiò con l’anarchico Berneri e il repubblicano Angeloni la Prima colonna italiana delle Brigate internazionali in Catalogna. Fu sua la parola d’ordine Oggi in Spagna, domani in Italia, lanciata da Radio Barcellona. Ferito in combattimento e con una flebite alla gamba, rientrò a Parigi per curarsi, adoperandosi tuttavia per riunire tutti gli antifascisti in un’unica colonna e organizzare la controinformazione sulla sconfitta dei fascisti italiani comandati da Roatta a Guadalajara.

Grande impatto propagandistico ebbe in particolare l’analisi delle missive ai familiari dei legionari italiani, che Carlo commentò su «Giustizia e libertà» in marzo, suscitando le preoccupazioni di Mussolini e Ciano: l’auspicio di una Guadalajara in terra italiana, accanto alle fotografie dei prigionieri, accelerò i contatti tra il controspionaggio militare italiano e gli esponenti della Cagoule, la formazione paramilitare filofascista francese, con l’obiettivo di eliminare Rosselli.

La constatazione di Rosselli sulla fine della «accademia dell’esilio » («l’emigrazione italiana - scrisse - torna ad essere fatto vivo e presente nella storia italiana») intensificò l’attività delle spie e dei poliziotti che gli erano alle costole: i carteggi documentano i preparativi dell’assassinio, che fu auspicato dal ministro degli esteri Ciano, coordinato dal suo segretario particolare Anfuso e messo in opera dal Servizio informazioni militari capeggiato prima dal generale Roatta e poi da Angioi, mentre i contatti con il gruppo operativo francese erano tenuti da Emanuele e Navale. A parte Ciano, fucilato a Salò, tutti costoro sarebbero riusciti a farla franca nel dopoguerra, profittando delle revisioni successive delle sentenze e delle amnistie, nonostante momenti di ammissione delle responsabilità nel delitto.

I due ultimi capitoli del saggio di Franzinelli, Francia: un processo tardivo e Italia: crimine senza mandanti proseguono l’accurata analisi già svolta in L’amnistia di Togliatti sulla memoria corta del dopoguerra e la mancata punizione dei crimini fascisti. Da segnalare come nell’estate 1944, mentre l’Alto commissariato per la punizione dei delitti fascisti stava indagando sui delitti commessi all’estero, l’ex ufficiale dei servizi Santo Emanuele riuscì addirittura a riciclarsi nell’ufficio del Commissariato all’epurazione diretto da Scoccimarro. Da parte sua, il maggiore Navale, assunto da Valletta tra i sorveglianti Fiat, ne ricevette encomi per contributi alla lotta antinazista, guadagnandosi così uno sconto di pena al momento della condanna per l’omicidio premeditato dei Rosselli, inflitta dalla Corte d’assise di Roma nel giugno 1947 (pena già ridotta rispetto alla condanna del primo processo del 1945, di fronte all’Alta Corte di giustizia, in cui la famiglia Rosselli era rappresentata dagli avvocati Calamandrei, Battaglia e Comandini). La sentenza dell’Alta Corte (fucilazione per Anfuso, ergastolo per Emanuele, Navale e Roatta) si andrà stemperando nei passaggi successivi e grazie all’amnistia del 1946, fino all’inaudita sentenza di Perugia in cui gli imputati vengono assolti per il dubbio, sia pur «tenue », che il delitto fosse frutto di «un’attività parallela» maturata «nel torbido mondo del fuoriuscitismo internazionale», «all’insaputa » degli imputati, che si sarebbero dunque arrogati «il merito» dell’uccisione per vanteria e desiderio di carriera.

Nel commentare la motivazione della sentenza sul «Ponte» (Giustizia suicida, febbraio 1950), Piero Calamandrei si chiedeva se l’estensore non avesse a bella posta redatto una motivazione abnorme per favorirne l’impugnazione. Invocando la sua fede nella magistratura, interpretò la motivazione come «una estrema forma di protesta, una specie di Sos lanciato da un magistrato di coscienza, che grida: "Attenzione, attenzione! In Italia la giustizia politica funziona così! Attenzione! Anche quando i delitti dei fascisti sono pienamente provati, i giudici coscienziosi sono costretti, contro la loro coscienza, ad assolverli"...».

Se di Sos si trattava, non fu comunque raccolto in quell’Italia del 1950 in cui si sparava sugli operai: nello stesso numero del «Ponte» Calamandrei intitolava il suo editoriale Pena di morte preventiva, a commento dell’eccidio di Modena.

Un ricordo sul «Ponte»

Quelle passeggiate domenicali con Nello

Nel primo numero del «Ponte» dell’aprile 1945 fu pubblicato un ritratto di Carlo e Nello Rosselli di Pietro Annigoni insieme a un «Ricordo di Nello» firmato da Piero Calamandrei. Nei ponti lanciati per ricostruire la nuova Italia democratica i Rosselli sono un punto di riferimento essenziale ed è Nello, rimasto in Italia mentre Carlo si era rifugiato all’estero, che Calamandrei ricorda nelle passeggiate domenicali compiute insieme ad altri amici antifascisti negli anni Trenta. È Nello che vuole fare emergere accanto alla figura eroica di Carlo, anche nell’arringa al processo di fronte all’Alta Corte: quel Nello cui «era toccato il compito più oscuro ma altrettanto virile di combattere il fascismo vivendoci in mezzo, di esperimentare il clima della servitù, di sopportare senza scoraggiarsi i contatti disgustosi... pur di non abbandonare la patria dolorante e di rimanere giorno per giorno a contatto col suo popolo oppresso».

Carlo e Nello assassinati durante una gita a Alençon, da cui spediscono una cartolina di auguri al piccolo Giovanni firmata «Zio Nello e Babbo», rimandano nella memoria di Piero a quelle passeggiate domenicali, «in cerca della libertà perduta». «Ogni domenica una meta nuova: uno qualunque di quei vecchi paesi della campagna toscana, ognuno dei quali ha una sua fisionomia inconfondibile come un volto vivo. Tutti, senza dircelo, portavamo con noi in quelle gite la segreta malinconia di chi, andando a far visita ad una persona cara, pensa che forse è quella l’ultima volta che la vedrà e non riesce a scacciare il funesto presentimento. "La guerra viene, la guerra verrà..." ammoniva Carlo da lontano. C’era già su quelle colline ridenti un presagio di distruzione. Ma Nello era con noi in quelle gite: e bastava la sua presenza, di lui così biondo e ridente, a diffondere su tutti noi più vecchi di lui un alone luminoso di serenità e fiducia».


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