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"DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo Maria Martini). E L’AMORE ( "CHARITAS") NON E’ MAMMONA (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006)!!!

CIVILTÀ DELL’AMORE E VOLONTÀ DI GUERRA. DOPO GIOVANNI PAOLO II, IL VATICANO SOPRA TUTTO E CONTRO TUTTI. Il "peccato originale" e la "mala fede" antropo-teo-logica di Papa Ratzinger. Una nota di Federico La Sala

martedì 30 dicembre 2008
[...] “Il deserto cresce” (Nietzsche) - in tutti i sensi, e non si può continuare come si è sempre fatto. Non abbiamo tempo, non più né molto. Tutta una mentalità di secoli deve essere messa sottosopra e l’intera società deve essere riorganizzata. Non ci sono altre strade. Bisogna pensare ancora, di nuovo e in altro modo - Dio, uomo e mondo. E a partire proprio da noi, da noi tutti [...]
FILOLOGIA E FILOSOFIA: LEZIONE DI PROTAGORA. "Il frammento (1 Diels-Kranz) suona: (...)

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> CIVILTA’ DELL’AMORE E VOLONTA’ DI GUERRA. ---- LA VISIONE DI WOJTYLA. L’innovativa teologia del corpo di Giovanni Paolo II racchiude un futuro dai risvolti impegnativi ancora imprevedibili (di Fergus Kerr OP, direttore di "New Blackfriars").

lunedì 2 maggio 2011

La visione di Wojtyla

di Fergus Kerr OP (direttore di New Blackfriars)

-  in “The Tablet” del 30 aprile (traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva)

Entrambi i papi - Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - sono stati influenzati dalle radici cristiane dell’Europa e dalle lotte del continente contro i totalitarismi del XX secolo. Ma in questo primo di una serie di articoli, che vengono pubblicati questa settimana in occasione della beatificazione del papa polacco, cercherò di sottolineare la differenza tra i due soprattutto in termini di confronto tra le loro linee di pensiero.

I papi possono influenzare teologicamente i loro successori? E, in caso affermativo, in quale misura? Nei secoli passati la maggior parte non ha ritenuto necessario scrivere su questioni teologiche, di fatto pochi ne sarebbero stati in grado. Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI
-  il primo definito un “intellettuale”, l’altro un “accademico” - erano stati in precedenza docenti universitari di prestigio. E nessuno dei due avrebbe potuto seguire una strada diversa. Nel 1951 Karol Wojtyla tornò alla Jagiellonian University di Cracovia per completare un secondo dottorato, questa volta in filosofia, sulla possibilità di elaborare un’etica cristiana sulla base del pensiero di Max Scheler (1874-1928) pensatore famoso per la sua fenomenologia dell’amore. Ottenuto il dottorato, Wojtyla ha insegnato etica sociale all’università, continuando pure l’insegnamento a Lublino, anche negli anni successivi al 1958 quando divenne arcivescovo di Cracovia.

Nel 1969 con il suo libro dal titolo “The Acting Person” come recita la versione inglese (“Persona e atto” Libreria Editrice Vaticana 1982) egli ha offerto un contributo importante alla filosofia. Una modalità di approccio a questo testo è la possibilità di considerarlo come un ulteriore sforzo per superare la concezione cartesiana della coscienza di sé, in parte lungo lo stesso percorso seguito da “The Self Agent” (1957) di John Macmurray o quello di Stuart Hampshire in “Thought and Action” (Pensiero e Azione, 1970).

Molto più tardi in “Crossing the Threshold of Hope” (Varcare le frontiere della speranza, 1994) Giovanni Paolo II ripetè la stessa critica a Cartesio che distingue il pensiero dall’esistenza. “Come è diverso l’approccio di san Tommaso per il quale non si ritiene il pensiero determinare l’esistenza, bensì l’esistenza che determina il pensiero”. Noi siamo agenti, non spettatori di un qualcosa autoincapsulato.

In aggiunta a ciò, con la dott.ssa Wanda Póltawska, psichiatra di Cracovia, Wojtyla aveva fondato l’”Istituto per la Famiglia” con lo scopo di educare i laici in materia di etica sessuale. Nel testo Amore e responsabilità del 1960 egli sostiene che né la procreazione, né il piacere possono da soli giustificare un rapporto coniugale: al contrario, egli rifiuta da una parte gli “utilitaristi”, come Freud, che si concentrano sul piacere, dall’altra i “rigoristi”, come i puritani, che limiterebbero l’attività sessuale alla procreazione. Wojtyla delinea piuttosto una dottrina elevata dove i rapporti sessuali sono visti come una donazione reciproca di sé.

In confronto le pubblicazioni dell’allora prof. Joseph Ratzinger non sono mai state così ambiziose. Egli conseguì il dottorato in teologia nel 1953 all’università di Monaco di Baviera con una tesi sui concetti di “popolo” e “casa” di Dio in sant’Agostino. Così come Karol Wojtyla, si allontanò, apparentemente senza preoccupazioni di sorta, dalla neoscolastica allora scontata. Avendo poi optato per una carriera accademica, Ratzinger ha quindi redatto una tesi post-doc di storia della teologia su san Bonaventura, dove si è definitivamente allontanato dal neo-tomismo all’epoca di routine. Infatti, come ha ricordato egli stesso, la tesi avrebbe dovuto essere rivista proprio per eliminare quella presunta qualifica di “modernista” che era stata ipotizzata da un esaminatore, come Michael Schmaus (1897-1993), in quel momento uno tra i più eminenti teologi a Monaco di Baviera.

Ratzinger si trasferì nel 1969 nella nuova università di Ratisbona nella sua natìa Baviera. Nel 1977, con la sua nomina ad arcivescovo di Monaco di Baviera, la sua carriera di professore universitario, durata due decenni, volse al termine. Non ancora cinquantenne, aveva prodotto una serie di pubblicazioni a suo nome, ma non la grande opera di cui senza dubbio ogni professore di teologia vada sognando. Ma c’era altro da scrivere negli anni a venire.

Tocca ai papi scrivere le encicliche. Giovanni Paolo II ne ha pubblicate 14. La prima, la Redemptor hominis (1979), centrata quasi programmaticamente sull’importanza della persona umana: questa ha continuato idealmente l’attenzione sulla persona del testo Persona e atto, ma con uno stile completamente differente.

Nel 1981 Giovanni Paolo II ha commemorato la Rerum Novarum di Leone XIII, la famosa enciclica sulla giustizia sociale, con un profilo su quanto aveva detto riguardo al conflitto tra lavoro e capitale e sui diritti dei lavoratori: non c’è dubbio che questo rifletta la sua esperienza lavorativa precedente. Nel 1987 ha ricordato la Populorum Progressio di papa Paolo VI con un’altra forte affermazione delle preoccupazioni sociali e politiche della Chiesa. Nel 1991 ha commemorato ancora la Rerum Novarum. In questi diversi interventi, correlati tra loro, il papa polacco non ha avuto esitazioni nel denunciare il liberal-capitalismo dell’Occidente, proprio mentre attaccava con fermezza il totalitarismo dell’Europa orientale.

Non c’è dubbio che sia stato un papa che ad un certo punto ha applaudito all’ecumenismo: con l’Ut Unum Sint (1995), infatti, Giovanni Paolo II, riconoscendo esplicitamente l’ostacolo che il papato costituisce per molti cristiani, ortodossi e protestanti, ha invitato tutti ad aiutarlo a rimodellare il ministero petrino così da fungere da punto di riferimento per incontri futuri.

Anche in questo caso le preoccupazioni pastorali potrebbero aver indotto ciascun papa a prendere in esame lo stato di salute della teologia morale e della filosofia in generale. Ma con la Veritatis Splendor (1993) e la Fides et ratio (1998), l’opposizione di Giovanni Paolo II a tutto quanto riteneva utilitaristico, in alcuni concetti della teologia morale cattolica, e la sua insistenza sul ruolo della ragione e quindi della filosofia stessa all’interno di ogni religione, riflette decisamente la mentalità del docente di etica sociale.

Nella sua "teologia del corpo", tuttavia, Giovanni Paolo II ha arato un nuovo campo. In quello che potremmo definire una antropologia cristiana della differenza sessuale e della complementarietà, egli ha inaugurato quello che molti commentatori, in particolare in Nord America, considerano come un cambiamento rivoluzionario nella dottrina e nella sensibilità cattolica.

Secondo George Weigel, per esempio, questo rappresenta quasi "una bomba a orologeria teologica, qualcosa che potrebbe esplodere all’interno della Chiesa ad un certo punto indeterminato del futuro, ma con grande effetto, rimodellando il modo in cui i cattolici pensano alla nostra corporeità in termini di maschile e femminile, la sessualità, il rapporto con l’altro e il rapporto con Dio - anche all’identità stessa di Dio "(cfr. la sua prefazione a Christopher West “Theology of the Body Explained” [2003] - una preziosa spiegazione).

Naturalmente questo richiama le preoccupazioni contenute già in “Amore e responsabilità”. L’arcivescovo di Cracovia (almeno parrebbe oggi) sembra aver avuto un’influenza decisiva su Papa Paolo VI quando, nella sua enciclica Humanae Vitae (1968), ha ribadito la fede cattolica nel legame inscindibile tra il rapporto coniugale e la procreazione, riaffermando così la condanna come immorale di tutte le forme di controllo delle nascite, tranne i metodi naturali.

Dal momento che molti cattolici sono stati, e rimangono, non persuasi da tali argomenti, che derivano essenzialmente dalla legge naturale, sembra che, subito dopo essere stato eletto papa, Giovanni Paolo II abbia deciso di intraprendere la strada di una teologia della differenza di genere, che confermerebbe come la contraccezione all’interno di un matrimonio cristiano sia da considerare peccaminosa. Nei 129 discorsi alle udienze settimanali, tra il 1979 e il 1984, Giovanni Paolo II ha sviluppato questa sua "teologia del corpo". Se il matrimonio è stato a lungo oggetto di un ripensamento della teologia cattolica, ora ne diventava un centro creativo.

Per spiegare in semplici parole un’argomentazione così profonda e complessa si potrebbe affermare così: L’uomo esiste da sempre come maschio o femmina (Gen 1,27). L’unità di Cristo e della Chiesa è il "grande mistero", esemplificato con l’espressione in "una sola carne" della coppia originaria, Adamo ed Eva, e poi di nuovo in qualsiasi autentica unione coniugale (Efesini 5,31-2). Il marito ama sua moglie come Cristo ama la sua sposa, la Chiesa - e dona se stesso per lei (Efesini 5,25). Lanozione di reciproca donazione di sé è fondamentale.

La comunione sponsale diventa la principale analogia di ogni tipo di rapporto. Considerando che nella teologia classica, compreso Tommaso d’Aquino, ci viene detto che siamo creati a immagine di Dio a causa della nostra razionalità, il dato essenziale per Giovanni Paolo II è la differenza sessuale: "... maschio e femmina li creò". La razionalità diventa comunicazione, comunione. L’unione della natura divina e umana in Cristo diventa come un matrimonio fra cielo e terra. Analogamente l’atto di Gesù che fa dono di se stesso agli altri, fa sì che anche la celebrazione eucaristica sia vista in analogia ad un’unione coniugale.

Si potrebbe quasi affermare che il racconto della storia della salvezza si snodi dalla coppia originaria nel giardino dell’Eden fino alla discesa della Città Santa, “che scende dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Apocalisse 21,2).

In questi casi, come in altri, l’immagine di Cristo sposo apre la strada per condurci ad esplorare l’intera realtà, ossia come deve intendersi il rapporto fra le creature e il Creatore, ciascuno di noi e il Salvatore, la Chiesa e Cristo. Certamente questo fa tesoro di immagini e temi familiari all’antica e moderna spiritualità, ma la teologia del corpo di Giovanni Paolo II mostra una coerenza e una forza che non ha precedenti.

Questa teologia ha implicazioni sociali e politiche di enorme portata, come lo stesso Giovanni Paolo II ha sottolineato più volte. Dal momento che la differenza sessuale è fondamentale, e l’unione coniugale viene ad essere la massima espressione della complementarietà, gli effetti a lungo termine della contraccezione diventerebbero distruttivi per l’intera umanità. La testimonianza dei coniugi cattolici deve quindi andare radicalmente controcorrente.

Se il rapporto nuziale può essere considerato la chiave interpretativa per ripensare quasi ogni altra dottrina cristiana, Giovanni Paolo II ha certamente lasciato in eredità un patrimonio teologico che ha appena cominciato ad influire sulla sensibilità e il pensiero della maggior parte dei cattolici.

Nel 1981 papa Giovanni Paolo II ha nominato il cardinale Ratzinger Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF). Quando gli archivi vaticani verranno aperti, in un prossimo futuro, forse sarà possibile andare a verificare in che misura i due papi siano stati concordi dal punto di vista teologico. Per fare un esempio, una certa qual freddezza dell’allora card. Ratzinger riguardo all’incontro interreligioso di Assisi nel 1986 potrebbe aver marcato una certa esitazione circa l’entusiasmo di Giovanni Paolo II per il dialogo interreligioso.

E ancora, nel 1987, l’enciclica Sollicitudo rei socialis, che ha condannato il capitalismo in maniera ancora più drastica di quanto non abbia fatto con il comunismo, è stata letta da alcuni commentatori come meno negativa riguardo alla “teologia della liberazione” rispetto alla linea politica della Sacra Congregazione sotto la guida del card. Ratzinger. Sembra alquanto improbabile, tuttavia, che nel corso dei 24 anni in cui Ratzinger fu alla guida della CDF, che egli non abbia avvallato ogni linea politica che non differisse in maniera significativa da quanto Giovanni Paolo II fosse contento di sostenere.

Benché siano trascorsi pochi anni dalla sua elezione, papa Benedetto XVI ha già delineato però un profilo teologico che si differenzia da quello del suo predecessore. Non c’è motivo di pensare che egli abbia preso le distanze deliberatamente, quasi per sfuggire in una tale dinamica l’ombra di un pensatore innovativo. Le sue iniziative - così come fu per Giovanni Paolo II - fanno piuttosto riferimento a interessi precedenti. Con la sua riconosciuta preoccupazione per la liturgia non è stata per nulla una sorpresa che egli abbia autorizzato l’antico rito e altri provvedimenti.

Per decenni poi i teologi di professione si erano mostrati preoccupati di integrare dal punto di vista storico-critico gli studi biblici con il dogma cattolico: lo studio di Benedetto XVI su Gesù sembrerebbe piuttosto il tentativo di un teologo in pensione, che, vista la prevedibile reazione contraria di teologi di professione, abbia preso coraggio.

Le tre encicliche di Benedetto XVI tracciano una strada ancora più caratteristica. La seconda metà della Deus Caritas Est (2006), prende le mosse da una serie di appunti lasciati incompleti da Giovanni Paolo II; la prima parte, al contrario, propone il rapporto fra l’amore così come era conosciuto dall’antica filosofia greca - nello specifico l’eros - e l’amore cristiano, l’agàpe.

Quantunque, mettendo insieme le due parti, Benedetto XVI appare discostarsi completamente dalla lunga tradizione cristiana che condannava qualsiasi forma di “amore erotico”. Dopo aver analizzatol’amore, egli si è rivolto nella Spe Salvi (2007) alla speranza e alla fede: l’enciclica si apre con la storia della sudanese Josephine Bakhita, una schiava convertita dal paganesimo alla speranza della redenzione. Nella Caritas in Veritate (2009), papa Benedetto XVI riprende i concetti dell’enciclica Populorum Progressio (1967) di Paolo VI, riaffermando con forza la dottrina sociale della Chiesa. Una grande attenzione è stata rivolta alla lezione che ha tenuto a Regensburg nel 2006: la sua citazione di un imperatore bizantino medievale nei confronti dell’Islam ha immediatamente provocato reazioni in tutto il mondo musulmano. Ma il punto centrale del suo discorso è stato quello di insistere sul ruolo della ragione nella ricerca di Dio e sulla compatibilità tra la filosofia greca pagana e la fede cristiana.

Nella Fides et Ratio (1998) Giovanni Paolo II aveva esteso la sua prospettiva ben oltre l’antica Grecia: tuttavia, pur all’interno della radici cristiane d’Europa, entrambi i papi hanno insistito per mantenere un legame fra Gerusalemme e Atene, cui l’Occidente deve la sua cultura e la sua civiltà. Ad ogni modo resta la possibilità che l’innovativa teologia del corpo di Giovanni Paolo II racchiuda un futuro dai risvolti impegnativi ancora imprevedibili.


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