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REALTA’ E RAPPRESENTAZIONE. STORIA ("RES GESTAE") E STORIOGRAFIA ("HISTORIA RERUM GESTARUM") ... E INTELLETTUALI.

I LIBRI DI "STORIA" E LE "DOMANDE DI UN LETTORE OPERAIO" - DI BERTOLT BRECHT

domenica 19 maggio 2019 di Federico La Sala
Domande di un lettore operaio
di Bertolt Brecht
Chi costruì Tebe dalle Sette Porte?
Dentro i libri ci sono i nomi dei re.
I re hanno trascinato quei blocchi di pietra?
Babilonia tante volte distrutta,
chi altrettante la riedificò? In quali case
di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori?
Dove andarono i muratori, la sera che terminarono
la Grande Muraglia?
La grande Roma
è piena di archi di trionfo. Chi li costruì? Su chi
trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio (...)

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> I LIBRI DI "STORIA" E LE "DOMANDE DI UN LETTORE OPERAIO" --- "ll passato è un bene comune". Il testo in difesa dello studio della Storia.

sabato 27 aprile 2019

Il testo in difesa dello studio della Storia

Il manifesto: "ll passato è un bene comune" *

      • Lo storico Andrea Giardina, 70 anni e la senatrice a vita Liliana Segre, 88 anni

La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione.

Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese.

Sono diffusi, in molte società contemporanee, sentimenti di rifiuto e diffidenza nei confronti degli "esperti", a qualunque settore appartengano, la medicina come l’astronomia, l’economia come la storia. La comunicazione semplificata tipica dei social media fa nascere la figura del contro-esperto che rappresenta una presunta opinione del popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a giacimenti di verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero per proteggere interessi e privilegi.

I pericoli sono sotto gli occhi di tutti: si negano fatti ampiamente documentati; si costruiscono fantasiose contro-storie; si resuscitano ideologie funeste in nome della deideologizzazione. Ciò nonostante, queste stesse distorsioni celano un bisogno di storia e nascono anche da sensibilità autentiche, curiosità, desideri di esplorazione che non trovano appagamento altrove. È necessario quindi rafforzare l’impegno, rinnovare le parole, trovare vie di contatto, moltiplicare i luoghi di incontro per la trasmissione della conoscenza.

Ma nulla di questo può farsi se la storia, come sta avvenendo precipitosamente, viene soffocata già nelle scuole e nelle università, esautorata dal suo ruolo essenziale, rappresentata come una conoscenza residuale, dove reperire al massimo qualche passatempo. I ragazzi europei che giocano sui binari di Auschwitz offendono certo le vittime, ma sono al tempo stesso vittime dell’incuria e dei fallimenti educativi.

Il ridimensionamento della prova di storia nell’esame di maturità, l’avvenuta riduzione delle ore di insegnamento nelle scuole, il vertiginoso decremento delle cattedre universitarie, il blocco del reclutamento degli studiosi più giovani, la situazione precaria degli archivi e delle biblioteche, rappresentano un attentato alla vita culturale e civile del nostro Paese.

Ignorare la nostra storia vuol dire smarrire noi stessi, la nostra nazione, l’Europa e il mondo. Vuol dire vivere ignari in uno spazio fittizio, proprio nel momento in cui i fenomeni di globalizzazione impongono panorami sconfinati alla coscienza e all’azione dei singoli e delle comunità.

Per questo cittadini di vario orientamento politico ma uniti da un condiviso sentimento di allarme si rivolgono al governo e ai partiti, alle istituzioni pubbliche e alle associazioni private perché si protegga e si faccia progredire quel bene comune che si chiama storia e chiedono

Lo storico Andrea Giardina, 70 anni e la senatrice a vita Liliana Segre, 88 anni

* la Repubblica, 27.04.2019


L’iniziativa

"Non cancellerete lo studio della storia"

L’appello lanciato su "Repubblica" da Andrea Camilleri, Andrea Giardina e Liliana Segre è al centro del festival organizzato da Laterza che si è aperto a Napoli. Studiosi di diverso orientamento da Canfora a Cardini, da Barbero a Cantarella aderiscono: la politica restituisca il valore civile alla disciplina

di Simonetta Fiori (la Repubblica, 27.04.2019)

NAPOLI La storia a Napoli non devi andare a cercarla. La storia ti invade da ogni parte, anche dalle volte secentesche dell’oratorio gesuitico che ospita il liceo Genovesi. «La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini...»: Alessandro Laterza legge il manifesto lanciato da Repubblica davanti a una platea di storici e insegnanti.

Ed è subito un applauso lungo, ostinato, quasi uno scatto di orgoglio civile nel riprendere il filo d’un discorso che in questi ultimi anni è andato smarrito. «Perché la storia non è una disciplina come un’altra, ma è esercizio di cittadinanza», dice l’editore che firma l’appello insieme al cugino Giuseppe Laterza. E allora bisogna mettere via dispute accademiche e piccole competizioni inutili per concentrarsi sui vuoti di memoria della contemporaneità.

Le cose non accadono mai per caso. Ed è significativa la coincidenza temporale tra l’appello di Repubblica e il primo festival di storia organizzato da Laterza a Napoli, con le sale del Madre e del Teatro Bellini affollate da persone che vogliono sapere dell’Italia araba o della "xenia" classica celebrata da Omero.

Perché il bisogno di storia è oggi enorme, la necessità di mappe e bussole per orientarsi nella complessità, ma paradossalmente è proprio la risposta delle istituzioni a essere inadeguata. «Le ore a scuola sono insufficienti», interviene la grecista Eva Cantarella che aderisce al manifesto insieme alla sua allieva Laura Pepe. «E certo l’abolizione del tema storico è stato un pessimo segnale. Mi piacerebbe che il ministro Bussetti parlasse di più non solo di storia ma anche di scuola pubblica: perché è da qui che si deve ripartire».

Bisogna ripartire dai banchi di scuola, dai luoghi dove si formano coscienza e conoscenza storica delle nuove generazioni. Firmano il manifesto presidi e insegnanti, da Maria Filippone al timone del liceo Genovesi a Maria Luisa Buono che dirige un liceo di frontiera dove non ci sono gli affreschi del Caracciolo, ma un altro genere di bellezza costruita pazientemente ogni giorno.

«La formazione non è stata mai la prima preoccupazione delle classi politiche al governo dell’Italia repubblicana», dice la contemporaneista Simona Colarizi. «Ma oggi con la cancellazione della storia stiamo toccando il fondo, anche perché non è una materia uguale alle altre, ma il punto di raccordo dei saperi umanistici».

Per gli storici di professione, l’appello firmato da Andrea Giardina con Liliana Segre e Andrea Camilleri è anche un’occasione di autocritica. «Il manifesto ci ricorda che la storia è un bene comune», dice Luigi Mascilli Migliorini, presidente della Società dei modernisti. «Ci dice in sostanza che occorre superare le vecchie contese tra noi accademici. Ma ora è necessaria anche una grande alleanza con chi fa divulgazione al di fuori della cittadella universitaria. Perfino il Trono di spade può essere un alleato prezioso in questa battaglia di civiltà».

Da una prospettiva diversa invita all’autocritica Andrea Graziosi, ex presidente dell’Anvur e contemporaneista con esperienza internazionale.

«Giustamente nell’appello è scritto che anche le distorsioni rivelano un bisogno di storia e nascono da curiosità e desideri di esplorazione che non trovano appagamento altrove. Ed è qui che ci dobbiamo chiedere: siamo stati capaci di soddisfare le nuove domande dei più giovani? Io credo che questa sfida si possa vincere solo cambiando modo di fare didattica e ricerca, e quindi anche spingendosi oltre l’orizzonte nazionale». E ben venga la buona divulgazione, aggiunge Graziosi, «ma essa si nutre delle ricerche storiche che non devono mai rinunciare a rigore e complessità».

Tra gli ospiti del festival di storia, sono tanti i medievisti che aderiscono all’iniziativa di Repubblica, da Franco Cardini ad Alessandro Barbero, da Amedeo Feniello a Giuseppina Muzzarelli. «Oggi c’è un’urgenza civile che ci invita a rivalutare la storia», dice Cardini. «In una società che non è più capace di essere valutativa, ossia non è più capace di definire dei valori, la storia assume una funzione civica irrinunciabile».

Conoscere la storia significa anche capire la gravità di certi gesti, come l’aggressione ai simboli della Resistenza ad opera dei gruppi neofascisti.

In occasione del 25 aprile Liliana Segre su questo giornale non si è limitata a lamentare l’ignoranza della storia da parte della classe politica. Si è anche chiesta se dalla diffusa ignoranza della storia la politica non tragga convenienza: il popolo ignaro non oppone resistenza. Ne è convinto Luciano Canfora, atteso oggi al festival di Napoli per una lezione sulla democrazia ateniese: «Vengo invitato in molte scuole per spiegare cosa è stato il fascismo. E i presidi lanciano un comune allarme: tra i banchi ci sono diciottenni che salutano con il braccio teso. La storia serve ad educare. E non è poco». Anche la sua firma sotto il manifesto.


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