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EVANGELO E COSTITUZIONE. DIO E’ AMORE (Charitas) - non "MAMMONA" (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006)!!!

DELLA LINGUA E DELLA POLITICA D’ITALIA. DANTE: L’UNIVERSALE MONARCHIA DEL RETTO AMORE ("charitas"). Per una rilettura del "De Vulgari Eloquentia" e della "Monarchia" - di Federico La Sala

Dante e il suo "moderno" e "illuministico" progetto di ri-orientamento antropologico e teologico-politico.....
lunedì 9 marzo 2009
[...] Con la Monarchia***, “opera ardua e superiore” alle sue forze, pur non confidando nelle sue capacità “quanto nella luce di quel Dispensatore che dà a tutti abbondantemente e non lo rinfaccia mai” e tuttavia includendosi tra gli uomini “che la natura superiore ha reso inclini all’amore della verità”, Dante vuole consegnare al futuro - ai “posteri, perché la posterità possa servirsi del frutto” delle sue fatiche (I, i) - il suo ideale e (...)

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> DANTE: L’UNIVERSALE MONARCHIA DEL RETTO AMORE. --- Brunetto Latini. Chi fu davvero il raffinato intellettuale duecentesco (di M. Cucchi)

martedì 23 febbraio 2016

Brunetto innamorato non merita l’Inferno

Chi fu davvero il raffinato intellettuale duecentesco condannato al girone dei sodomiti

di Maurizio Cucchi (La Stampa, 21.02.2016)

È un’emozione e un piacere tenere tra le mani il piccolo libro senza età che raccoglie le Poesie di Brunetto Latini. E dunque il Tesoretto, ampio poemetto in volgare incompiuto di quasi tremila versi, e poi il breve Favolello (165 versi) e la canzone «S’eo son distratto inamoratamente», dove ser Brunetto si mostra anche poeta lirico. Tutti sappiamo che Brunetto fu maestro di Dante, il quale lo colloca all’Inferno, nel canto XV, benché ne riconosca «la cara e buona imagine paterna», quella di un uomo e di un sapiente di centrale risalto, in quanto, aggiunge il grande allievo, «m’insegnavate come l’om s’etterna».

Brunetto fu un intellettuale di prim’ordine nella Firenze del suo tempo, nel cuore del Duecento (nato verso il 1220, morì nel 1294), e rappresenta la figura del poeta al suo livello più alto, vale a dire autore di versi ma anche coltissimo letterato, oltreché studioso e uomo di pensiero. La stima di cui poteva godere lo portò anche ad onori e viaggi: fu in Spagna, ambasciatore ad Alfonso X re di Castiglia. Ma tornando da quel viaggio, dopo la vittoria ghibellina a Montaperti (1260), fu costretto all’esilio. Riparò allora in Francia, dove rimase sei anni e dove scrisse, non in latino, ma in francese (lingua allora più avanzata, strutturata e culturale rispetto al toscano), una delle sue opere maggiori, o forse la maggiore in assoluto il Tresor, che riappare oggi, con traduzione in italiano, nella bellissima edizione dei Millenni. Una summa dell’intero sapere, nelle sue varie forme, fino al medioevo dell’autore, un’opera di compilazione enciclopedica, anzi, una sorta di prima enciclopedia in volgare, di evidente impronta e orientamento etico-politico, dove troviamo filosofia teorica e pratica, logica, retorica e appunto politica.

D’altra parte, anche nella sua poesia, Brunetto non ebbe essenzialmente obiettivi estetici, ma piuttosto di carattere didattico e pedagogico, come altri poeti dell’epoca, e di provenienze diverse: al nord Bonvesin, Patecchio, Giacomino, Uguccione. Come loro egli fu un precursore di Dante, nel senso della costruzione di un viaggio morale attraverso le forme del bene e del male nell’uomo.

Tornato a Firenze, dopo la vittoria dei guelfi a Benevento, riprese la sua posizione di pubblico rilievo (fu anche priore, nel 1287) e scrisse in volgare il Tesoretto e il Favolello. Entrambi i poemetti sono composti in settenari monorimi e l’intento essenziale è quello di dirigerne le coscienze, di ammaestrare. Il che non esclude affatto esiti estetici, impennate poetiche, magari all’interno di argomentazioni lineari o prosastiche e a tratti riconoscibili come poetiche solo grazie alla versificazione e alla rima. Questi felici stacchi avvengono in genere in sentenze quasi epigrammatiche, in constatazioni del tipo: «E vidi [...] / che ogni creatura / ch’avea cominciamento / veni’ a finimento», o in elencazioni di elementi o figure della realtà naturale: «E vidi turba magna / di diversi animali, / che non so ben dir quali: / ma omini e moglieri, / bestie, serpent’e fiere, / e pesci a grandi schiere, / e di molte maniere / uccelli voladori, / ed erbi e frutti e fiori, / e pietre e margarite, / e altre cose tante». Non secondario elemento a favore di una lettura o rilettura di ser Brunetto è, appunto, l’importanza del suo insegnamento a Dante, che, - lo rileva puntualmente Stefano Carrai, ottimo e meritorio curatore di questo libro - presenta nella sua opera non pochi riecheggiamenti del maestro. Già molto evidente da questi versi: «Perdei il gran cammino / e tenni a la traversa / d’una selva diversa». O da questi altri: «e io presi andamento, / quasi per Aventura, / per una valle scura».

Ma un’indicazione forte era venuta a Dante, per la forma prosimetro della sua Vita nova, dalla Rettorica, dove Brunetto aveva tradotto Cicerone. Tutto questo, trattandosi del grandissimo Dante, non fa che aumentare l’importanza complessiva del suo maestro. A proposito del quale resta anche aperta la questione del peccato per il quale viene cacciato nell’Inferno.

Carrai elenca le ipotesi in proposito, a partire dalla più semplice e resistente, quella di omosessualità. Seguita peraltro da quella, piuttosto cervellotica, di blasfemia, o dal suo mancato riconoscimento della sacra autorità dell’Impero. E ancora: eterodossia religiosa, sesso praticato con mogli contro natura. Ma quello che ci resta, per fortuna, è l’opera, un’opera varia, con una cifra interna lirica, non sempre visibilissima ma ben presente. Lo si vede nella canzone di endecasillabi e settenari che chiude questa importante raccolta ma che anche la apre in copertina con questi versi: «S’eo son distretto / inamoratamente / e messo in grave affanno / assai più ch’io non possa soferire, / non mi dispero né smago neiente, / membrando che mi danno / una buona speranza di martire, / com’eo deggia guarire: / ché lo bon soferente / riceve usatamente / buon compimento de lo suo desire». Ed è appagante inoltrarsi nella selva della sua lingua, un volgare ancora antico, fluido e ruvido insieme, e in prodigioso movimento.


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