L’io «super» di Dante, non solo autore anche personaggio In un corposo saggio di Marco Santagata un’interpretazione dell’opera del sommo poeta tra storia, testi e autobiografia
di Carlo Albarello (l’Unità, 21.02.2012)
Se l’uomo per Dante è un essere singolare, libero nelle sue scelte e nei suoi giudizi, non meno lo è Dante per Marco Santagata. Uso a significative incursioni nelle belle lettere italiane, con L’io e il mondo. Un’interpretazione di Dante (Il Mulino), Santagata offre un singolare esempio di come si possano offrire nuove prospettive di lettura su un monumento della letteratura universale, ribadendone l’attualità. E diciamo subito che sarebbe ingiusto mettere in ombra di questo professore, che insegna letteratura italiana all’Università di Pisa, l’attività di scrittore e tra parentesi anni di lavoro dedicati al Canzoniere di Petrarca. Ma la verità è che il personaggio Dante è, di tutte le sue ricerche, almeno in un senso ideale, il naturale esito.
UNA FIGURA PREMODERNA
In effetti, Santagata ha composto questo volume curando parallelamente l’edizione delle Opere dell’Alighieri (Rime, Vita Nova, De vulgari eloquentia), il cui primo volume è tra i «Meridiani» (2011). Chi guardi oggi al tracciato di quelle pagine, può ristabilire in essenza, per quel tanto di fedeltà alle date di composizione che Santagata talora respinge, i tratti di un progetto unitario, un tutto coerentemente svolto, «imperniato su Dante stesso, sulla sua straordinaria autostima o, quanto meno, sulla sua convinzione di essere l’unico in grado di formularlo e di sostenerlo».
L’opera di Santagata restituisce così, in senso diagnostico, un Dante costantemente attento al proprio io e al mondo, scelti emblematicamente come titolo: una «figura premoderna» dalla «mente sistematica», ossessionato dall’idea di far tornare i conti del proprio personaggio. Da queste premesse derivano la predilezione per il contesto biografico e storico-culturale in cui nascono le opere, che anticipano il sacrato poema e le strette relazioni di continuità nell’ideale dantesco. Forte di anni di letture dantesche, l’autore svela le astuzie di Dante, attento a costruire i propri miti, Beatrice in primis. La Commedia, infatti, non è ancora all’orizzonte, Dante è semplicemente un poeta d’amore ma già è diverso dai rimatori coevi; ha «visioni, sogni, fantasticherie»: le propone come folgorazioni crisi epilettiche secondo l’autore che diventano segni di predestinazione dell’amore per una Beatrice «letteraria». Nella Vita nova «costantemente in bilico tra verità e menzogna» decide di raccontarne i momenti più significativi, piegando a questa bella invenzione rime scritte per altre. Ma anche se non avesse scritto la Commedia, Dante sarebbe passato alla storia per il progetto contenuto nel De vulgari eloquentia di fare, del volgare una lingua di cultura capace di infrangere il monopolio del latino.
Il continuo muoversi di Santagata tra storia, testi e autobiografia restituisce perfettamente anche il clima di quella stagione cruciale di impegno politico per Dante, che scrisse secondo lo studioso i primi canti della Commedia a Firenze per poi riprenderne la composizione nel 1306-07. Anche la Commedia è percepita come un organismo saldo, dal messaggio universale, percorso al suo interno da forti tensioni contingenti. Valga per tutte l’incontro con il capo indiscusso dei ghibellini, Farinata degli Uberti nel X canto dell’Inferno e quel «dialogo teso, a botta e risposta», per fare capire ai ghibellini di Firenze che la sua posizione politica nei loro confronti era cambiata.
Se i campioni minimi che abbiamo scelto sono scelti bene, dedurremo l’entusiasmo genuino con cui abbiamo scorso questo libro di Marco Santagata, che consente di leggere con luce nuova pagine di vita e di poesia che parevano acquisite e di non avanzare troppo larvati, ma con carte scoperte, anche nei territori di quell’«ultimo miracolo della poesia mondiale», quale è secondo Montale la Commedia, con nome e cognome dell’autore, ora disvelati: l’io e il mondo.