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IL NOME E L’IDENTITA’ ("TAUTOTES", in greco) DEL NOSTRO PAESE, NELLE MANI DI UN "UOMO PRIVATO" ("IDIOTES", in greco) E DEL SUO PARTITO ... CHE HA GIA’ PREPARATO UN BEL "TAUTO" (BARA, in greco-napoletano) ALL’ITALIA!!!

L’IDENTITA’ DELL’ITALIA E IL SONNAMBULISMO DEI FILOSOFI, DI FRONTE ALL’ATTACCO DELLA GENTE DALLA DOPPIA TESTA E DALLA LINGUA BIFORCUTA - di Federico La Sala

sabato 21 marzo 2009 di Federico La Sala
[...] Italia. Non confondiamo i livelli... e cerchiamo di non perdere la bussola della nostra sana e robusta Costituzione. Pensare e pensare, ma pensiamo democraticamente e correttamente. "Forza Italia": Non è possibile e non è accettabile! È necessario continuare a tentare, continuare a cercare (cercate ancora: come ha detto, scritto e ricordato poco tempo fa, il ‘vecchio’, indomabile, libero e fiero Pietro Ingrao in onore di Luigi e di Giaime Pintor, ma anche di Claudio Napoleoni, che (...)

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> L’IDENTITA’ --- Oltre il destino. Quel senso del nulla. Essere e Verità, vita e morte (di Vincenzo Vitiello)

lunedì 20 maggio 2013

Oltre il destino. Quel senso del nulla

Essere e Verità, vita e morte: il nuovo saggio di Emanuele Severino

L’autore torna sui temi a lui cari e integra in parte il suo pensiero precendente. Partendo dalla «Struttura originaria», la prima formulazione del sistema filosofico, affronta una questione necessaria quanto impossibile da spiegare

di Vincenzo Vitiello (l’Unità, 20.05.2013)

CON AMMIREVOLE COSTANZA EMANUELE SEVERINO PROSEGUE NELL’INCESSANTE, e per certi aspetti finanche ossessiva, interrogazione sui temi propri della sua filosofia: il nulla, il destino, l’isolamento della Terra. Non sono ancora trascorsi due anni dalla pubblicazione de La morte e la Terra, che esce il suo nuovo saggio, Intorno al senso del nulla (Adelphi, Milano 2013), che sta a mezzo tra il commento e la integrazione-revisione del precedente.

Il tema di quest’ultimo libro l’«aporia del nulla» lo collega direttamente alla Struttura originaria, la prima formulazione del sistema filosofico, che l’impose giovanissimo, all’attenzione della repubblica dei filosofi per l’arditezza delle sue tesi. Ma in che consiste questa aporia del nulla, peraltro già rilevata dal monaco Fredegiso di Tours agli albori del IX secolo? In ciò, che parlare del nulla è tanto necessario quanto impossibile: necessario per potere definire l’essere, impossibile, perché con l’atto stesso di opporlo all’essere gli si conferisce uno statuto d’essere, che lo nega come nulla.

La soluzione prospettata nella Struttura originaria, e variamente ribadita nelle opere successive, consiste nel distinguere il contenuto dell’enunciato, il significato «nulla», che per la sua contraddittorietà si nega da sé, dall’enunciare stesso, il positivo significare il nulla, l’incontraddittorio dire: «il nulla è nulla». Non è questa la sede per esporre le obiezioni che a tale soluzione sono state mosse (tra gli altri da chi firma questa nota). Più conveniente a questa sede, e in generale più interessante, ci sembra ragionare sulla strategia messa in atto da Severino per spiegare com’è possibile, per una filosofia che afferma con la negazione del nulla l’eternità di tutte le cose, ammettere un «nuovo tipo di aporia del nulla» rimasta «irrisolta», che consiste in quel problematico «non è» che pur ricorre, esplicitamente o implicitamente, in tutti i giudizi che noi, abitatori della Terra isolata dal Destino, correntemente adoperiamo.

E ancora come è possibile una «terza forma di autocontraddizione del nulla». La strategia è presto detta: quanto di nuovo dell’«aporetica del nulla» si presenta nel libro ultimo è nella sua forma essenziale già incluso nella Struttura originaria. Incluso, anche se non era detto. Il che è affatto coerente con la tesi fondamentale di questa filosofia che spiega la nascita delle cose eterne in quanto riposano nello sfondo inapparente dell’Infinito con il loro entrare negli orizzonti sempre finiti dell’apparire del Tutto, e la loro morte con la loro uscita.

Ma come spiegare la differenza tra l’apparire del Tutto in orizzonti sempre finiti, e l’inapparente essere infinito del Tutto? Severino ha dapprima risposto che l’Infinito appare negli infiniti circoli finiti del suo mai compiuto apparire. Risposta che lui stesso ha riconosciuto nsufficiente, dacché non colma la distanza tra l’apparire e l’essere (se si vuole: tra il pensiero e l’essere), al contrario l’eternizza. Nel libro La morte e la Terra si spinge oltre, affermando che nell’istante della morte «appare la totalità concreta e infinita dello sfondo». È, questo, un passaggio necessario della sua filosofia. Ma non ancora sufficiente: in Intorno al senso del nulla va ancora oltre: oltre l’istante della morte. Scrive: «A differenza di quanto si dice ne La morte e la Terra», lo «splendore dello sfondo» avviene «subito dopo tale istante, nell’avvento della Terra che salva, liberando lo sfondo e la pura terra dal contrasto con la terra isolata». (p. 98).

Le distinzioni si moltiplicano, «sfondo» e «splendore dello sfondo» sono diversi, come l’apparire della Totalità è diverso dall’apparire della Totalità liberata dal contrasto con la Terra isolata. Ma se l’istante della morte è ancora troppo legato alla vita, alla Terra isolata dal Destino, lo «splendore dello sfondo» che avviene subito dopo ricorda troppo da vicino quella pagina del Mondo come volontà e come rappresentazione sulla morte come liberazione dai limiti dell’io empirico. «L’uomo scrive Severino non muore all’interno di un vortice, di un divenire che lo travalica e sopravanza spingendolo nel nulla. L’uomo muore all’interno di se stesso. Muore come volontà singola all’interno di sé come cerchio eterno dell’apparire del destino» (ivi).

Esito paradossale di una filosofia che ha osato spingere il pensiero oltre ogni limite, anche quello della morte; ma che nel momento stesso che trova l’identità di Verità ed Essere scopre l’abisso che li tiene divisi. In eterno. Nell’eternità del Destino della necessità, che riconosce deve riconoscere eterna anche la Terra isolata dal Destino. La Pasqua della resurrezione e il Venerdì della passione restano in eterno uniti.

Esito paradossale, anzi sommamente aporetico, ma quanto mai istruttivo. L’incessante ritorno del filosofo sulle proprie soluzioni testimonia di un’inquietudine del pensiero che mai non s’acquieta; testimonia di quella infirmitas che è il carattere più proprio della pratica filosofica, che è sempre oltre la teoria in cui essa pur si costringe ad esporsi.


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