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GESU’, GIUSEPPE, SACRA FAMIGLIA?! RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE... E ANNUNCIARE LA BUONA NOTIZIA!!!

PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO. La ’buona’ novella di Luigi Pirandello - a cura di Federico La Sala

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" E FA IL SANTO "PADRINO".... CON "MAMMASANTISSIMA".
lunedì 19 marzo 2012
"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)
AL DI LA’ DELLA LEZIONE DI PAOLO DI TARSO: "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono (...)

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> PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO. --- Giuseppe, un padre a lungo nell’oblio (di Michele Dolz)

mercoledì 20 marzo 2013

LA DEVOZIONE

Giuseppe, un padre a lungo nell’oblio

di Michele Dolz (Avvenire, 20 marzo 2013)

​Nella chiesetta di Sancta Maria foris portas a Castelseprio, nel varesotto, c’è una delle più antiche rappresentazioni di san Giuseppe. Si tratta di un affresco raffigurante il viaggio a Betlemme databile al VII secolo. Prima di queste date Giuseppe è praticamente assente dalle raffigurazioni. Nell’arte funeraria dei primi tempi vediamo Maria col Bambino, magari all’arrivo dei Magi, ma Giuseppe non c’è.

A dire il vero, se già nei vangeli Giuseppe non dice una parola, certi apocrifi gli avevano tolto la silenziosa dignità per farne una figura risibile e del tutto secondaria. Nello Pseudo-Matteo, il Protovangelo di Giacomo e nella Storia di Giuseppe falegname si parla di un Giuseppe vecchio e senza vigore, con l’unico incarico di proteggere la verginità di Maria. È l’immagine che le icone riciclano subito specialmente nella scena della Natività, che prevede un Giuseppe anziano assopito in un angolo mentre Maria riceve l’omaggio dei pastori e gli angeli.

E questo modello è stato durissimo a morire.

L’iconografia di Giuseppe segue logicamente lo sviluppo della devozione al santo, che non è antica. Inutilmente lo si cercherà nell’enciclopedica Legenda aurea. E nelle Meditationes dello Pseudo-Bonaventura, libro francescano di enorme diffusione alla fine del Medioevo, ci si limita ad accennare a «quel santo vecchietto di Giuseppe». Giotto, sebbene abbia rinnovato la scena della natività, tratta Giuseppe ancora in quel modo.

La prima grande spinta alla devozione la dà Jean Gerson nel Quattrocento. Umanista e rettore della Sorbona, scrisse Consideration sur Saint Joseph e predicò vari sermoni sul santo al Concilio di Costanza. Anche san Bernardino da Siena e Pierre d’Ailly collaborarono alla diffusione di una devozione specifica. E naturalmente le sacre rappresentazioni sul Natale, patrimonio francescano. Le Rivelazioni di santa Brigida, pubblicate per la prima volta a Lubecca nel 1492 e lette da tutta la cristianità occidentale, presentano un Giuseppe che va in cerca di lume, di fuoco, di cibo.

E la figura comincia ad acquistare tratti umani definiti, tipologie innovative, che ne accentuano il ruolo di padre putativo, educatore, intercessore e patrono. Sisto IV (1471-1484) ne introdusse il culto istituendo la festa del 19 marzo. Gregorio XV, nel 1621, decretò la festa tra quelle comandate. Sussistevano le condizioni per uno sviluppo delle raffigurazioni artistiche.

Chiese, confraternite, compagnie d’arti e mestieri, istituti religiosi, e anche privati vollero dotarsi di opere d’arte per la loro devozione o patrocinio. Si sviluppano così due filoni iconografici, uno con la Santa Famiglia dove Giuseppe è coprotagonista, l’altro con scene di lavoro a Nazaret. Della prima si può ricordare la precoce xilografia di Dürer (1498 ca), dove in un paesaggio aperto Maria mostra il Bambino mentre Giuseppe, abbigliato come un paesano nordico, veglia un po’ indietro. È la famosa Sacra Famiglia con le tre lepri.

Dalla seconda metà del Cinquecento fioriranno le immagini di Giuseppe da solo o con il Bambino (in braccio o per mano). Sarà la Spagna post tridentina a dare la maggior prova della devozione trasformata in arte, in quella imagineria che da Siviglia a Valladolid produsse sculture lignee di altissima qualità e forte impatto, da Juan Martínez Montañés ad Alonso Cano.

Per la composizione della Santa Famiglia non si può ignorare la tela di Murillo conservata alla National Gallery di Londra, che raffigura in modo commovente la Trinità del Cielo e la "trinità" della terra. Nei dipinti di Murillo, come in genere nella Spagna dell’epoca, Giuseppe non è più vecchio, ma uomo pieno di vigore. Era crescente la devozione al Santo sotto l’impulso di un personaggio come Teresa d’Avila.

Nel Settecento subentra un aspetto particolare della devozione: considerare il transito di Giuseppe. Lo s’immagina morente tra l’amore di Maria e di Gesù, patrono così della buona morte. Si moltiplicano i dipinti con questo soggetto, anche per tutto l’Ottocento, ma non sono opere di particolare qualità.

Negli ultimi tempi si è verificato un veloce crescendo magisteriale sulla figura di Giuseppe: nel 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale. Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il Santo: la Quamquam pluries, del 1889. Nel 1921, Benedetto XV estese la festa della Sacra Famiglia a tutta la Chiesa. In questo clima nacquero alcune opere importanti, come Cristo nella casa di suoi genitori di John Everett Millais, dipinto nel 1850 e conservato alla Tate Gallery. Raffigura la bottega di Giuseppe con tutta la famiglia al lavoro, insieme ad alcuni garzoni. Opera eccellente, piena di una commozione giocata con la luce. Oppure la versione del tema affrescata da Modesto Faustini a Loreto nel 1890.

Michele Dolz


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