SE L’IO CATTIVO ORDINA LA STRAGE
La doppia personalità esiste, e si scatena quando la coscienza perde il controllo. La passione per le armi, come nel caso di Napoli, è un sintomo che deve allarmare
di Umberto Galimberti (la Repubblica D, n. 941, 30 maggio 2015)
Condivido la diagnosi della neuropsichiatra, che mi pare corretta. Troppo spesso siamo sicuri della nostra identità, e questa sicurezza è tanto più solida quanto più rimossa è l’altra parte di noi stessi.
Il motivo della doppia personalità è presente nel mito, nella letteratura, nei flm, nella psicoanalisi, nell’immaginazione infantile (si pensi al "compagno immaginario" che i bambini inventano per dialogarci nei momenti di solitudine), in un gioco vertiginoso di ombre e specchi.
Come scrive Wendy Doniger in La differenza sdoppiata (Adelphi): «Le mitologie indù e greca abbondano di sdoppiamenti incentrati sull’identità di persone che in vario modo hanno subito una scissione. Queste storie affrontano problemi che interessano molte culture, compresa la nostra: quale risposta dare?». Questa domanda è ripresa da Massimo Fusillo in L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio (Mucchi Editore), secondo il quale: «Si parla di doppio quando l’identità di un personaggio si duplica: uno diventa due. A questo punto sorge l’interrogativo: come si fa a essere ciò che si è?».
È quanto accade per esempio in La prodigiosa storia di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso (1814), La principessa Brambilla di Ernst Hoffmann (1820-1821), Il sosia di Fëdor Dostoevskij (1846), Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde di Robert Louis Stevenson (1885), Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde (1891), La metamorfosi di Franz Kafka (1915). In questi romanzi è in gioco l’identità dell’Io, a proposito del quale Jacques Derrida scrive: «L’Io è sempre in certo qual modo uno pseudonimo», dietro il quale si agitano le più radicali domande su quel labile confine che delimita l’Io e l’altro da sé.
Si tratta di un confine che la psicoanalisi di Freud ha cercato di precisare distinguendo l’Io dall’Es e dal Super-io, mentre la psicologia analitica di Jung in qualche modo vi allude delimitando l’Io quale cerchio minore nel cerchio maggiore del Sé. Sempre in ambito psicoanalitico, lo studio più approfondito su questo tema è stato condotto da Otto Rank (Il doppio, Edizioni SE), per il quale il doppio è l’immagine rimossa di se stessi che, quando appare al soggetto, da un lato genera angoscia fino a incrinare la sicurezza della propria soggettività, dall’altro consente al soggetto di realizzare surrettiziamente i propri desideri più nascosti e rimossi, come il soggetto non oserebbe mai e come la sua coscienza non gli permetterebbe mai di agire. Ma quando la coscienza cala le sue difese, l’altra parte di noi stessi, con cui non facciamo mai i conti e mai ci rapportiamo, irrompe producendosi in gesti che noi tutti conosciamo nei nostri momenti d’ira, devastanti, quando non sono più controllati.
Quanto a coloro che detengono armi o si esercitano nei poligoni di tiro, ovviamente non è escluso che sia sottesa a questa passione, neppure troppo nascosta, la possibilità di uccidere. La stessa che anima i cacciatori che, per il piacer loro, privano noi tutti della gioia di vedere gli uccelli volare nel cielo e non consentono agli animali di abitare quei pochi boschi e foreste risparmiati dalla cementificazione. L’io cattivo, come lei lo chiama, già governa indisturbato l’io buono in molti di noi, e di volta in volta se ne vedono gli effetti devastanti, perché chi si rifornisce di armi o non rispetta la natura che ci circonda ha già di suo una natura governata dalla tentazione omicida. Che prima o poi può esplodere. La doppia personalità esiste, e si scatena quando la coscienza perde il controllo.