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CALABRIA. Rinascimento della filosofia e della scienza...

V CENTENARIO DELLA NASCITA DI BERNARDINO TELESIO (Cosenza, 1509 - 1588). Un’occasione imperdibile, da non sciupare. Una nota di Franco Crispini - a cura di Federico La Sala

venerdì 27 marzo 2009
[...] Ci si può aspettare dalla ricorrenza centenaria altri passi in avanti (già ne sono stati compiuti di interessanti nel 1988, anno Centenario della morte) in una ricerca che riguardi l’insieme delle questioni telesiane sulle quali ancora sussistano lacunosità e perplessità proprie della critica filosofica?
C’è da augurarsi che almeno su due punti si aprano nuovi spiragli: all’origine di quella che è stata chiamata la "rivoluzione scientifica" moderna, quale idea di scienza si ritrova (...)

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>Tommaso Campanella. Indicato come capo della congiura antispagnola di fine ‘500 in Calabria a Napoli ... Tradire la Chiesa? Una follia (di Angelo d’Orsi)

mercoledì 22 agosto 2012

Tradire la Chiesa? Una follia

di Angelo d’Orsi (il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2012)

Sicché il buon Paolo Gabriele, per tutti Paoletto, una pasta d’uomo, gentile educato preciso efficiente, viene sottoposto a perizia psichiatrica. Colui che custodiva i segreti del pontefice di Roma, pazzo? Aveva un piano per restituire a Santa Romana Chiesa dignità e pulizia, vedeva Ratzinger circondato da gente pericolosa, sul punto di essere sopraffatto dalle forze del male... Lo scandalo si annidava nelle “sacre stanze”. E dov’è la rivelazione? Anche senza essere frequentatori di quegli ambienti, abbiamo tante volte avuto sentore che le cose non andassero poi così bene.

Pazzo, dunque? A quanto pare gli esiti di due perizie sono contrastanti: e anche se quella ordinata dalla Santa Sede sembra propendere per l’imputabilità di Paoletto, sta di fatto che quando si tocca la Chiesa nelle sue alte e altissime gerarchie, si rischia di passare per pazzi. O, da un altro punto di vista, si può pensare che il solo modo di salvarsi, non solo dal potere temporale, ma anche da quello spirituale, sia la follia.

Quanto al banchiere Gotti Tedeschi: pazzo anche lui? La perizia sulle sue capacità di intendere e operare - era addirittura a capo dello Ior - è stata piuttosto un escamotage: un tizio messo alle calcagna per studiare i comportamenti del “banchiere di Dio”, per poter giungere, a seguito di opportuna informativa alle autorità vaticane, all’esito sperato di dichiararlo inadatto a dirigere l’Istituto finanziario della Santa Sede. Sono pazzi, o comunque inabili a svolgere un certo ruolo, quando serve cacciarli, sani quando serve spedirli al fresco. Le perizie psichiatriche, naturalmente, non sono come quelle sulla caldaia a gas: scienza incerta, insomma, e quindi esiti pilotabili.

Eppure il rapporto tra Chiesa cattolica e follia è interessantissimo storicamente. Ci rimanda indietro nel tempo, alla Santa Inquisizione, quando si veniva indagati - e con quali sistemi! - se scritti, parole dette, gesti, comportamenti e costumi (anche nel senso dell’abbigliamento) potevano far insorgere anche il più tenue dubbio sulla ortodossia di un qualsiasi disgraziato, fosse esso un teologo che si poneva dei quesiti, un mugnaio che possedesse libri, una contadina che si appartava nel bosco ...

Il solo modo di sottrarsi alla condanna era dimostrare di essere pazzi. Allora, la perizia si chiamava tortura. In effetti gli inquisiti sovente simulavano la follia, per sottrarsi alle fiamme purificatrici della Santa Chiesa di Roma, la quale, come si sa, si limitava a bruciare i corpi, ed era pronta, benevolente, ad ammettere la possibilità per il condannato al rogo, di salvare la propria anima, attraverso il pentimento. Ossia, pentirsi non sempre era sufficiente a salvarsi, ma poteva per esempio risparmiare di finire tra le fiamme. Ossia, si finiva si arrostiti, ma dopo esser stati giustiziati. Una gran consolazione, in effetti: una sorta di cremazione dei cadaveri.

Ma se il pentito, dopo aver ammesso la sua colpa, veniva perdonato, e ricadeva in quello che benignamente si chiamava “errore”, beh, allora nessuna pietas per quel “relapsus”, ossia l’eretico fatto e finito. Per lui solo la pazzia conclamata poteva sospendere la pena di morte: bizzarra la giustificazione. L’imputato sano di mente anche “in articulo mortis” si può pentire guadagnando così il paradiso; invece, il colpevole condannato a morte, se colpito da follia, non ha modo di riflettere sulla propria colpa e pentirsi: sicché per lui si apriranno le porte dell’inferno. Insomma, era lecita la condanna a morte, ma non all’inferno, a cui soltanto Domineddio può condannare. Ora, pochissimi resistevano alle torture e, se non crepavano sotto i ferri o le funi, finivano per crollare, ammettendo le colpe.

La morte, si sa, è preferibile alla sofferenza estrema. Ma qualcuno resisteva. Il più celebre esempio è quello di Tommaso Campanella. Indicato come capo della congiura antispagnola di fine ‘500 in Calabria a Napoli, arrestato, fu imputato anche di eresia. Per mesi si finse pazzo, senza convincere gli inquisitori, che giunsero a spiarlo in cella. Infine, fu sottoposto alla tortura della “veglia”. Legato con le mani dietro la schiena, e appeso a una fune su una trave, con continui strattoni alla corda che provocavano slogamenti degli arti, e dolori intensissimi. La tortura durò circa quaranta ore, durante le quali l’imputato era interrogato, e di tanto in tanto veniva fatto scendere dalla corda e sedere su un cuneo, che gli lacerava le carni.

Eppure, quell’uomo forte di corpo come di spirito, continuò a simulare, ingannando i suoi aguzzini, che alla fine si accontentarono di condannarlo al carcere a vita. Uno dei manovali della tortura, poi, avrebbe raccontato di aver udito il Campanella, che veniva accompagnato al Maschio Angioino per scontare la pena, bofonchiare, beffardo: “Che si pensavano che io era coglione, che voleva parlare?”.


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