L’ordine dopo la follia
di Ida Dominijanni (il manifesto, 29 marzo 2009)
C’è il tempo della follia e c’è quello della razionalità. C’è il calore del carisma e c’è la freddezza dell’affidabilità. C’è l’abbraccio simbiotico col popolo, e c’è l’ordine istituzionale che separa corpi e gerarchie. Chi fin qui s’è posto il problema del rapporto fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini nei termini canonici della successione e del delfinato, scrutando nelle risse quotidiane i segni di un contrasto strategico, potrà interpretare le performance dei due leader alla Fiera di Roma come una conferma, ma forse meglio farebbe a vederci una smentita. In politica, come nella storia, non vale il tempo lineare e progressivo: i tempi si sovrappongono, e le divaricazioni possono convergere.
Distanti nei contenuti e nelle forme, Berlusconi e Fini non si elidono e non si contraddicono, si sommano come le due metà complementari di un disegno a un’unica direzione. Senza la "lucida follia" di Berlusconi, è Fini a dirlo, il glorioso quindicennio che va dal ’94 a oggi non ci sarebbe stato e il Pdl non sarebbe mai nato. Ma senza la gelida razionalità di Fini, quel quindicennio sarebbe destinato a finire nel vento di una storia che comincia a girare dall’altra parte, il carisma del Capo a sgonfiarsi prima o poi come la bolla speculativa, il sistema istituzionale ad assestarsi senza sedimentare il terremoto degli anni novanta. Per Berlusconi Fini non è solo un ingombro: è una necessità. E per Fini Berlusconi non è solo la fonte mistica della grazia ricevuta in forma di sdoganamento: è un propellente da cui continuare a drenare energia.
Consumata, nel discorso d’apertura di Berlusconi, l’apoteosi della "rivoluzione azzurra" iniziata con la mitica "discesa in campo" del ’94; confermati uno per uno i suoi luoghi comuni, i suoi falsi storici e i suoi fantasmi anticomunisti; messa in scena la relazione d’incantamento fra capo e popolo che del Pdl è il cuore e quella fra partito e nazione che ne è il programma, bisognerà pure pensare al futuro. Ed è qui che arriva in soccorso Fini, per prefigurare la ragione generata dalla follia, l’ordine generato dalla rivoluzione, la farfalla - nelle sue parole - che prima o poi dovà pur nascere dalla crisalide. Ovvero, la grande riforma dello stato, del governo e del parlamento che darà finalmente un profilo definito alla seconda repubblica, ripulirà il quindicennio rivoluzionario dei suoi eccessi populistici, e metterà fine ai contrasti di oggi fra l’uomo delle istituzioni, che "deve" difendere la norma vigente, e l’uomo di governo, che "giustamente" rivendica più poteri. Quella riscrittura della Costituzione che dopo il ’94 Berlusconi non potè fare con un’assemblea costituente, che non volle concludere in una bicamerale che non gli concedeva abbastanza, che in seguito gli fu bloccata da un referendum, "il partito degli italiani" potrà finalmente imporla con piglio egemonico.
Diversamente da come qualcuno sperava anni fa a sinistra, la "nuova destra" italiana non si è costituzionalizzata: viceversa, concluderà la sua avventura riscrivendo la Costituzione. E diversamente da come qualcuno scrive oggi, nel futuro non c’è una nuova Dc ma il suo reciproco: la Dc traghettò pezzi dello stato corporativo nella repubblica costituzionale, il Pdl vagheggia uno stato neo-corporativo sulle macerie della repubblica costituzionale.
C’è materia, certo, che divide Fini dal Capo carismatico: ma sui diritti degli immigrati ci penserà la Lega a frenarlo, sulla laicità dello stato ci ha già pensato il dibattito di ieri, sulla politica economica continuerà a dettare legge il premier-imprenditore e sul referendum si vedrà. Per il resto, la prospettiva è la stessa, parla la lingua comune della Nazione e della tradizione, e si avvale di una contro-narrazione della storia repubblicana che ha i suoi intellettuali organici alla Quagliariello e i suoi replicanti alla Cicchitto, ed è diventata di senso comune senza adeguati anticorpi da parte della sinistra. La quale, in questo Fini ha ragione, a confronto con la nascita del Pdl non appare in crisi di consenso, ma di idee. C’è ancora un errore che per mancanza di idee può fare, ed è quello di prendere Gianfranco Fini a propria star di riferimento per rimettere in ordine il paese.