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ITALIA. TERREMOTO IN ABRUZZO

ALL’AQUILA LA SITUAZIONE PIU’ DRAMMATICA. Nel capoluogo e in alcune delle sue frazioni, come Onna, quasi rasa completamente al suolo, e Paganica, dove sono già state registrate numerose vittime.

In ginocchio, davanti al paese crollato, la presidente della Provincia Stefania Pezzopane che si è appena lasciata alle spalle le macerie della sua casa dell’Aquila. Cerca di consolare tutti e ripete: "Troppi allarmi non ascoltati, questa è una tragedia annunciata"
lunedì 6 aprile 2009 di Federico La Sala
[...] Sono almeno 26 i Comuni interessati in modo ’’serio’’ dal terremoto, e i danni riscontrati, i crolli di case vecchie, ma abitate e addirittura di almeno quattro palazzi, letteralmente implosi all’Aquila, fanno temere che il numero delle vittime sia destinato a salire e che sia possibile determinarlo solo tra molto tempo. In molti paesi come Santo Stefano di Sessanio, Castelvecchio Calvisio, San Pio, Villa Sant’Angelo, Fossa, Ocre, San Demetrio ne’ Vestini e i centri dell’Altopiano (...)

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> ALL’AQUILA LA SITUAZIONE PIU’ DRAMMATICA. ---- L’ITALIA IN LUTTO PIANGE I MORTI D’ABRUZZO.

venerdì 10 aprile 2009

ANSA» 2009-04-10 18:34

L’ITALIA IN LUTTO PIANGE I MORTI D’ABRUZZO

dell’inviato Matteo Guidelli

L’AQUILA - Le donne, le madri, sono sempre le piu’ forti: ma non ce n’e’ una che, passando davanti alla bara di Antonio Iovan, che ha vissuto solo 5 mesi e che ora sta chiuso in 50 centimetri di legno bianco, sia riuscita a trovare dentro di se’ quella forza che le impedisse di piangere. Non e’ un funerale qualsiasi, questo dell’Aquila, perche’ 205 bare tutte insieme sono troppe: i morti della stazione di Bologna furono 85, due volte e mezzo meno di quelli di oggi. E quelli della Moby Prince 140, 65 in meno.

A Gemona, nel terremoto del Friuli del ’76 morirono 369 persone, ma non ci fu un rito collettivo. Ecco, all’Aquila oggi c’e’ stata una cosa nuova a cui solo la storia, domani, dara’ un nome e che difficilmente l’Italia dimentichera’. 205 bare tutte insieme non ci sono mai state: 50 per fila, quattro file, ciascuna di 300 metri. Fanno male. Cosi’ come annienta la Spoon River che c’e’ sopra: foto, biglietti, peluche, una maglia da rugby, un solo fiore, un anello. Ricordi di vite sparite. Alle 7 sono gia’ la’, mentre i primi parenti cominciano ad arrivare in questa immensa scuola della Guardia di Finanza, che e’ l’unica cittadella sopravvissuta di una citta’ distrutta.

’’Dio voglia che da questa insopportabile e assurda storia di morte nasca una nuova e luminosa storia di vita e di speranza’’ dice dall’altare il vescovo dell’Aquila, Giuseppe Molinari, anche lui terremotato, strappando un applauso convinto durante una cerimonia, che, senza colonne, capitelli e organi, perde un po’ di solennita’, ma acquista molta umanita’. Ha ragione, Molinari e i primi a saperlo sono proprio gli aquilani che riscoprono nella piazza d’Armi della caserma l’Agora’ greca, il centro della vita in comune: si avvicinano, si rincontrano, si abbracciano, ricordano. ’’Ce la faremo’’; ’’Lo sapevo che stavi bene’’, ’’Non piangere, vieni qui’’; ’’Ero in bagno, perche’ sono salvo non lo so’’; ’’Fate una new town’’, Fate l’Aquila 1, l’Aquila 2 , l’Aquila 24 , ma fatela’’, ’’Dammi la mano’’; ’’Mamma domani posso andare da Giulia?’’. Mai come oggi lo Stato e’ presente. Con le prime quattro cariche dello Stato, i ministri, l’opposizione dentro e fuori il Parlamento, le forze armate e quelle di polizia, i Comuni, le Regioni e le Province e i volontari. Defilati, scegliendo di non togliere ai parenti spazio davanti alle bare. C’e’ lo Stato, perche’ sa che questa partita non la puo’ perdere, pena la perdita di dignita’ di un Paese. Napolitano e’ stretto nel cappotto nero e i suoi occhi passano da una bara all’altra non riuscendo a nascondere la sofferenza. Berlusconi piange: lascia il settore riservato alle autorita’ e si piazza tra i parenti in piedi. Stringe mani, accarezza volti.

Ad un giovane inginocchiato prova a infondere fiducia. ’’Non in ginocchio, ma schiena dritta’’. Ma e’ difficile anche per un ottimista come il Cavaliere crederci fino in fondo. ’’Esperienza lancinante - dira’ poi - non dimentichero’’’. Bertolaso, l’uomo delle emergenze, e’ spaesato, lui cosi’ sempre presente e sicuro. Loro, i parenti, sono invece nella terra di nessuno: quel mondo di dolore senza risposte, dove soli si entra e soli si esce. C’e’ chi non ce la fa e sviene, chi sta seduto affianco alla bara del proprio caro, chi guarda nel vuoto per non guardare dentro di se’. Ci sono i sopravvissuti della casa dello studente, uno dei simboli di questo incubo. E ci sono le mamme di Onna, il paese distrutto, 39 morti su 250 abitanti, stanno mano nella mano, facce dure, di gente che sa cosa vuol dire soffrire, perche’ la vita, anche prima del terremoto, non era facile.

E facce dolci, di gente semplice e genuina. C’e’ anche il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, terremotato anche nell’anima. ’’Devo salutare troppi amici, troppi vicini, troppi figli di colleghi in quelle bare. E’ una tragedia’’. ’’Questa cosa segnera’ la storia dell’Aquila - conferma il presidente della Regione, Gianni Chiodi - questo e’ il giorno del dolore per la citta’ e dell’Italia’’. A tutti loro si rivolge Benedetto XVI nel messaggio letto dal suo segretario, padre Georg Gaenswein. ’’Vi sono spiritualmente vicino in questa immane tragedia - scrive il papa - non bisogna cedere allo sconforto, perche’ questo e’ il momento di impegno in sintonia con lo Stato’’. C’e’ anche il messaggio del presidente dell’Ucoii Mohammed Nour Dachan, perche’ tra le vittime ci sono anche sei musulmani e non importa che le loro bare oggi qui non ci sono. I morti sono tutti uguali, come dovrebbero essere i vivi. ’’Il Dio unico - dice - aiuti l’Abruzzo a tornare a fiorire’’.

Ma non e’ oggi il giorno per scacciare l’incubo. Lo ricordano a tutti madre e figlia che i vigili del fuoco tirano fuori dalle macerie proprio mentre sono in corso i funerali. Sono morte domenica e solo ieri e’ stata segnalata la loro scomparsa. Da qualche altra parte, nel centro deserto dell’Aquila, ci sono ancora morti da trovare. E incubo, peggiore, sono gli sciacalli, quei quattro romeni che con la complicita’ di una loro concittadina che faceva la badante a un vecchio hanno svaligiato la casa mentre l’Aquila piangeva i suoi morti. Segno che il mondo sa essere cattivo e brutto anche quando potrebbe risparmiarselo. Meglio, allora, tornare ad Antonio Iovan e i suoi cinque mesi: se ne e’ andato con la mamma Darnica e il papa’ Laurentiu. Romeni venuti in Italia a cercare un futuro migliore e morti da italiani. Assieme ad Alessio, Caterina, Adriana, Salvatore, Giuseppina, Chiara, Michele, Maria Incoronata...


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