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Memoria della libertà....

A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI. Federico La Sala risponde a Dario Antiseri. E lo scontro piace. La loro dialettica è tutta da gustare - lo scritto è del prof. Federico La Sala

A seguire, i testi di riferimento
venerdì 16 maggio 2008 di Emiliano Morrone
[...] "anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (...) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud" (Thomas Mann) [...]
Costituzione dogmatica della chiesa "cattolica"... e costituzione dell’Impero del Sol (...)

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> A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! ---- La psicoanalisi è morta, viva la psicoanalisi. .. La disciplina con il marchio doc del dottor Freud attraversa un’indubbia crisi proprio nel momento in cui s’impennano i numeri degli psicologi e si moltiplicano le scuole di psicoterapia (di Giovanna Pezzuoli).

mercoledì 29 ottobre 2008

La psicoanalisi è morta, viva la psicoanalisi

-  Gli abilitati all’esercizio della psicoterapia sono 25.710 mentre 9.500 sono i medici specializzati in psichiatria
-  Le scuole 316 sono quelle riconosciute dal ministero, 290 quelle non ancora «legalizzate».
-  Il record nel Lazio: 73 istituti
-  Psicologi, invasione low cost
-  Raddoppia il totale dei laureati: 67.712 nel 2008
-  Tra gruppi e correnti la psicoanalisi va in crisi

di Giovanna Pezzuoli (Corriere della Sera, 29.10.2008)

La psicoanalisi è morta, viva la psicoanalisi. La disciplina con il marchio doc del dottor Freud attraversa un’indubbia crisi proprio nel momento in cui s’impennano i numeri degli psicologi e si moltiplicano le scuole di psicoterapia. Antonella Mancini in «Il fascino indiscreto della psicoanalisi » - uscirà nel numero di novembre del trimestrale Psicoterapia e Scienze umane (un migliaio di copie; www.psicoterapiaescienzeumane. it) - parla di «cambiamenti più grandi di noi»; e stigmatizza un’offerta di formazione «da parte di noi psicoanalisti spesso sgangherata e disomogenea, specchio fedele dei contrasti fra gruppi e correnti ».

Alla base della piramide c’è il «boom» degli psicologi. Secondo il loro Ordine, nel decennio 1997-2008, il numero totale dei laureati in psicologia è più che raddoppiato: da 27.847 a circa 67.712 (un terzo di tutti i colleghi europei, circa uno psicologo ogni 850 abitanti). «Ma bando alle illusioni- osserva Enrico Molinari, presidente dell’Ordine degli psicologi lombardi e docente di Psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano -: è una massa difficilmente collocabile sul mercato del lavoro, con i laureati provenienti da atenei privi di selezione "cestinati" in partenza. Gli iscritti a psicologia nel 2008 erano 70 mila e, a questo ritmo, potrebbero aumentare».

Quanto agli psicologi abilitati all’esercizio della psicoterapia, sono 25.710. L’iter per diventare professionisti dura, in media, 4 anni, ed è assai vario: in Italia esistono 316 scuole di psicoterapia riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con altrettanti indirizzi psicologici, cui se ne aggiungono altre 290, tra scuole, associazioni e agenzie formative, non ancora «legalizzate ». Regna un certo eclettismo (leggi confusione). La mappa regionale dell’offerta di aiuto è assai discontinua con la punta massima in Lazio (73 scuole), quasi un terzo in più rispetto alla Lombardia, il triplo rispetto al Veneto e alla Toscana, il quadruplo rispetto al Piemonte. Giù, giù, fino allo zero tondo di Val d’Aosta e Molise.

Una folla di professionisti, cui vanno «sommati» i 9.500 medici specializzati in psichiatria, nonché educatori, assistenti sociali, volontari che «a vario titolo si prendono cura della salute mentale degli italiani». «Un’inquietante armata Brancaleone, su cui incombe il miraggio di una formazione e riqualificazione sempre più problematiche come antidoto allo spettro della disoccupazione - aggiunge Antonella Mancini -. Ed è qui che arriva la psicoanalisi (già domestica e già addomesticata). All’immenso serbatoio di potenziali utenti offre una gamma differenziata di prodotti, dal trattamento individuale (per i pochissimi che hanno voglia, tempo e soldi) alle supervisioni individuali e di gruppo, istituzionali e non; ai gruppi a tema, focali e non...».

«La psicoanalisi è diventata un’area di pensiero diffusa e variegata e questo, paradossalmente, ha coinciso con un suo discreto declino», rileva Giampaolo Sasso, socio della Sipp, Società italiana di psicoterapia psicoanalitica, di area freudiana, guidata da Giovanni Starace, 150 iscritti. E individua tre fattori per il «calo di vocazioni» strettamente psicoanalitiche (vale la pena di ricordare che gli psicoanalisti, formati dalle scuole ufficiali, in Italia, sono poco più di 1.500): un eccesso di ortodossia della tradizione; la diffusione di una pletora di altri istituti cognitivistici, comportamentali, di terapia familiare; infine, l’accesso più facile in settori meno professionalizzati.

«Noi accettiamo solo allievi con almeno 2 anni di analisi - spiega - e i giovani non se lo possono sempre permettere ». Problema economico che si ripercuote anche sui pazienti. «In termini di mercato - prosegue Sasso - chi vive un disagio può essere agganciato, oggi, da un qualsiasi counsellor più facilmente che da uno psicoterapeuta professionista, con il rischio di un sollievo superficiale e ingannevole... Cambiano anche i problemi, non più solo nevrotici, ma spesso "al bordo della psicosi", alimentati da una crescente perdita del senso della realtà, vedi fenomeni come il Grande Fratello e l’Isola dei famosi o la bolla finanziaria non a caso scoppiata proprio ora».

Ma che accade nella roccaforte del pensiero freudiano, la rigorosissima Società psicoanalitica Italiana di musattiana memoria? «La crisi c’è - ammette Giampaolo Kluzer, socio della Spi e presidente del Centro milanese di psicoanalisi - oggi ci sono più persone interessate alla terapia e meno persone che fanno l’analisi classica».

Numeri alla mano, però, la crisi vistosa che ha colpito Stati Uniti, Inghilterra e Germania, in Italia non si è ancora sentita. Nel 1996 i soci Spi erano 520, accanto a 280 candidati; 10 anni dopo i soci sono aumentati, 764, e i candidati sono diminuiti, ma in modo quasi impercettibile, passando a 268. «Pochi hanno il coraggio e i soldi per affrontare un percorso che dura 7-8 anni - spiega Kluzer -. Del resto noi non ci siamo "adeguati": i candidati devono fare le loro analisi personali sempre di 4 sedute settimanali. L’unico allentamento c’è stato nel passaggio successivo, per diventare analista, infatti, occorre un lavoro con un supervisore per almeno 2 anni con almeno 2 pazienti. Di fronte a evidenti difficoltà, abbiamo accettato che uno dei due pazienti facesse 3 sedute invece di 4». Variazione minima nella super scuola, saldamente ancorata al tripode freudiano, immutato dal 1920: analisi personale, lavoro con il supervisore e seminari teorici.

«Il cambiamento principale, oggi, è la richiesta di terapie brevi», osserva Silvia Vegetti Finzi, lacaniana «indipendente» che si definisce una storica e teorica della psicoanalisi. «La gente ha fretta, si sposta molto, i tempi lunghi non sono più in sintonia con la nostra società. Certo i giovani devono sapere che non sarà facile diventare psicoterapeuta. È un percorso che dura almeno 10 anni e non è garantito nei suoi esiti professionali. Dovrebbe intraprenderlo solo chi è mosso da una vera passione».

«Un tempo la domanda di formazione nasceva da un bisogno profondo, soggettivo, legato alla storia personale del candidato, oggi risponde più ad esigenze di mercato», le fa eco Nadia Fina, segretaria milanese del Cipa (Centro italiano di psicologia analitica, 170 iscritti e 70 allievi, circa il 50 per cento in più rispetto a 10 anni fa), di tradizione junghiana. «È diminuita la possibilità di investire soldi sulla propria vita, ma se si offrissero gli stessi trattamenti nel pubblico saremmo pieni di richieste », osserva Elisabetta Franciosi, un’altra analista di formazione junghiana. «La cosa più utile - aggiunge - sarebbe rivolgere l’attenzione ai soggetti deboli di una megalopoli, disoccupati, precari, migranti. Oggi servono psicologi del lavoro, invece si sfornano psicoterapeuti che sarebbe meglio chiamare coach.

L’ultima moda è la cura dell’anima da parte del filosofo, ma i problemi che intercettiamo sono attacchi di panico, sintomi psicosomatici, come puoi trattarli con filosofia?». Intanto, per la prima volta la psicoanalisi ha debuttato in tivù. Dopo il cinema, da Woody Allen a Hitchcock, sono i serial televisivi a spiare il lettino dell’analista: da tre settimane «In Treatment», maratona in 45 episodi che ha già sedotto l’America e spopolato in Israele, racconta agli italiani su Sky Cult la nevrosi aggressiva del reduce Alex o l’autolesionismo della giovane ginnasta Sophie, pazientemente ascoltati dal terapeuta Paul, alias Gabriel Byrne...


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