DOPO "Una stanza tutta per sé" (1929), DOPO I "Pensieri di pace durante un’incursione aerea" (1940), DOPO LA DECAPITAZIONE DI OLOFERNE E LA FINE DELLA CLAUSTROFILIA, CHI HA (ANCORA!) PAURA DI "GIUDITTA", di "JUDITH", DI VIRGINIA WOOLF, E DI FACHINELLI E FREUD NELLA "NAVE" DI GALILEI?!:
PENSIERI DI PACE DURANTE UN’INCURSIONE AEREA [1940]
di Virginia Woolf *
I tedeschi sono passati sopra questa casa ieri sera e la sera prima. Eccoli un’altra volta. E’ una strana esperienza, questa di stare sdraiata nel buio e ascoltare il ronzio di un calabrone che in qualsiasi momento può pungerci mortalmente. E’ un rumore che non permette di pensare freddamente e coerentemente alla pace. Eppure è un rumore che dovrebbe costringerci - assai più che non gli inni e le preghiere - a pensare alla pace. Poiché se non riusciamo, a forza di pensare, a infondere esistenza a questa pace, continueremo per sempre a giacere - non questo corpo in questo letto bensì milioni di corpi non ancora nati - nello stesso buio, ascoltando lo stesso rumore di morte sulla testa. Facciamo tutto il possibile per creare il solo rifugio antiaereo efficace, mentre là sul colle sparano i cannoni e i riflettori tastano le nuvole; e qua e là, a volte vicino, a volte lontano, cade una bomba.
Lassù in cielo combattono giovani inglesi contro giovani tedeschi. I difensori sono uomini, gli attaccanti sono uomini. Alla donna inglese non vengono consegnate armi, né per combattere il nemico né per difendersi. Ella deve giacere disarmata, questa sera. Eppure se ella crede che quel combattimento lassù in cielo è una lotta da parte degli inglesi per proteggere la libertà, da parte dei tedeschi per distruggere la libertà, ella deve lottare, con tutte le sue forze, dalla parte degli inglesi. Ma come può lottare per la libertà senza armi? Fabbricandole, oppure fabbricando vestiti e alimenti. Ma c’è un altro modo di lottare senza armi per la libertà. Possiamo lottare con la mente; fabbricare delle idee, le quali possano aiutare quel giovane inglese che combatte lassù in cielo a vincere il nemico.
Ma perché le idee siano efficaci, dobbiamo essere in grado di accendere la loro miccia. Dobbiamo metterle in azione. E quel calabrone in cielo mi sveglia un altro calabrone nella mente. Ce n’era uno questa mattina, che ronzava nel "Times"; era la voce di una donna che protestava: "Le donne non possono dire una parola sulle questioni politiche." Non c’è nessuna donna nel Gabinetto; né in nessun posto di responsabilità. Tutti i fabbricanti di idee, in grado di attuare queste loro idee, sono uomini. Ecco un pensiero che soffoca il pensiero, e incoraggia invece l’irresponsabilità. Perché non sprofondare allora la testa nel cuscino, otturarsi le orecchie e abbandonare questa futile attività di fabbricare idee? Poiché ci sono altri tavoli, oltre ai tavoli dei militari, e i tavoli delle conferenze. Potrebbe darsi che se noi rinunciamo al pensiero privato, al pensiero del tavolo da tè, perché esso ci sembra inutile, stiamo privando quel giovane inglese di un’arma che potrebbe essergli utile. Non stiamo esagerando la nostra incapacità, solo perché la nostra capacità ci espone forse all’insulto, al disprezzo? "Non cesserò di lottare mentalmente", scrisse Blake. Lottare mentalmente significa pensare contro la corrente, e non a favore di essa.
E quella corrente scorre veloce e violenta. Straripa in parole dagli altoparlanti e dai politici. Ogni giorno ci dicono che siamo un popolo libero il quale combatte per difendere la libertà. Quella è la corrente che ha trascinato nei suoi turbini quel giovane aviatore fino al cielo, e che lo fa girare incessantemente tra le nuvole. Quaggiù, protetti da un tetto, con una maschera antigas sotto le mani, è nostro dovere sgonfiare questi palloni d’aria e scoprire qualche germe di verità. Non è vero che siamo liberi. Questa sera siamo tutti e due prigionieri: lui nella sua macchina con un’arma accanto, noi sdraiati nel buio con una maschera antigas accanto. Se fossimo liberi saremmo all’aperto, a ballare, o in un teatro, o seduti davanti alla finestra, conversando. Che cosa ce lo impedisce? "Hitler!" esclamano unanimi gli altoparlanti. Chi è Hitler? Che cosa è Hitler? L’aggressività, la tirannia, l’amore forsennato del potere, rispondono. Distruggetelo, e sarete liberi.
Ora sulla mia testa gli aerei rombano come se segassero il ramo di un albero. Gira e gira, segando e segando quel ramo proprio sopra la mia casa. E nel cervello un altro suono comincia a aprirsi, anch’esso segando, una galleria. "Le donne capaci" - così diceva Lady Astor nel "Times" di questa mattina - "vengono ostacolate in tutte le carriere a causa dell’inconscio hitlerismo nel cuore dell’uomo." E’ vero, siamo ostacolate. E questa sera siamo tutti prigionieri: gli inglesi nei loro aerei, le inglesi nei loro letti. Ma se lui smette un attimo di pensare, possono ucciderlo; e anche noi. Pertanto, pensiamo per lui. Cerchiamo di fare conscio l’inconscio hitlerismo che ci opprime. E’ il desiderio di aggressione; il desiderio di rendere schiavi. Perfino nel buio possiamo vederlo chiaramente. Vediamo le vetrine dei negozi illuminati a giorno, e le donne che guardano; donne incipriate; donne travestite; donne dalle labbra rosse e dalle unghie rosse. Sono schiave che cercano di rendere schiavi gli altri. Se potessimo liberarci dalla schiavitù, avremo liberato gli uomini dalla tirannia. Gli Hitler sono generati dagli schiavi.
Cade una bomba. Tutte le finestre tremano. I cannoni antiaerei entrano in azione. Là, sull’alto del colle, sotto una rete con pezzi appiccicati di stoffa verde e bruna, imitando i colori delle foglie d’autunno, si nascondono i cannoni. Ora sparano tutti insieme. Il giornale radio delle nove ci dirà: "Questa sera sono stati abbattuti quarantaquattro aerei nemici, dieci dei quali dal fuoco antiaereo." E una delle condizioni della pace, dicono gli altoparlanti, sarà il disarmo. Non ci saranno più armi, né esercito, né marina, né forza aerea nell’avvenire. I giovani non saranno più addestrati a combattere con le armi. Quello sveglia un altro calabrone nelle camere del cervello, un’altra citazione: "Combattere contro un nemico reale, meritare eterno onore e gloria uccidendo dei perfetti sconosciuti, e tornare a casa con il petto coperto di medaglie e di decorazioni, quello era il colmo delle mie speranze... A questo era stata dedicata, finora, tutta la mia vita, la mia educazione, la mia preparazione, tutto..."
Queste sono le parole di un giovane inglese combattente nell’ultima guerra. Davanti a queste parole, possono credere onestamente i pensatori dell’accennata corrente che scrivendo "disarmo" su un pezzo di carta in una conferenza di ministri, avranno fatto tutto ciò che si doveva fare? Otello non avrà più occupazione, ma egli sarà sempre Otello. Quel giovane aviatore in cielo non è spinto soltanto dalle voci degli altoparlanti; è spinto anche dalle voci che ascolta in sé, antichi istinti, istinti incoraggiati e nutriti dall’educazione e dalla tradizione. Glieli dobbiamo forse rimproverare? Si potrebbe forse sopprimere l’istinto materno, perché così ha voluto un gruppo di politici? Supponiamo che fra le condizioni di pace ci fosse questa, imperativa: "L’esercizio della maternità sarà ristretto a una classe ridotta di donne accuratamente selezionate", forse sarebbe accettata? Piuttosto diremmo: "L’istinto materno è la gloria della donna. A questo è stata dedicata finora la mia vita, la mia educazione, la mia preparazione, tutto..." Ma se fosse necessario, per il benessere dell’umanità, per la pace del mondo, che l’esercizio della maternità venisse ristretto, e l’istinto materno messo a tacere, forse le donne non si rifiuterebbero. Gli uomini le aiuterebbero. Onorerebbero queste donne per il loro rifiuto di generare. Aprirebbero altre possibilità al loro potere creativo. E anche questo deve essere parte della nostra lotta per la libertà. Dobbiamo aiutare i giovani inglesi a togliere dai loro cuori l’amore delle medaglie e delle decorazioni. Dobbiamo creare attività più onorevoli per coloro i quali cercano di dominare in se stessi l’istinto combattivo, l’inconscio hitlerismo. Dobbiamo compensare l’uomo per la perdita delle sue armi.
Il rumore di sega sulle nostre teste aumenta. Tutti i riflettori puntano in alto, verso un punto sito esattamente sopra questo tetto. In qualunque momento può cadere una bomba in questa stanza. Uno due tre quattro cinque sei... passano i secondi. La bomba non è caduta. Ma durante quei secondi di attesa, l’attività del pensiero è cessata. E anche è cessato ogni sentimento, tranne un opaco timore. Un chiodo fissava tutto l’essere a un’asse di legno duro. L’emozione della paura e dell’odio è pertanto sterile, non fertile. Non appena la paura scompare, la mente affiora di nuovo e istintivamente cerca di rivivere creando. Siccome la stanza è al buio, può creare soltanto con la memoria. Si protende verso il ricordo di altri agosti, a Bayreuth, ascoltando Wagner; a Roma, passeggiando per la campagna romana; a Londra. Ritornano le voci degli amici; frammenti di poesia. Ognuno di questi pensieri, anche nella memoria, era assai più positivo, rinfrescante, consolatore e creativo di quanto non lo fosse quell’opaco spavento, fatto di paura e di odio. Perciò, se vogliamo compensare quel giovane della perdita della sua gloria e della sua arma, gli dobbiamo aprire l’accesso ai sentimenti creativi. Dobbiamo fabbricare felicità. Dobbiamo liberarlo dalla macchina. Dobbiamo tirarlo fuori dalla sua prigione, all’aperto. Ma a che cosa serve liberare il giovane inglese, se il giovane tedesco e il giovane italiano rimangono schiavi?
I riflettori, ondeggiando sulla pianura hanno trovato finalmente l’aereo. Da questa finestra si può vedere un piccolo insetto argentato che gira e si contorce nella luce. I cannoni sparano e sparano. Poi smettono. Probabilmente l’attaccante è stato colpito, dietro il colle. L’altro giorno, uno dei piloti riuscì ad atterrare in un campo qui vicino. In un inglese abbastanza tollerabile, disse ai suoi catturatori: "Come sono contento che la lotta sia finita!" Poi un inglese gli diede una sigaretta, e una inglese gli offri una tazza di tè. Questo starebbe a dimostrare che se si riesce a liberare l’uomo dalla macchina, il seme non cade in un suolo completamente sterile. Il seme può essere ancora fertile.
Finalmente tutti i cannoni hanno smesso di sparare. Tutti i riflettori si sono spenti. Il buio naturale della notte d’estate ritorna. Si sentono nuovamente gli innocenti rumori della campagna. Una mela cade per terra. Un gufo grida, spostandosi da un albero all’altro. E qualche parola quasi dimenticata di un vecchio scrittore inglese mi viene in mente: "I cacciatori si sono alzati in America... " Mandiamo dunque queste note frammentarie ai cacciatori che si sono alzati in America, agli uomini e alle donne il cui sonno non è stato ancora interrotto dal rumore della mitragliatrice, con la speranza che vengano ripensate, generosamente e caritatevolmente, e forse rimaneggiate fino a diventare qualcosa di utile. E adesso, in questa metà buia del mondo, a dormire.
1940, da The Death of the Moth
* Virginia Woolf, Romanzi e Altro, "I Meridiani" - Mondadori, pp. 871-876.