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Memoria della libertà....

A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI. Federico La Sala risponde a Dario Antiseri. E lo scontro piace. La loro dialettica è tutta da gustare - lo scritto è del prof. Federico La Sala

A seguire, i testi di riferimento
venerdì 16 maggio 2008 di Emiliano Morrone
[...] "anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (...) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud" (Thomas Mann) [...]
Costituzione dogmatica della chiesa "cattolica"... e costituzione dell’Impero del Sol (...)

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> A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI. - «Freud o l’interpretazione dei sogni» di Stefano Massini, regista Federico Tiezzi, al Piccolo Teatro di Milano. Note.

martedì 23 gennaio 2018

Schnitzler, Klimt, Loos

Così Sigmund irruppe nel biennio della svolta

di Claudia Provvedini (Corriere della Sera, 23.01.2018)

Lo spostamento della data di uscita dell’«Interpretazione dei sogni» dal 1899 al 1900 fu un desiderio del suo autore, Sigmund Freud. Quella, per così dire, rimozione era però in lui tutt’altro che inconscia: volle che il suo nome aprisse il ‘900.
-  «È impressionante la consapevolezza che Freud aveva del valore epocale di quel libro», rileva Mara Fazio, docente di Teatro e Spettacolo moderno e contemporaneo alla Sapienza di Roma, che con «La Vienna di Freud» ha aperto gli incontri attorno alla nuova produzione del Piccolo Teatro.
-  «E in quel punto di svolta tra i due secoli, si addensarono ingegni e opere tali da rendere la capitale dell’impero austro-ungarico rivale di Parigi e Londra. Non mi pare si possa dire altrettanto dell’Europa nel passaggio tra XX e XXI secolo, se non per la tecnologia».
-  Fu a Vienna, il ‘99-00 un prodigioso biennio. «Nello stesso anno scelto da Freud, il 1900, un altro ebreo viennese, Schnitzler, che aveva studiato alla Scuola di medicina ed era stato medico prima che scrittore, nel racconto I l Sottotenente Gustl introduce nella letteratura di lingua tedesca il monologo interiore, poi ripreso nella Signorina Else , ragazza nevrotica e forse isterica».
-  Tra i due ci fu rivalità? «Piuttosto si trattò di sintonia intellettuale e condivisione di uno stesso clima culturale che stimolava la curiosità scientifica nei confronti della mente e delle emozioni. L’anno 1900 vide anche completate da Otto Wagner le stazioni ferroviarie». Quelle che i viennesi, non amandole per la struttura nuda, chiamavano «le gabbiette». «E un altro architetto, Adolf Loos, scrisse Ins Leere gesprochen , Parole nel vuoto, in cui attaccava la Neue Secession, corrispettivo dell’Art Nouveau».
-  Se invece Freud avesse lasciato come data il 1899... «Si sarebbe trovato a condividerla con il quadro Nuda Veritas di Klimt, nudo femminile con chioma rossa trapunta di margherite. E con la IV Sinfonia in Sol maggiore di Mahler che a Vienna aveva appena diretto la II. E ancora con Verklaerte Nacht, Notte trasfigurata di Arnold».
-  In quell’anno però si manifestarono anche attacchi alla psicoanalisi. «Quelli di Karl Kraus sulla sua rivista satirica Die Facke l». E già nel 1901, contro la «grande scienza dei segni» si rivoltò Hofmannsthal: nella «Lettera di Lord Chandos» dubita della possibilità della parola di trascrivere il preverbale, oggetto del lavoro analitico. Forse il desiderio di Freud di scegliere l’anno 1900 scaturì da un sogno premonitore .


Freud

Il dottore lotta con noi

Debutta stasera la nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano

Tiezzi porta in scena l’inconscio i suoi sogni e quelli dei pazienti

Il regista spiega la chiave per rappresentare antichi e nuovi dolori, successi e fallimenti

di Maurizio Porro (Corriere della Sera, 23.01.2018)

La vita è fatta della materia di cui son fatti i sogni, diceva Shakespeare senza smentite. Ma i sogni sono fatti della materia di cui è fatto il teatro, soprattutto quelli offerti dall’inconscio di Freud. Così il cerchio si chiude. Federico Tiezzi è il regista di «Freud o l’interpretazione dei sogni» di Stefano Massini, grande produzione del Piccolo Teatro, gioco di illusioni al quadrato che passa attraverso antichi e nuovi dolori, successi e fallimenti.
-  «Quest’estate mi sono recato alla casa-museo Freud al 19 della Bergasse a Vienna, piena di pezzi d’arte africana. Suonando il campanello un giorno, solo, ho sentito a caldo il dolore e la ferita di chi andava a consultare il professore, passava il cortile col grande albero, saliva la scala al primo piano e si trovava davanti la targa “Dottor Sigmund Freud”. Ma la nostra non è la biografia di un dr. Freud riappacificato e realizzato, ma di uno che pensa e lotta: i rapporti con i pazienti sono come su un ring».

Tiezzi pensa a uno spettacolo molto cinematografico («credo sia il mio primo film»), con tanti setting e del resto, mentre i Lumière esordivano il 28 dicembre 1895, Freud analizzava il primo sogno.

Ma l’arte del cinema, a lungo disprezzata dal professore che rifiutò lauti guadagni, è coeva a quella dell’interpretazione dei sogni. Già nel 1933 un magnifico incubo cartoon, «Topolino e il dottore matto», contiene Hitchcock, Fellini, Lynch e Buñuel. «A questi registi e ad altri ho molto pensato. Il nostro lavoro - dice Tiezzi - è come si svolgesse nella testa di Freud: Massini usa i sogni citati dei pazienti nei libri, ma anche quelli del professore, assai turbato dai rapporti col padre, di cui metto in scena il funerale. Quando lessi Freud da liceale imparai che esiste sempre una scrittura manifesta e una latente, una tesi confermata da Pirandello. La verità è che Freud, amico di Schnitzler e del filosofo Ludwig Biswanger, smascherò i desideri e gli impulsi inconfessabili, mentre Vienna viveva il suo grande Rinascimento».

Si apre il vaso di Pandora. Quando apparve «L’interpretazione dei sogni», il 4 novembre 1899, ecco, in quel momento si spense l’eco dell’ultimo valzer ed iniziava il dolore straziante lancinante del Novecento che doveva per forza trovare rifugio in metafora onirica. «Stop Strauss: Schoenberg compone a soli 25 anni la “Notte trasfigurata” di cui sentiremo alcune note in sala. La Vienna della Belle époque getta la maschera, così si capirà che molti dolori sono allevati in famiglia, perché non sempre l’uomo riesce a stare al passo con le richieste della società».
-  Il prof. Freud rivoluzionario o reazionario? Rimandiamo il tema alla prossima puntata, ma vediamo il poster culturale che ha in testa il regista per uno spettacolo che, forse, sarà esso stesso un sogno vagante, acchiappato in platea come nel Nolan di «Inception». Allora, calendario alla mano: nel 1899 Schnitzler e Klimt hanno 37 anni, Richard Strauss 35, Von Hofmannsthal e Kraus 25, Musil 19; aggiungerei, altre latitudini, che Poe era morto da 50 anni, Joyce aveva 17 anni e Proust, amatissimo dalla «setta» Tiezzi-Lombardi, ne aveva 28 e solo nel ’13 apparirà la «Recherche», anche quello un immenso sogno.

«Lo spettacolo sarà la scoperta del linguaggio che ha rivoluzionato la vita e l’arte fornendo la chiave dell’interpretazione del mondo; ma anche un romanzo di formazione e la conferma che cinema e teatro vivono di una drammaturgia onirica, tanto che Freud studiò Ibsen e “Rosmersholm”. I sogni sono di Sigmund, citati da Freud, ma anche di Stefano Massini, egittologo consapevole che l’onirocritica è antica quando il mondo: i sogni sono nostri, è un patrimonio comune». Tra questi, quelli doc, del prof., riguardano la moglie Martha e il padre, suoi nervi scoperti. In uno poi c’è un uomo che si trova al gelo con alcune lucertole (i suoi pazienti?) e le sfama coi frutti di un albero di cui conosce chissà come il nome latino... ma a tutto c’è spiegazione. Lo sapeva Hitchcock che, nella «Donna che visse due volte», conta sul tronco gli anni della vecchia quercia. Lo sapeva Huston, che incaricò Sartre di scrivere la sceneggiatura del film sul professore: lo scrittore visse in empatia con Freud, si battè a lungo contro se stesso, però alla fine non se ne fece nulla, ma «I sequestrati di Altona» saranno poi il vero risultato freudiano.

«Così gli attori-pazienti, in analisi allo Strehler fino all’11 marzo anche nei week end, lottano con Freud, si riflettono in lui in una polifonia di allucinazioni, voci, tormenti, estasi di uomini senza qualità e senza maschera. Il teatro è sollievo, cura e non guarigione». Tutti in costume storico, ma attaccati all’àncora della contemporaneità: Fabrizio Gifuni, seduto sul titolo, è Freud, lui che sa accendere campi magnetici in platea, ma c’è un cast formidabile, 14 attori con Elena Ghiaurov, Marco Foschi, la Toffolatti, Maccagno, Ceriani e Giovanni Franzoni che, reduce dall’en plein nevrotico di Oscar Wilde, vive un atroce complesso di colpa per la morte dei fratelli.

Ma chi sarà il Freud di Tiezzi, di cui è uscito un volume Ubu con tutti i pezzi di Franco Quadri, che ha cominciato con lo spettacolo «Crollo nervoso» e voleva laurearsi con tesi su Bosch? «Sarà uno di noi che interpreta, riflette, pensa, trascrive sul taccuino, fa sdraiare sul lettino; ma anche un cercatore, un pellegrino sempre in dubbio sugli esiti della ricerca che boxa con i suoi pazienti».


Freud

La sua ricerca ideale per il cinema

Lo psicanalista Lingiardi: «I film oggi sono complementi didattici»

Ma il prof disse no a Hollywood

di Giuseppina Manindi (Corriere della Sera, 23.01.2018)

Sapeva che sarebbe stato un viaggio «pericoloso». Si trincerava dietro la paura delle malattie, del clima, ma in realtà Roma lo angosciava per ben altro, qualcosa che riguardava il profondo. E difatti Roma, in quei miti giorni di fine settembre del 1907, aveva in serbo per Sigmund Freud due incontri fatali: con il bassorilievo di Gradiva, che lo spinse a indagare nuovi baratri della psiche, e con quella nuova arte chiamata cinema. In piazza Colonna, su uno schermo all’aperto Freud vide i primi filmini, comiche del muto che lo lasciano «ammaliato».

Non a caso, cinema e psicoanalisi sono fratelli gemelli. Nati lo stesso anno, il 1895, quando a Vienna Freud pubblica i primi studi sull’isteria e a Parigi i fratelli Lumière mostrano in pubblico il primo film, 45 secondi in bianco e nero tremolante sull’uscita delle operaie dalle officine Lumière. Un doppio sogno costruito su evidenti affinità - immagini in movimento, oscurità, voyeurismo - destinato a infiniti intrecci futuri. La rassegna di psico-film curata da Maurizio Porro, dal 5 febbraio al 12 marzo all’Anteo, offrirà occasioni per meditarci su.

Ma se Freud restò incantato alla sua prima visione romana, non altrettanto accadde quando Hollywood lo interpellò. Nel 1924, pur trovandosi in ristrettezze economiche, rifiutò i 100mila dollari offerti dalla MGM per collaborare alla stesura di copioni su storie d’amore tra personaggi famosi, a partire da Antonio e Cleopatra. Due anni dopo altro invito, altro rifiuto. Sebbene stavolta la richiesta fosse più sensata, supervisionare la sceneggiatura de I misteri dell’anima di Pabst, primo film sulla psicanalisi, Freud si ritrasse indignato. «Non voglio aver nulla a che spartire con storie del genere» scrisse a Karl Abrahm, presidente della Società Psicanalitica, che prima tentò di convincerlo e poi accettò di collaborare lui stesso al film. E questo provocò la rottura tra i due.

«Freud non odiava il cinema, la sua diffidenza era verso un cinema che voleva raccontare la psicoanalisi - assicura Vittorio Lingiardi, psicanalista appassionato del grande schermo -. Ma detta con il senno di poi, aveva torto. Vera “fabbrica dei sogni”, il cinema tra tutte le arti visive ha dimostrato di essere la più adatta a raccontare la vita psichica».

Tanto che oggi alcuni film vengono adottati come complemento didattico nelle università. «Se una volta si portavano gli studenti a vedere le isteriche alla Salpêtrière, oggi si mostrano i meccanismi della psiche attraverso i paesaggi del cinema». Per esempio? «Se voglio parlare della fragilità analitica proietto Blue Jasmine di Woody Allen, mentre Natural Born Killer è un trattato sulla personalità antisociale. E niente come l’ Inquilino del terzo piano di Polanski spiega, complice Topor, come nasce il delirio psicotico». E poi viene Hitchcock. « Psyco per me è il primo vero film psicanalitico. Hitch semplifica molto, ma sa trattenere i tre elementi chiave della psicanalisi: il trauma, la rimozione, la catarsi. Capisce che la psicanalisi al cinema è un successo, la usa per costruire il plot».
-  Altro discorso per Woody Allen: «Maestro nel raccontare le nevrosi quotidiane, meglio le sue, con quel tocco di ironia necessaria per trasformare il dramma in commedia». Ma se Hitch piega la psicologia al cinema e Allen stende il cinema sul lettino, che fa Cronenberg? «La affronta dal punto di vista del paziente, dentro i più oscuri pertugi della mente».
-  Impossibile scordarsi di Bergman e Buñuel. «Il primo usa la psicanalisi per sfiorare la metafisica, il secondo ne recupera la forza eversiva originaria». Ma il più psy di tutti resta Fellini. «Il più visionario. Jung, “lo scienziato veggente”, è il suo compagno di viaggi onirici». Ne resta ancora uno, Lars von Trier. «Melancholia è il poema della depressione, Nymphomaniac il film impossibile sulla sessualità femminile. Due buchi neri della psiche illuminati dalla forza emotiva del cinema».


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