Sabina Spielrein
di Nicole Janigro (Doppiozero, 01 marzo 2018)
Sabina Spielrein è una delle irregolari, rappresenta il lato in ombra della storia della psicoanalisi che da una parte accompagna la liberazione femminile, dall’altra tende a conservare la legge del primato e della complicità maschile. Il suo destino è segnato dall’essere donna, ebrea e russa. E proprio tutto questo rende così interessante inseguire, quasi stessimo nella trama di un giallo, la passione di Sabina. Cancellata, dimenticata, Sabina Spielrein (1885-1942) era solo una nota a piè di pagina nelle opere di Freud e di Jung. Poi è stata casualmente ritrovata nei sotterranei del Palais Wilson a Ginevra dove, prima di tornare in Russia, aveva lasciato i suoi documenti, lo scambio di lettere con Jung e Freud e pagine del suo diario.
Così, con il Diario di una segreta simmetria di Aldo Carotenuto, del 1980, Sabina è diventata la protagonista di un intrigo vertiginoso che condensa l’avventura delle origini della psicoanalisi, la Grande guerra, la rivoluzione sovietica e l’olocausto.
Un personaggio quasi letterario, cinematografico attraverso il film Prendimi l’anima, ricostruito attraverso i carteggi raccolti da Kerr in Un metodo molto pericoloso nella pellicola A Dangerous Method, con un’intensa Keira Knightley, storicamente determinato nel bellissimo documentario Ich hiess Sabina Spielrein di Elisabeth Màrton, come se la sua figura, in analogia a tante vicende del primo secolo di vita della psicoanalisi, potesse essere meglio narrata dalla struttura del romanzo.
Sabina Spielrein. Una pioniera dimenticata della psicoanalisi, curato da Coline Covington e Barbara Wharton, è il testo che permette al lettore di conoscere la doppia vita di Sabina. La vita vissuta attraverso pagine di diario, cartelle cliniche che segnano il suo ricovero al Burghölzli, scritti finora inediti e lettere (per la prima volta la versione integrale in italiano anche delle lettere di Jung).
Arriva al Burghölzli nel 1904 con una diagnosi di isteria e trova a Zurigo la guarigione, Jung, ma anche la possibilità di studiare medicina che in patria le era preclusa. L’incontro tra Sabina e Jung sarà l’occasione della prima lettera di Jung a Freud, produrrà l’incontro tra Sabina e Freud, mentre il distacco tra Sabina e Jung scorre in contemporanea al distacco tra il maestro ebreo di Vienna e l’allievo ariano di Zurigo. Un plot dove le dinamiche esistenziali del loro triangolo si mescolano alle conquiste teoriche: isteria, talking cure, traslazione. È il primo caso al quale Jung applica il metodo freudiano, è il caso per il quale chiederà aiuto a Freud, e Freud parlerà per la prima volta di controtransfert, dopo aver messo in guardia Jung da “la felicità perfetta sotto mentite spoglie”. È il qui e ora della relazione tra la paziente e il suo medico, quello che affascina della lettura epistolare. E la cosiddetta controtraslazione, non considerata più un ostacolo ma il mezzo più potente della trasformazione analitica, quel Leitmotiv che oggi unisce le psicologie del profondo, agita ancora i sogni e le coscienze degli analisti.
Sabina Spielrein è il successo di Jung, “il mio caso da manuale”. L’esperienza con questa giovane donna russa lo porterà molto vicino a un’idea di cura come “un’esperienza emotiva correttiva”, quel nuovo complesso che deve liberare un io non abbastanza forte dal dominio del complesso morboso. Ma è anche la sua fatica - non a caso nelle lettere Jung la accomuna a Otto Gross: “in tutta questa faccenda anche le idee di Gross mi hanno occupato un po’ troppo il cervello. (...) Gross e la Spielrein sono amare esperienze. Non ho dato tanta amicizia a nessuno dei miei pazienti, e con nessuno ho mietuto tanto dolore” (lettera a Freud del 4/6/1909).
Entrambi gli permettono di legittimare il suo bisogno d’amore - Sabina nel suo fare Anima, Gross con la sua teoria antimonogamica. Affinità elettive e competizione per chi ha pensato prima un’idea si confondono, sono i “misteriosi parallelismi”, è il concetto di pulsione di morte che Freud deve anche all’originale testo di Sabina, La distruzione come causa del divenire (1912). E lei tiene testa anche teoricamente a Jung e Freud: L’origine delle parole infantili papà e mamma (1922) stimola riflessioni sulle stratificazioni linguistiche, sulle due forme del pensare e sul piacere stesso della parola in analisi. Rimarrà fedele al suo sentimento per Jung, conserverà quell’intelligenza del cuore capace di quel e-e che la condurrà a cercare di riconciliare i due ex amici.
Risucchiata dalla storia collettiva della seconda guerra mondiale, la sua morte avvenne in circostanze rimaste a lungo sconosciute. Ma Sabina lascia a Ginevra tracce che sfuggiranno alla cancellazione nazista e comunista: la vita ritrovata interrompe un lungo oblio. E il testo Sabina Spielrein. Una pioniera dimenticata della psicoanalisi presenta numerosi interventi di analisti e studiosi che offrono diversi punti di vista sul significato della sua figura e in particolare sul casus belli: quando Sabina parla della poesia che passa tra lei e Jung allude al sentimento d’amore o all’atto?
Alla fine tornerà in Unione Sovietica dove seguirà la sua vocazione fino al sacrificio. Nell’estate del 1942 morirà, insieme alle due figlie, a Rostov, in un massacro nazista che fece ventottomila vittime.
A ventun’anni, prima di lasciare la clinica, aveva affidato al suo medico le ultime volontà: «Il corpo dovrà essere cremato. Nessuno potrà assistervi. Divida le ceneri in tre parti. Metta una parte in un’urna e la mandi a casa mia. Sparga la seconda parte sulla terra del nostro campo più grande. Lì pianti una quercia con la scritta: “Anch’io fui una volta un essere umano. Il mio nome era Sabina Spielrein”. Mio fratello Le dirà che cosa fare con la terza parte».