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Memoria della libertà....

A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI. Federico La Sala risponde a Dario Antiseri. E lo scontro piace. La loro dialettica è tutta da gustare - lo scritto è del prof. Federico La Sala

A seguire, i testi di riferimento
venerdì 16 maggio 2008 di Emiliano Morrone
[...] "anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (...) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud" (Thomas Mann) [...]
Costituzione dogmatica della chiesa "cattolica"... e costituzione dell’Impero del Sol (...)

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> A FREUD, GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI. --- L’uomo Mosè. Un romazo storico: un inedito di Freud (di Romano Màdera).

sabato 4 marzo 2023

      • CONTINUAZIONE E FINE


L’uomo Mosè. Un romanzo storico: un inedito di Freud

di Romano Màdera (Doppiozero, 17 Dicembre 2022)

È uscito da poco, prima in Francia e poi nella traduzione italiana - che ha in più l’introduzione di un grandissimo studioso di storia delle religioni, Giovanni Filoramo - la versione inedita del 1934 del libro di Freud che si intitolava L’uomo Mosè. Un romanzo storico, poi rimaneggiata e data finalmente alle stampe come L’uomo Mosè e il monoteismo nel 1939, l’anno della sua morte. Il libro riproduce il testo tedesco riportandone anche le correzioni, il commento è di Thomas Gindele - un libro nel libro per ampiezza e per impegno interpretativo (le traduzioni sono di Johanna Venneman dal tedesco e di Chiara Calcagno dal francese, l’editore è Castelvecchi). Do per esteso queste informazioni bibliografiche perché questo è un volume che “deve” stare insieme a quelli che raccolgono le opere di Freud, tanta è la sua importanza.

      • [...]

Questo deficit della dimensione simbolica, ridotta a una sorta di letteralismo storico-evolutivo riguarda il filo teorico più importante di tutto il testo che, in sostanza, applica il romanzo mitologico di Totem e tabù del 1913 (nel quale peraltro Freud “aggiusta” il testo di Darwin sull’orda primitiva aggiungendo un padre che non c’è, come fa osservare Gindele a p. 242 del suo commento) alla genesi dell’ebraismo, confermando l’impianto generale, cioè il romanzo psicoanalitico dell’Edipo che da osservazione su casi singoli è stato elevato a storia universale.

Si tratta sempre dell’omicidio del padre dell’orda, dell’omicidio in questo caso di Mosè, del susseguente senso di colpa e della nascita della legge e della morale dal timore e dalla regolazione della concorrenza tra i maschi. Le equazioni che attraversano le costruzioni psicostoriche sono quelle tra l’originario e l’inconscio, l’infantile e lo psicopatologico, quattro radici che mostrano all’analisi le stesse strutture. Ora, a parte le obiezioni logiche possibili al modo freudiano di usare l’abduzione, generalizzandola secondo passaggi inconsistenti, l’assunzione di fondo dalla quale tutto procede in Freud è che dai conflitti dinamici propri e interni al singolo individuo si possa, e si debba, procedere a generalizzazioni che riguardano l’umanità intera nell’insieme del suo sviluppo sociale-storico-culturale.

Scrive infatti in Psicologia delle masse e analisi dell’io che “la pulsione sociale non può essere originaria e non ulteriormente analizzabile [...] i primi inizi della sua formazione possono essere ritrovati in un ambito più ristretto, come per esempio quello della famiglia”. Qui la tesi di Freud si scontra con il fatto che una famiglia isolata, senza un gruppo più vasto, non avrebbe mai potuto sopravvivere: la rete di scambi necessaria alle diverse attività produttive e il mutuo aiuto in caso di pericolo non sono che due dei fattori decisivi. Un gruppo umano sotto una certa soglia numerica è minacciato di estinzione. Se poi, come è necessario fare, si affronta il tema dal punto di vista del mondo moderno, è difficile capire come si possa partire dalla famiglia per comprenderne le dinamiche, sembra più credibile il contrario: la forma della famiglia, i suoi modelli di formazione e di educazione della prole, il suo stile di relazione con l’esterno e altri innumerevoli aspetti del comportamento, del modo di sentire e di pensare saranno piuttosto, al contrario, determinati dall’ambiente sociale (cioè dalla dimensione storico-culturale).

-  Freud riassume il suo pensiero nel Poscritto del 1935 allo scritto sulla Autobiografia: “Capii con sempre maggiore chiarezza che gli avvenimenti della storia dell’umanità, gli influssi reciproci tra la natura umana, lo sviluppo culturale e quei residui di eventi primordiali, dei quali la religione si considera la massima rappresentante, non sono che il riflesso dei conflitti dinamici tra l’Io, l’Es e il Super Io che la psicoanalisi studia nel singolo individuo. Sono gli stessi processi, riportati in un contesto più ampio”. Il debito nei confronti della teoria - oggi difficilmente sostenibile, per dirlo con garbo - della ricapitolazione nell’ontogenesi della filogenesi di Haeckel è chiaro.
-  D’altra parte un grande “freudiano”, ma libero e creativo come Fachinelli, conclude così il suo saggio Su Freud (Adelphi, 2012, p. 59): --***“Nel momento in cui Freud si pone l’esigenza di riportare a un contesto generale ciò che ha trovato in sé e nei suoi malati - e questo avviene, in fondo, secondo un canone di valori assoluti ancora vigente in lui - insorgono difficoltà e oscillazioni caratteristiche. Come si passa da questo individuo, questo e nessun altro, alla generalità degli individui? E come si origina ciò che in questo individuo viene ritrovato?
-  La risposta prima di Freud - la più ‘scientifica’, e quella che un lettore superficiale ritrova di continuo - si basa su un’analogia nel primo caso e su una trasmissione (ereditaria) nel secondo. Gli uomini sono l’uomo, il gruppo, l’individuo, senza inerzia né mediazioni che non siano rapportabili al singolo individuo. E ciò che si trova nel figlio fu nel padre e nel padre del padre, per passaggio di tracce che sono abbastanza inevitabilmente legate a eventi ‘traumatici’ [...] la psicoanalisi della civiltà - il suo ultimo compito in cui sembra appagata la sua ‘originaria’ ambizione filosofica - può apparire semplicemente un’indagine ossessiva attorno a un fatto preistorico, che consenta l’eterno ritorno della storia come elemento rimosso”.

Tuttavia, al di là della fallacia scientifico-teorica della sua impostazione che ripete lo stesso schema edipico per le origini dell’umanità e per le origini dell’ebraismo, possiamo vedere nell’ultimo Freud il tentativo di dare una forma a un’oscillazione tra le sue origini ebraiche e la sua professione di fede scientifica e atea. Si potrebbe dire: riportare il dramma ebraico al totemismo lo mette sullo stesso piano del cristianesimo, in più tenta di sottrarre queste due religioni, attaccate dal nazismo, alla “invidia dell’elezione” che cercava di delegittimare le origini semitiche di entrambe per promuovere l’elezione nazionalista e razzista del germanesimo puramente ariano. Tutto ciò Freud lo fa ribadendo la sua impassibilità scientifica che osa strappare Mosè, il primo grande maestro ebreo e il più “giusto” tra gli uomini, alle origini ebraiche.

Un doppio e conflittuale movimento che lo ha accompagnato per tutta la vita. Sempre nello scritto autobiografico del 1935 c’è un’aggiunta, rispetto alla versione di dieci anni prima, nella quale Freud parla di un essersi precocemente immerso (“frühzeitige Vertiefung”) nella storia biblica appena aveva imparato a leggere. L’episodio che suo padre gli racconta - quando un cristiano a Freiberg gli ingiunse di scendere dal marciapiede buttandogli il berretto nel fango e lo dovette raccogliere - gli lascerà sempre una diffidenza tanto per i non-ebrei (cosa che dice a chiare lettere a Sabina Spielrein quando la giovane psicoanalista ebrea, che era stata paziente e amante di Jung, non vuole comunque rompere con il suo vecchio amore e primo maestro), quanto nei confronti di una identificazione con l’ebraismo (non casualmente la sua affezione per Jung erano anche motivate dal suo essere “ariano”).

Sigmund, a differenza del padre Jakob, non accetta di dover raccogliere il suo cappello buttatogli nel fango. Ma la lotta tra il sentimento di appartenenza al suo popolo e il superamento di ogni fede di parte per il superiore ideale scientifico, lo abitano fino alla fine della vita, come appunto si vede dal suo tormentato scritto su Mosè. Il padre, d’altra parte, cercò sempre di ricordargli la sua origine: nella Bibbia illustrata di Philippson che gli regala per il suo trentacinquesimo compleanno gli scrive: “Ricordo dell’amore di tuo padre che ti ama di un amore eterno”. E cosa è la Bibbia? “Il libro dei libri dove i saggi hanno attinto, dove i legislatori hanno imparato il sapere e il diritto”. Un libro che documenta il rapporto decisivo di Freud con le immagini, ricostruito anche rispetto al Mosè michelangiolesco, è quello di Gianluca Solla, Disegnare, la formula di Freud (si veda un estratto su Doppiozero).

Peraltro Freud fu un membro attivo dell’associazione umanitaria austriaco-israelitica “B’nai B’rith, cioè dei “figli del Patto”, per la quale, tra le altre cose, tenne la conferenza, inizialmente non inclusa nelle Opere Complete, su “Noi e la morte”, prima stesura del Febbraio del 1915 (con importanti varianti proprio sul tema della guerra che testimoniano l’iniziale atteggiamento di schieramento patriottico del fondatore della psicoanalisi, testo pubblicato per la prima volta in italiano dalle edizioni Palomar di Bari nel 1993) delle Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte.

L’ambivalenza di Freud nei confronti delle origini ebraiche raggiunge un acme di drammatica intensità nel suo rapporto con Jung: per un verso lo sceglie come suo “principe ereditario”, proprio in quanto il suo non essere ebreo può consentire alla psicoanalisi di uscire da una possibile ghettizzazione in un circolo di medici ebrei, per un altro è chiara l’aspettativa filiale e la proiezione sul più giovane collega dell’immagine del futuro continuatore e conquistatore vittorioso. In una lettera a Jung del 17 gennaio 1909 “Freud si era paragonato a Mosè in quanto anch’egli, come il profeta e legislatore ebraico, non avrebbe potuto vedere la Terra Promessa (della psicoanalisi riconosciuta internazionalmente) a differenza di Jung, novello Giosuè, destinato a conquistare questa terra” (così scrive a pagina 8 della sua bella prefazione Giovanni Filoramo).

Interessante quanto ne dice lo stesso Jung nel suo Ricordi, sogni, riflessioni, ( pp. 198-199, curato da Aniela Jaffé) : “Anche un’altra volta [...] Freud svenne in mia presenza. Accadde durante una conferenza di psicoanalisi, a Monaco, nel 1912. Qualcuno aveva portato il discorso su Amenofi IV (Echnaton). La questione era imperniata sul fatto che, come conseguenza del suo atteggiamento negativo verso il padre, questi aveva distrutto i cartigli di suo padre sulle stele, e che dietro la sua grande creazione di una religione monoteistica si nascondeva un complesso paterno. Irritato da queste affermazioni, tentai di stabilire che Amenofi era stato un uomo dotato di capacità creativa e profondamente religioso, le cui azioni non si potevano spiegare con un’opposizione personale al padre.

Al contrario, dicevo, aveva tenuto in onore la memoria del padre, e il suo zelo distruttore era solo diretto contro il dio Amon, che aveva cancellato dovunque, e perciò anche dai cartigli di suo padre. Inoltre anche altri faraoni avevano sostituito i nomi dei loro antenati effettivi o divini su monumenti e statue col loro proprio, ritenendo di avere il diritto di farlo dal momento che erano incarnazioni dello stesso dio. Ma essi non avevano inaugurato né un nuovo stile né una nuova religione. A questo punto Freud cadde dalla sua sedia privo di sensi. Tutti gli si affollarono intorno senza aiutarlo. Allora lo sollevai, lo trasportai in una stanza più vicina, e lo feci sdraiare su un sofà. Mentre lo portavo, ritornò alquanto in sé, e mi fissò con uno sguardo che non dimenticherò mai: nella sua impotenza mi aveva guardato come se fossi suo padre. Quali che fossero le altre cause che potevano aver contribuito a questo svenimento - l’atmosfera era molto tesa - [...] era presente la fantasia del parricidio.”


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