Marie Bonaparte (Saint-Cloud, 2 luglio 1882 - Gassin, 21 settembre 1962):
"Was will ein Weib? Cosa vuole una donna?" (Freud)
Oggi festeggiamo il genetliaco di una donna senza la quale la psicoanalisi avrebbe avuto ben altri destini e a cui dovremmo essere tutti molto grati: questa donna si chiamava MARIE BONAPARTE. (Centro Veneto di Psicoanalisi)
Fu principessa di Grecia e di Danimarca, scrittrice, psicoanalista, abile diplomatica, donna di cultura e di grande coraggio.
Rimasta orfana poco dopo la nascita, fu una bimba intelligente e piena di intense fantasie che trascrisse in piccoli diari che intitolò "le bestialitá". Questi quaderni, esplorati in analisi, divennero poi fonti sulla sua sessualità infantile.
In tutta una prima parte della sua vita fu una giovane che si innamorava, incurante delle "imprudenze" (parola che amava) che avrebbero potuto metterla in imbarazzo in società.
Ebbe relazioni durature con Gustave Le Bon ("Psicologia delle folle", 1895) e Aristide Brian. Erano gli anni ’20 del 900 e Marie, donna colta e vivace, si interessò allo studio della sessualità femminile. Scrisse, usando uno pseudonimo, un saggio sulla frigidità in relazione alla anatomia del clitoride. Per lei, che parlava liberamente della sua anorgasmia, era molto importante che le donne provassero l’intenso piacere che il corpo poteva dare loro. Se solo fosse nata 50 anni dopo sarebbe stata considerata una attivista della liberazione sessuale delle donne e invece fu spesso derisa e chiacchierata per questo tema e per la sua vita privata. Non per questo, Marie si fermò.
Era una donna molto impegnata nel sociale e fu mecenate lungimirante di discipline nascenti come l’antropologia, l’etnologia e la sociologia.
Nel 1923, cominciò a frequentare lo psichiatra Laforgue, e incappó in un libro di un tal Sigmund Freud. Marie ne fu molto colpita e decise che voleva conoscere meglio questa nuova scienza: la Psicoanalisi.
Chiese a Laforgue di intercedere presso Freud per poter fare una analisi personale con lui. Freud non era propenso a prendere in terapia individui di così alto lignaggio e mise subito in chiaro che la principessa sarebbe trattata come ogni altro paziente: tempi, modi e lingua (tedesco o inglese) erano quel di tutti.
A 43 anni, la pronipote di Napoleone arrivó a Vienna per iniziare la seconda parte della sua vita. Restó molto impressionata dal rigore di Freud e dalla sua gentilezza. Scrive: "Sembra che sia in simpatia con tutta l’umanità che è stato capace di comprendere."
La sua analisi si comporrá di vari segmenti nel corso di alcuni anni e la principessa si appassionó al punto che sviluppó l’interesse a diventare a sua volta analista.
Marie Bonaparte si mise a tradurre in francese le opere di Freud e nel 1926 fondò, assieme ad altri 9, la Società Psicoanalitica di Parigi. Nell’ International Psychoanalytical Association (IPA) sostenne l’analisi didattica laica, aperta ai non medici. Scrisse più di 40 contributi scientifici tra cui un importante saggio sulla sessualità femminile. Il contributo della Bonaparte alla teoria psicoanalitica risiede proprio in questo testo d’avanguardia. Freud scrivendo alla Bonaparte ammetterà: "La grande domanda, alla quale nemmeno io ho saputo rispondere, è questa: che cosa vuole la donna?” (Freud 1933)
Nel tempo, Marie divenne una cara amica della famiglia Freud e seppe usare con intelligenza la propria posizione per aiutarli senza invadenze.
Durante l’inverno del 1929 la Bonaparte salvò dal fallimento economico la casa editrice fondata da Freud e intervenne altre volte affinché i testi psicoanalitici non venissero dispersi. Aveva una visione lucida della storia e fu la prima, al convegno di Weisbaden del ’32, ad esprimere pubblicamente la preoccupazione per le posizioni naziste contro la "scienza ebraica".
Di lì a breve molti analisti fuggirono in America e Marie cercò a lungo di persuadere Freud dal lasciare Vienna.
Il 30 dicembre 1936 intercetta la corrispondenza tra Freud e Fliess che la vedova Fliess, in difficoltà economica, aveva venduto ad un libraio. La Bonaparte lo acquista prima che venga spedito negli Stati Uniti. Freud chiederà all’amica di distruggere le lettere e quella fu l’unica volta che lei gli disobbedì. È grazie a lei che, a partire dal 1956, viene poi dato alle stampe.
Dobbiamo a Marie di essersi spesa con prontezza e intelligenza per salvare la vita stessa di Freud. Per anni aveva cercato di convincerlo del rischio nazista e di lasciare Vienna per riparare a Parigi. Freud però, già molto anziano e ammalato, non voleva abbandonare la sua amatissima città.
Quando il 12 marzo 1938 l’Austria venne annessa alla Germania nazista, Marie non esitò ad agire.
Il 17 marzo arrivò a Vienna per difendere, con la sua posizione diplomatica di principessa di Grecia e Danimarca, Freud e Famiglia. Dopo che l’incarcerazione di Anna da parte della Gestapo, Freud finalmente si convinse che era necessario partire. Marie, troverà il modo di organizzare tutto e in breve tempo fece ottenere i visti alla famiglia, pagò ai nazisti un ingente riscatto perché i Freud potessero partire,
con l’aiuto di Jones trovò una casa a Londra e fece anche arrivare in Inghilterra i beni di Freud. I fatti di quel salvataggio sono noti ma spesso non si nota con quanta abilità la Bonaparte seppe organizzare questa impresa in tempi così terribili.
Il 5 giugno 1938 fu lei lei ad attenderlo alla Gare de l’Est a Parigi e a ospitarlo prima della ripartenza verso l’Inghilterra. Marie era considerata di famiglia e visitò spesso Freud sia a Vienna che a Londra. Sempre a Marie dobbiamo alcune famose foto di Freud nei suoi anni più avanzati.
Dopo la morte di Sigmund e con l’avanzare della guerra, Marie dovette fuggire dall’Europa, giungendo nel ’41 in Sudafrica dove insegnò psicoanalisi all’università.
Nel dopoguerra tornò in Francia ed ebbe un ruolo fondamentale nella storia della psicoanalisi francese. In particolare si oppose strenuamente a Lacan, di cui non condivideva le scelte tecnico-teoriche e di cui aveva una pessima opinione. La Bonaparte dava molto valore allo studio dei testi di Freud e veniva soprannominata "Freud-ha-detto".
In realtà fu sempre una personalità forte all’interno della società psicoanalitica, fu capace di avere in mente sia i destino dell’istituzione sia la progressione della teoria. Fu la prima ad accostare psicoanalisi e letteratura (col suo saggio su Edgar Allan Poe), Si interessò del rapporto tra umani e animali (il suo saggio sui cani anticipa vari studi antropo-etologici e mostra una modernissima modalità di relazione con gli animali), si occupò di temi spinosi comeilungimirante e interessata a temi come la masturbazione, l’antisemitismo e la pena di morte.
Marie Bonaparte concluse il suo transito terreno nel 1962, per leucemia, lucida e ancora curiosa della vita.
Fu una donna libera e straordinaria anche se spesso sottovalutata. Dobbiamo soprattutto esserle molto grati perché seppe essere una amica, generosa e ammirevole, di Freud e della Psicoanalisi. (Centro Veneto di Psicoanalisi).
Donne nella storia: Marie Bonaparte, la principessa psicanalista
Ultima discendente di Napoleone, poi sposa infelice del figlio di un re, è stata allieva e amica di Freud. E così devota allo studio dell’inconscio, da ospitare i pazienti nella sua casa di vacanza
di MARIA TATSOS (Corriere della Sera - IO DONNA, 14 GENNAIO 2024)
Parigi, 1928. Nella sua casa di Saint-Cloud, una gentildonna siede in giardino su una sedia a sdraio dietro a un divano, sul quale è stesa un’altra donna. Parlano, ma non sono chiacchiere qualsiasi. Sono una paziente e la sua analista, che la ascolta mentre è intenta a lavorare all’uncinetto.
La psicoanalisi era ancora una scienza giovane in quegli anni, ma questa immagine basta a farci capire che l’analista doveva essere un tipo originale. Più che per denaro, lavorava per amore della disciplina. Al punto di farsi portare i pazienti dal suo autista. E quando lasciava la casa di Parigi per trasferirsi nella sua dimora di vacanza di Saint Tropez, ospitava alcuni di loro per proseguire l’analisi.
Questa bizzarra tricoteuse è in realtà una delle figure chiave della storia della psicoanalisi. Marie Bonaparte è stata allieva prediletta di Sigmund Freud. L’ultima Bonaparte, come lei stessa si è definita in un suo scritto, è stata anche altezza reale grazie alle nozze con il principe Giorgio di Grecia e di Danimarca, e attraverso di lui imparentata con le monarchie più in vista d’Europa. Una ragazza ricca, con una volontà di ferro e il desiderio di svolgere una professione all’epoca poco opportuna per una signora del suo rango. La sua vita, ricostruita dalla sua biografa Célia Bertin in Marie Bonaparte. La principessa della psicoanalisi (edito da Odoya), è avvincente come un romanzo. Un’anima irrequieta del Novecento, con una vita costellata di momenti gioiosi da privilegiata ma anche da sprazzi di infelicità.
Il padre distante, la nonna vera matrigna
Marie nasce il 2 luglio 1882. Nelle sue vene scorre il sangue del grande condottiero corso: il bisnonno Luciano era fratello di Napoleone. Pietro Napoleone, il suo rampollo dalla vita turbolenta, aveva sposato la figlia di un operaio, Nina, che l’aveva sopportato pur di godere di un’ascesa sociale, finendo per proiettare tutte le sue ambizioni sull’unico figlio, Roland. È lei che decide le nozze di Roland con una ricca ereditiera, Marie Félix Blanc, figlia del proprietario del Casinò di Montecarlo. La giovane rimane incinta ma muore a soli 22 anni un mese dopo aver messo al mondo una bambina. La piccola orfana è l’erede universale delle ricchezze della madre.
«Alla mia vecchia nonna non interessavano i bambini» scriverà Marie, che è affidata a balie e bambinaie. Il padre è preso dai suoi studi, mentre la nonna, autentica manipolatrice, è interessata solo a esercitare il suo potere sul figlio. L’infanzia di Marie è una lotta costante per ottenere invano l’attenzione del genitore. «Sembra che per la maggior parte del tempo sia stato a disagio con la figlia», scrive Bertin. «Ineluttabilmente, gli ricordava sua moglie, da lui così poco amata». La nonna, che poteva essere un rifugio affettivo, è invece una vera matrigna: nella sua testa di popolana, per diventare un’aristocratica la nipote deve saper stare da sola. Così la condanna a un’infanzia e poi a un’adolescenza priva di contatti con coetanei e gestita da ferree istitutrici. Crescendo, Marie incolpa il suo essere donna se nessuno apprezza la sua intelligenza. Si vede brutta e come tutte le adolescenti è innamorata dell’amore.
La trappola scatta proprio fra le mura domestiche e ha la fisionomia di Antoine Leandri, 38 anni, segretario corso del padre. Insieme alla moglie Angela, la plagia e chiede 100mila franchi per non divulgare le lettere d’amore che la ragazzina gli ha scritto. La vicenda si risolve quando Marie ha ormai 21 anni con il pagamento del riscatto, la restituzione delle epistole e una delusione cocente che la giovane si porterà dietro per tutta la vita.
Intanto il brutto anatroccolo si è tramutato in una graziosa ereditiera, il cui cruccio è non avere il diploma che le consentirebbe di realizzare il suo sogno: studiare medicina. Anche senza l’appoggio della madre nel frattempo scomparsa, Roland Bonaparte rimane convinto che gli studi non servano a nulla per una donna. Per una principessa come sua figlia occorre il marito giusto. Niente di meglio che il figlio di un re e di una granduchessa Romanov: Giorgio di Grecia e di Danimarca, ufficiale dagli occhi chiari, un po’ calvo ma di bella presenza. Lui la corteggia con discrezione e Marie accetta di sposarlo. Il 12 dicembre 1907 ad Atene le nozze si svolgono con il rito greco-ortodosso.
Può essere l’inizio di una fiaba, con una giovane donna che finalmente riceve dal marito quell’amore che suo padre le ha negato. Invece si apre una nuova pagina esistenziale, non meno complicata. «Eravamo di razze diverse. Non solo per il colore dei capelli, ma anche per le risonanze della mente e del cuore», scriverà in seguito.
Un matrimonio di facciata
Giorgio non si sottrae ai doveri coniugali, tant’è che già un anno dopo le nozze nasce Pietro (1908-1980), seguito da Eugenia (1910-1989), ma la principessa - per quanto inesperta - capisce che c’è qualcosa che non va, in quel marito così algido e restio a ogni gesto affettuoso. La soluzione del mistero è davanti ai suoi occhi. Si chiama Valdemar, è lo zio di suo marito, maggiore di lui di soli dieci anni, e suo migliore amico. Giorgio passa tutte le estati nel suo castello di Bernstorff, in Danimarca, e poco alla volta Marie coglie la verità: Giorgio è innamorato dello zio da quando aveva 14 anni. Ovviamente anche Valdemar ha una moglie, rassegnata alla loro relazione, e dei figli.
Marie, che nel frattempo si è adattata al suo nuovo ruolo di madre e di principessa reale, con infiniti viaggi e impegni ufficiali, archivia per sempre il suo desiderio di amore nei confronti del marito: vivranno vite parallele, incontrandosi solo in alcuni momenti, e Giorgio accetterà di conoscere e frequentare occasionalmente alcuni degli amanti di Marie. Per mezzo secolo, fino alla morte di lui, resteranno ufficialmente una coppia e insieme affronteranno momenti critici, dai dissidi di Giorgio con il figlio Pietro per il suo matrimonio con Irene, una russa divorziata, all’esilio in Sudafrica nel 1941, quando in Europa dilagano i nazisti. Ma l’amore Marie lo andrà a cercare altrove. «Nel periodo fra i miei 30 e i miei 50 anni, ho avuto due compagni. Il primo (...) avrebbe potuto essermi padre; nessuno mi ha mai amata quanto lui. Il secondo era come un fratello maggiore, ed è quello che ho amato di più e più a lungo» scrive Bonaparte.
Mentre sull’Europa si addensano le nubi che porteranno al primo conflitto mondiale, la principessa conosce il politico francese Aristide Briand, undici volte presidente del Consiglio, che per cinque anni le offre il suo amore. E quando la storia con lui finisce, nella vita di Marie entra X, sposato e medico celebre, di cui non rivelerà mai il nome.
L’intesa tra l’anziano maestro e la “prinzessin”
La libertà di cui gode consente alla Bonaparte di dedicarsi alla scrittura e di avvicinarsi alla psicoanalisi. «La prima volta che lesse Freud ebbe una specie di rivelazione» dice Bertin. Il suo status economico le consentiva di soddisfare ogni suo desiderio. Incluso quello di farsi ricevere da Sigmund Freud a Vienna e iniziare con lui l’analisi. L’intesa fra l’anziano maestro e la “prinzessin” è immediata: lei ricambia la sua stima con una devozione assoluta che farà di lei la vestale dell’ortodossia freudiana durante gli anni in cui la nuova disciplina si sedimenta, si discute della pratica e della preparazione degli analisti, si creano gli istituti di psicoanalisi.
Marie scrive, traduce, frequenta la famiglia Freud. È una madre spesso assente in questa fase della sua vita, ma sta finalmente ottenendo ciò che desiderava: diventare un’analista. Per quanto ligia alle idee del maestro, fa di testa sua quando decide di farsi operare per guarire la frigidità che l’affligge: l’obiettivo è avvicinare la clitoride alla vagina. Non si accontenterà di un unico intervento, ma ritenterà più volte, senza successo però. In seguito, gli studi di Masters e Johnson proveranno l’errore della chirurgia della frigidità caldeggiata da Marie. Alla Bonaparte, però, resta il merito di aver portato alla ribalta un tema ancora tabù in un suo articolo del 1924: il pari diritto delle donne al piacere.
La principessa ha 57 anni quando diventa nonna di Tatiana, figlia di Eugenia, che avrà in seguito altri due bimbi, Porgie e Carlo Alessandro. È ancora una forza della natura, e lo sarà fino alla fine, senza risparmiarsi battaglie appassionate, come la difesa del criminale americano Caryl Chessman, che la vedrà in prima linea all’età di 78 anni contro la pena di morte. O la guerra con lo psicoanalista Jacques Lacan, suo acerrimo nemico. Marie ha girato il globo in anni in cui viaggiare era più complicato e ha nutrito una costante e profonda curiosità per il sapere, che l’ha spinta a incontrare menti eccelse, come il filosofo Jean-Paul Sartre o la scrittrice svedese Selma Lagerlöf.
La principessa di Grecia e di Danimarca, zia di Filippo d’Inghilterra, soccomberà a una leucemia all’età di 80 anni il 21 settembre 1962, restando convinta fino alla fine di essere stata dotata da madre natura di una mente quasi maschile. Era una donna del suo tempo, condizionata dagli stereotipi degli anni della sua giovinezza. E anche la sua visione del piacere femminile resta ancorata a quella del suo maestro. A 60 anni dalla sua morte, le neuroscienze hanno dischiuso nuovi orizzonti, in cui il cervello e la sessualità delle donne non hanno più nulla da invidiare agli uomini.