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Memoria della libertà....

A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI. Federico La Sala risponde a Dario Antiseri. E lo scontro piace. La loro dialettica è tutta da gustare - lo scritto è del prof. Federico La Sala

A seguire, i testi di riferimento
venerdì 16 maggio 2008 di Emiliano Morrone
[...] "anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (...) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud" (Thomas Mann) [...]
Costituzione dogmatica della chiesa "cattolica"... e costituzione dell’Impero del Sol (...)

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> "A FREUD, GLORIA ETERNA!!!". ---- Una «facoltà di psicoanalisi», così come la fantasticava Freud ottant’anni fa, avrebbe dovuto prevedere insegnamenti di psicologia, psichiatria, biologia, sessuologia, storia della civiltà, mitologia, psicologia delle religioni, letteratura. Del resto, Freud aveva già segnalato i motivi di reciproco interesse che avrebbero potuto stabilirsi tra le scoperte psicoanalitiche e quelle di altre discipline come la linguistica, la biologia, la pedagogia, la filosofia, la mitologia, la storia della civiltà, l’etnologia, la scienza delle religioni oltre che, ovviamente, la psichiatria e la psicologia (di Alberto Luchetti)..

venerdì 23 maggio 2008

Nella soggettività una trappola per i nostri fantasmi

Si inaugura domani per terminare domenica il convegno d ella Società psicoanalitica italiana su «Identità e cambiamento. Lo spazio del soggetto», un tema di stretta attualità sul quale interverranno anche filosofi, sociologi, semiologi Ciò che rende l’essere umano una soggettività individuale è, paradossalmente, il fatto di ospitare in sé un irriducibile altro, quel «corpo estraneo interno», come lo definiva Freud, che è il nostro inconscio e che ci fa scoprire strani

di Alberto Luchetti (il manifesto, 22.05.2008).

Una «facoltà di psicoanalisi», così come la fantasticava Freud ottant’anni fa, avrebbe dovuto prevedere insegnamenti di psicologia, psichiatria, biologia, sessuologia, storia della civiltà, mitologia, psicologia delle religioni, letteratura. Del resto, Freud aveva già segnalato i motivi di reciproco interesse che avrebbero potuto stabilirsi tra le scoperte psicoanalitiche e quelle di altre discipline come la linguistica, la biologia, la pedagogia, la filosofia, la mitologia, la storia della civiltà, l’etnologia, la scienza delle religioni oltre che, ovviamente, la psichiatria e la psicologia. «Ciò cui la psicoanalisi mira e che raggiunge - precisava - non è altro che la scoperta dell’inconscio nella vita psichica», mediante un metodo particolare. Un metodo che consiste nella relazione costante, frequente e prolungata fra due persone nel chiuso di una stanza, l’una distesa che parla associando liberamente, l’altra seduta dietro, nascosta alla vista, che lascia liberamente fluttuare la propria attenzione sospendendo giudizi e scopi di qualsiasi genere, per dare spazio ai «resti» del discorso che si fanno largo inopinatamente tra i varchi della coscienza, e così individuarvi e interpretarvi i segni di quanto, rimosso e rinnegato, giace nell’inconscio.

L’altro che è in noi

Una situazione, quella analitica, assolutamente inedita e inaudita per l’essere umano. Non solo cento anni fa, quando pian piano si costruì nel segreto di uno studio viennese, ma ancora di più oggi, quando sembra stia diventando inconsueto e arduo coltivare un rapporto così stretto, stringente, costante e prolungato fra due persone, e più ancora con se stessi, abituati come siamo solo a spot, anzi a flash di intimità ed «estimità»: termine, questo, a prima vista astruso, essendo un efficace neologismo che dobbiamo a Lacan, il quale lo usa nel suo seminario sull’etica della psicoanalisi per indicare quella «esteriorità intima» che è per l’appunto un aspetto fondamentale dell’inconscio sessuale scoperto da Freud. Ossia per indicare il fatto che nel chiuso della relazione analitica, apparentemente segregata in uno spazio-tempo fuori del mondo e della vita esterna, in realtà si ha a che fare con l’aperto che è celato - costantemente rinnegato e rimosso - nell’apparente interiorità di un individuo. Ciò che, infatti, rende l’essere umano una soggettività individuale è, paradossalmente, proprio il fatto di ospitare dentro di sé un irriducibile altro (je est un autre, diceva il poeta), un «corpo estraneo interno», come lo definiva Freud: quell’inconscio che scaturisce dalle precoci relazioni del bambino con gli adulti, e impedisce all’essere umano di rinchiudersi in una «intima totalità», che pure instancabilmente rincorre, ineluttabilmente scoprendosi sempre straniero a se stesso.

La situazione analitica si è rivelata un laboratorio prezioso e privilegiato per individuare come avvenga la costruzione di una soggettività, e come questa sia fondamentalmente divisa: una sorta di «trappola» per fantasmi e per affetti che ha permesso di portare alla coscienza le più diverse e inaccettabili fantasie, insieme ai sentimenti più inconfessabili, spesso dirompenti per il povero «Io» che, come diceva Freud, si scopre non padrone in casa propria e perciò tenta, ridicolmente e tragicamente, di fare alla maniera del clown che vuol «convincere gli spettatori del fatto che tutti i cambiamenti avvengono nel circo grazie ai suoi comandi», sia pure a prezzo di sintomi più o meno invalidanti.

Successivamente, il laboratorio analitico ha sempre più portato all’attenzione anche la delicatezza e l’incertezza di questa lenta e laboriosa costituzione, di come cioè siano molte le situazioni di sofferenza dovute proprio al fatto che, per vari motivi, quelle fantasie e quegli affetti nemmeno riescono a costituirsi e a trovare uno spazio psichico in cui essere contenuti e appunto trovare forma, per tradursi in una vita autentica da vivere.

In ogni caso, l’essere umano, che vive e si evolve nella nicchia ecologica del linguaggio per diventare un soggetto, ritrovandosi costitutivamente diviso, cerca appunto di chiudersi - immaginariamente e simbolicamente - nel proprio corpo, nella propria anima e, via via, nella propria famiglia, nella propria coppia, nel proprio gruppo o clan, nelle proprie «cose» e nelle innumerevoli varianti che questo «proprio» può assumere. E per far questo continuamente ricerca e costruisce insegne distintive di questa «proprietà» - oggi la si chiama spesso «identità» - in cui riconoscersi ed entro cui allinearsi e irreggimentarsi, e al tempo stesso ricerca e costruisce, talvolta ferocemente, quell’«altro» - l’«estraneo», il «diverso», il «nemico» - che gli possa permettere, illusoriamente, di meglio circoscrivere e proteggere la sua «identità»; e lo fa, in particolare, affidando all’altro ciò che non riesce e non può riuscire ad accettare e a accogliere come parte integrante di sé stesso: c’è bisogno di segnalare come i moderni pogrom, anche nostrani, rifrangano anche questa caratteristica costitutiva dell’essere umano?

Il chiuso della stanza di analisi, come il «chiuso» dell’inconscio individuale, riflette dunque l’aperto della cultura, dei rapporti sociali, delle ideologie, degli avvenimenti storici, microstorici e familiari, segnalando anticipatamente le trasformazioni cui quell’aperto va incontro, come pure mostrandone i troppo spesso immutabili e immemoriali presupposti. Da un lato, questa riverberazione rende a rigore poco sostenibile una troppo marcata distinzione tra ciò che apparterrebbe alla psiche in quanto sviluppatosi autonomamente dall’ambiente (l’«intrapsichico») e ciò che della psiche sarebbe invece connesso alla relazione con gli altri e il mondo esterno (l’«interpsichico»): una contrapposizone che non è affatto imputabile a Freud e a proposito della quale Green ribadiva, tout court, che la psiche è il rapporto tra due corpi di cui uno è assente.

Dall’altro lato, questa riverberazione non sempre avviene in tempi corrispondenti al presente della coscienza o dell’Io, che auspicherebbe una immediata consapevolezza e un efficace controllo - una padronanza, appunto - di ciò che si muove dentro e intorno a lui, di qualsiasi cambiamento. Spesso invece avviene con quella temporalità specificamente individuata dalla psicoanalisi e denominata après-coup: solo a posteriori e a cose fatte un evento, piacevole o terrorizzante che sia, può acquistare affettivamente senso nonché, paradossalmente, una sua traumaticità. Una dilazione che del resto corrisponde alla separazione introdotta dal linguaggio nei confronti della cosa che nomina e al differimento dell’azione avviato dal pensiero (una azione di prova, diceva Freud), ed è dunque una caratteristica intrinseca della soggettività.

Tutti questi elementi, con le loro varianti e le loro contraddittorietà, confluiranno da domani nel convegno che la Società psicoanalitica italiana ha organizzato sul tema «Identità e cambiamento. Lo spazio del soggetto», invocando due termini che pure non appartengono specificamente al lessico e alla concettualizzazione psicoanalitica, e segnando una tappa significativa nel progetto di dedicare, ogni quattro anni, un congresso nazionale all’ascolto dei disagi degli esseri umani nell’attuale contesto sociale, culturale e clinico.

I lavori in corso

La relazione di apertura sarà affidata a Fernando Riolo, l’attuale presidente della Società psicoanalitica italiana, mentre poi il tema delle identificazioni come ponte tra mondo interno e mondo esterno sarà affrontato, nella stessa giornata, dalle relazioni di Anna Ferruta e Lucio Russo. Il convegno ospiterà inoltre contributi del sociologo Marc Augé, dell’architetto Vittorio Gregotti, dell’epistemologo Mauro Ceruti e del semiologo Paolo Fabbri, mentre sul fronte della psicoanalisi parlerà, anche, tra gli ospiti stranieri, René Kaës. Di certo l’attualità sociale e culturale sembra imporre alla psicoanalisi, ancora più di quanto non avvenisse in passato, l’esigenza di incontrare altre discipline, altri ricercatori e altre esperienze; ma d’altra parte oggi c’è la necessità di una ancora maggiore attenzione nello schivare i rischi di cadere nel sociologismo, nello psicologismo, nel biologismo, nell’etnologismo, evitando di smarrire la peculiarità del metodo psicoanalitico e del suo oggetto specifico. Alla psicoanalisi è altresì necessario non rinunciare a articolare un più deciso e rinnovato sforzo di teorizzazione, evitando di confinarsi in una pratica apparentemente autosufficiente, cosa che Freud stesso scongiurava: «L’uso terapeutico dell’analisi è soltanto una delle sue applicazioni, e l’avvenire dimostrerà forse che non è la più importante». In quanto «dottrina dell’inconscio psichico - aggiungeva - può divenire indispensabile per tutte le scienze che studiano la storia delle origini della civiltà umana e delle sue grandi istituzioni, come l’arte, la religione e l’organizzazione sociale».


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