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PASQUA DI RESURREZIONE, 2009: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici). DIO E’ AMORE (Charitas) - non "MAMMONA" (Benedetto XVI, "Deus caritas est")!!!

L’ULTIMO PAPA CEDE IL PASSO A ZARATHUSTRA: "CHI AMA, AMA AL DI LÀ DEL PREMIO E DELLA RIVALSA". Una pagina di Nietzsche - a cura di Federico La Sala

lunedì 13 aprile 2009 di Federico La Sala
[...] Detto a tre occhi - disse argutamente il vecchio papa (perché era cieco da un occhio) - nelle cose di Dio ne so più io dello stesso Zarathustra; e può ben essere così. Il mio amore ha servito a lui per tanti anni, la mia volontà ha fatto sempre quanto lui voleva. Un buon servitore sa tutto, e sa anche le cose che il suo padrone spesso nasconde a se stesso.
Era un Dio nascosto, pieno di segreti. Per dir la verità, ad avere un figlio ci arrivò per vie traverse. Alla soglia del suo (...)

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> L’ULTIMO PAPA CEDE IL PASSO A ZARATHUSTRA --- La visione e l’enigma: "Se abbiamo perduto la fede nel nome di Dio... Possiamo ancora credere in un Dio infante, come quel Gesù bambino che, come ci è stato insegnato, i potenti volevano e vogliono a ogni costo uccidere" (di G. Agamben).

giovedì 28 marzo 2024

La verità e il nome di Dio *

È da quasi un secolo che i filosofi parlano della morte di Dio e, come spesso accade, questa verità sembra oggi tacitamente e quasi inconsapevolmente accettata dall’uomo comune, senza che ne siano tuttavia misurate e comprese le conseguenze. Una di queste - e certamente non la meno rilevante - è che Dio - o, piuttosto, il suo nome - era la prima e ultima garanzia del nesso fra il linguaggio e il mondo, fra le parole e le cose. Di qui l’importanza decisiva nella nostra cultura dell’argomento ontologico, che stringeva insolubilmente insieme Dio e il linguaggio, e del giuramento pronunciato sul nome di Dio, che obbligava a rispondere della trasgressione del vincolo fra le nostre parole e le cose.

Se la morte di Dio non può che implicare il venir meno di questo vincolo, ciò significa allora che nella nostra società il linguaggio è diventato costitutivamente menzogna. Senza la garanzia del nome di Dio, ogni discorso, come il giuramento che ne assicurava la verità, non è più che vanità e spergiuro. È quanto abbiamo visto apparire in piena luce in questi ultimi anni, quando ogni parola pronunciata dalle istituzioni e dai media era soltanto vacuità e impostura. Viene oggi al suo termine ultimo un’epoca quasi bimillenaria della cultura occidentale, che fondava la sua verità e i suoi saperi sul nesso fra Dio e il logos, fra il nome sacrosanto di Dio e i semplici nomi delle cose. E non è certo un caso se solo gli algoritmi e non la parola sembrano ancora custodire un qualche nesso col mondo, ma questo soltanto nella forma della probabilità e della statistica, perché anche i numeri non possono in ultimo che rimandare a un uomo parlante, implicano ancora in qualche modo dei nomi.

Se abbiamo perduto la fede nel nome di Dio, se non possiamo più credere nel Dio del giuramento e dell’argomento ontologico, non è, però, escluso che sia possibile un’altra figura della verità, che non sia soltanto la corrispondenza teologicamente obbligata fra la parola e la cosa. Una verità che non si esaurisca nel garantire l’efficacia del logos, ma faccia in esso salva l’infanzia dell’uomo e custodisca ciò che in lui è ancora muto come il contenuto più intimo e vero delle sue parole. Possiamo ancora credere in un Dio infante, come quel Gesù bambino che, come ci è stato insegnato, i potenti volevano e vogliono a ogni costo uccidere.

*

5 dicembre 2022
-  Giorgio Agamben


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