IL CASO
Fascio littorio sul simbolo elettorale per l’aspirante sindaco di Santeramo
Giuseppe Lassandro, venti anni, in corsa nel Barese per il movimento Fascismo e libertà. Un nome che l’ufficio elettorale provinciale giudica incostituzionale: diventa una sigla, ma il resto non cambia. E la vicenda finisce in Parlamento con un’interrogazione alla Cancellieri
di LELLO PARISE *
Non ci fanno, ci sono. Un manipolo di dodici candidati sostiene come un solo uomo la nomination a sindaco di Santeramo, di Giuseppe Lassandro. Un giovane, giovanissimo aspirante primo cittadino: Lassandro ha vent’anni. Crede e combatte sotto una bandiera che sembrava sepolta dal tempo, e dal buon senso: Fascismo e libertà. Il simbolo di questa squadra che predica "fedeltà e coerenza" alla "ideologia incorrotta del duce Benito Mussolini", è inequivocabile: un fascio littorio. Le canne usate per fustigare i delinquenti, l’ascia utilizzata nell’amministrazione delle pene capitali che nell’antica Roma erano inflitte agli stessi delinquenti. I militanti avvertono: "Non abbiamo raccolto la triste e disonorevole eredità del neofascismo della prima Repubblica". Ma a loro volta sono avvertiti dall’ufficio elettorale provinciale: cambiate quel marchio.
Così accanto al fascio, sparisce la scritta "Fascismo e libertà" e prende forma una sigla apparentemente anonima: "Mfl", movimento fascismo e libertà. Non tutti sanno che cosa significa, ma in questo modo i camerati guidati da Lassandro evitano l’accusa di incostituzionalità. Ci aveva provato il competitore di sinistra e Udc, Michele D’Ambrosio, a fare sì che "il giovanotto disorientato" facesse "un passo indietro": "Caro Giuseppe, evita di evocare violenza e prepotenza". Battaglia persa. Il "caro Giuseppe" risponde per le rime: "Gentile professore, le mie idee non sono affatto confuse". Ritorna alla mente una vecchia battuta di Leo Longanesi: "Suo figlio studia?". "No, ora fa il fascista".
Ma il caso non passa inosservato, e la lista Fascismo e libertà con tanto di simbolo finisce in Parlamento. Il deputato del Pd Dario Ginefra interpella il ministro dell’Interno per chiedere "quali iniziative il governo intenda assumere rispetto a questa vicenda incresciosa". Ginefra cita la cosiddetta legge Mancino, che dal 1993 "condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista". La stessa legge, precisa il deputato, "punisce anche l’utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici". Si tratta del "principale strumento legislativo che l’ordinamento italiano offre per la repressione dei crimini d’odio. L’articolo 4, in particolare, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni e con una multa chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni".
C’è poi la dodicesima disposizione transitoria della Costituzione che al primo comma stabilisce: "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista". E c’è la convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, recepita dall’ordinamento italiano nel 1975. "Tale convenzione - spiega l’onorevole Ginefra - dichiara fra l’altro che ’gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s’ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale’".