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A FRANCESCO E CHIARA DI ASSISI. A DANTE E ALL’ ITALIA. "Deus charitas est: et qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo" (1 Gv., 4.1,21).

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO. Una nota di Federico La Sala

DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA
giovedì 28 febbraio 2013 di Federico La Sala
[...] Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est”
[Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!
Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un (...)

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> SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE ... "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H") ---- DIO E IL VITELLO D’ORO (di Ernesto Balducci)

mercoledì 11 giugno 2014

DIO E IL VITELLO D’ORO

di Ernesto Balducci *

«La suggestiva narrazione di Mosè che, dopo avere spezzato le pietre - il popolo, mentre egli parlava con Dio si era costruito il vitello d’oro -, se ne ritorna alla sorgente, al Dio dell’alleanza per invocare perdono ed avere una nuova legge, suscita immediatamente una analogia che non può non diventare un discorso di severa condanna per noi che ci diciamo e siamo popolo di Dio. Se scendesse ancora una volta il profeta dalla montagna e venisse verso di noi con la legge, dovrebbe spezzare di nuovo le tavole perché questo popolo di Dio che ha eretto templi, ha scritto biblioteche intere sul mistero di Dio però l’ha fatto per potersi meglio consentire la costruzione del vitello d’oro. Ditemi voi se non c’è il vitello d’oro nelle piazze della società evoluta di oggi, la quale ha costruito intorno al vitello d’oro una cintura di armi spaventosa per la sua difesa.

Questo è, seguendo il filo dell’immaginazione messomi in mano dalla Scrittura, lo stato delle cose. Il dramma è che noi continuiamo a parlare di Dio - eccoci qui anche oggi - noi continuiamo a girovagare per il mondo con i suoi simboli, con le sue tavole, mentre indisturbata, sicura di sé la società danza attorno al vitello d’oro, unica vera onnipotenza, quella che in un piccolo sgarro mistico il padre dell’economia moderna chiamò «la mano invisibile», la logica del profitto, una specie di Spirito Santo invisibile che tutto fa e tutto può. E questo popolo, a diversità di quello delle origini che fu oggetto delle ire di Mosè, non è funestato da nessuna ira, anzi gli esperti, gli scribi e i pontefici, sono, tutto sommato, benevoli, spesso anche complici di questa danza attorno al vitello d’oro. Ecco perché tutte le nostre creazioni portano in sé almeno qualche segno del culto del vitello d’oro. Perfino gli sforzi - come quello che noi oggi generosamente facciamo - di creare una Europa unita si poggiano sulla logica del mercato onnipotente.

Ogni volta che la nozione di Dio è contaminata dal culto del vitello d’oro, occorre risalire la montagna per avere di Dio un’altra definizione, perché Dio si contamina nelle nostre contaminazioni. La Sua immagine, la Sua nozione non è una nozione, una immagine pura, estranea ai miasmi del nostro esistere. Attraverso i concetti, anche i più limpidi e cristallini, passa il fiato malefico delle nostre passioni.

Quando si elaborò la mirabile teologia sulla Trinità, sul dogma si posò la spada di Costantino che disse: «chi non ci crede, lo ucciderò!». Vuol dire che c’era, perfino in quella teologia, una specie di omogeneità allo spirito di potenza. E difatti, una volta chiuso il mistero di Dio negli alti logaritmi teologici, chi ne poteva parlare? Soltanto gli esperti. Il Dio di Gesù Cristo fu annunciato da degli analfabeti i quali non avevano nessuna preoccupazione di spiegare che Dio è Uno in Tre persone uguali fra loro, dato che nessuno si preoccupava di interrogarli su questa uguaglianza.

Quel messaggio era un messaggio di salvezza e non la rivelazione di arcani segreti o di arcane dottrine. Poi, invece, è avvenuto che questa dottrina sulla unità e trinità di Dio si è resa raffinatissima, tanto che chiunque ne osa parlare senza i titoli di studio adeguati incappa in gravissimi errori. Allora, per evitare l’errore, si impedisce la predicazione, o meglio, si monopolizza.

Avvenne, nel cuore del Medio Evo, che quel santo dei santi che è Francesco d’Assisi potesse, sì, andare a predicare, purché non parlasse di Dio, dato che di Dio potevano parlare soltanto i «clerici», gli esperti, e lui era un laico. Francesco, con una specie di inconscia astuzia, tutta evangelica, predicò la pace, tema su cui i clerici lasciavano fare».

*

Ernesto Balducci, Il Vangelo della Pace; vol. 1; pag. 189-191 - segnalazione di don Aldo Antonelli)


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