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A FRANCESCO E CHIARA DI ASSISI. A DANTE E ALL’ ITALIA. "Deus charitas est: et qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo" (1 Gv., 4.1,21).

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO. Una nota di Federico La Sala

DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA
giovedì 28 febbraio 2013 di Federico La Sala
[...] Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est”
[Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!
Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un (...)

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> RINASCERE ---- Nati da Dio, siamo Cristo risorto. Pace a voi (di di Raymond Gravel - una riflessione).

domenica 15 aprile 2012

Noi siamo Cristo risorto!

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 13 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Per 50 giorni, o meglio 49 giorni (7x7), la Chiesa dispiega la festa di Pasqua. Questo tempo termina il 50° giorno, che si chiama Pentecoste. Sant’Attanasio diceva infatti che c’è solo un’unica domenica di Pasqua che si prolunga fino a Pentecoste. Così, se è vero che senza Pasqua non ci sarebbe mai stato Natale, sappiamo che prima di essere annuale, la celebrazione pasquale fu, per i primi cristiani, settimanale: ogni domenica era un memoriale della Resurrezione del Signore. Solo nel II secolo la Chiesa ha scelto di celebrare ogni anno la festa di Pasqua. Ma in realtà, ogni domenica è Pasqua, poiché celebriamo il memoriale della morte-resurrezione di Cristo.

Purtroppo, nella Chiesa cattolica, a partire dal XVI secolo, nel conflitto con i Protestanti, si è talmente insistito sul sacrificio della messa che ci ricorda il sacrificio della croce, che si è messo in secondo piano il memoriale della Resurrezione. Eppure non si possono separare le due cose: la messa, cioè l’Eucaristia è il memoriale della morte-resurrezione di Cristo, ed è quindi la festa di Pasqua.

Oggi i testi biblici che ci sono proposti sono ricchi di senso e di significati. Eccone alcuni:

1. L’ideale della Chiesa primitiva. Nella prima lettura di oggi, nel libro degli Atti degli Apostoli, abbiamo il secondo sommario di tre, sull’ideale proposto dai primi cristiani. Questo sommario riprende ciò che era stato il tema del primo: la predicazione apostolica ed il suo successo presso le folle (Atti 4,33). Luca inserisce questo versetto tra due descrizioni della vita interna della comunità cristiana:

“La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune” (Atti 4,32).

“Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli. Poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno” (Atti 4,34-35).

Queste due descrizioni del vissuto dei primi cristiani possono sembrare irrealistiche ed utopistiche, ma si tratta invece di un ideale proposto dalla Chiesa primitiva, a partire dal concetto dell’amicizia greca vantata da Aristotele: “Gli amici hanno una sola anima tra loro e i beni sono proprietà comune”, e a partire da una rilettura del libro del Deuteronomio sulla ripartizione della ricchezza:

“Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi” (Dt 15,4).

È evidente che tanto tra i primi cristiani che tra i cristiani di oggi c’è una grande distanza dall’applicazione di questo ideale. L’episodio di Saffira e di Anania riferito dagli Atti (Atti 5,1-11), ce lo mostra chiaramente. Del resto, anche oggi, dobbiamo lasciarci interpellare da questo ideale; siamo ancora lontani dalla sua realizzazione. Tuttavia, la fede cristiana lo esige.

2. Nati da Dio, siamo Cristo risorto. Che bella la lettera di Giovanni che ci dice la dignità di coloro che credono nel Cristo risorto: “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato” (1Gv 5,1). Pasqua è presentata come una nuova creazione, già sulla croce del Venerdì santo, la Chiesa è nata, e la sua missione comincia la mattina di Pasqua. San Giovanni Crisostomo, nel IV secolo, diceva: “Uscì dal suo costato sangue ed acqua (Gv 19,34)... Ho detto che quell’acqua e quel sangue erano il simbolo del battesimo e dei misteri (l’eucaristia). Ora, la Chiesa è nata da questi due sacramenti: da questo bagno della rinascita e del rinnovamento nello Spirito, dal battesimo quindi, e dai misteri. Ora, i segni del battesimo e dei misteri provengono dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva”.

Allo stesso tempo, tutto è Amore: “In questo riconosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio” (1Gv 5,2a), e, per amare Dio, bisogna prima di tutto amare i suoi figli: “Se uno dicesse: ’Io amo Dio’, e odiasse suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). E l’amore si manifesta nel nostro modo di essere e nel nostro modo di vivere come cristiani: “In questo infatti consiste l’amore di Dio: nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” (1Gv 5,3). Il che ha fatto dire a Sant’Agostino, nel IV secolo: “In ciò che si ama, o non c’è fatica, oppure questa stessa fatica è amata”.

3. La missione cristiana: pace, gioia, liberazione, speranza e presenza. La pagina di vangelo che leggiamo ogni anno nella seconda domenica di Pasqua costituiva, agli inizi della Chiesa, la fine del vangelo di Giovanni. Il capitolo 21 è un’aggiunta posteriore, con la quale l’autore o gli autori hanno voluto riconciliare i cristiani che credevano nel ruolo particolare di Pietro e quelli che accordavano un posto preponderante al discepolo che Gesù amava. La pagina del vangelo di oggi comporta dei messaggi importanti:

1) L’apparizione ai discepoli la sera di Pasqua e la domenica successiva significa innanzitutto l’importanza della riunione domenicale, come luogo di incontro del Risorto. Di modo che, nella prima riunione, Tommaso è assente; non ha quindi potuto fare l’esperienza del Risorto. Solo la domenica successiva ha potuto anche lui incontrare il Signore. Il che significa che ancora oggi è possibile anche a noi vivere l’esperienza del Risorto nelle nostre riunioni domenicali.

2) Durante queste riunioni, Cristo si fa presente, nonostante le nostre porte chiuse a chiave. Ed è presente per darci la sua pace. Ma in quale modo lo si riconosce? Giovanni ci dice che il Risorto di Pasqua è proprio il Crocifisso del Venerdì santo. Si tratta quindi di una continuità tra il Gesù del Calvario e il Cristo della mattina di Pasqua. In fondo, la Resurrezione non abolisce la passione, la sofferenza e la morte; le trasforma, ne rivela il senso. Soprattutto non dimentichiamo che siamo alla fine del I secolo, in piena persecuzione cristiana, Per questo, è vedendo gli altri, e specialmente coloro che portano i segni e le ferite del crocifisso, che i partecipanti alla riunione riconoscono il Signore e provano una grande gioia: “I discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20, 20b). La pace li invade: “Pace a voi!” (Gv 20, 19b.21a).

3) Riuniti in nome della nostra fede e della nostra appartenenza a Cristo, siamo ricreati, investiti del suo Spirito: “Detto questo soffiò e disse loro: ’Ricevete lo Spirito Santo’” (Gv 20,22). È la Pentecoste, è la missione che comincia. Questa nuova creazione fa dei discepoli dei Cristi risorti. Bisogna quindi aprire le porte e partire ad annunciare questa Buona Notizia che Cristo è vivo, che ci assicura la sua presenza, che ci lascia la sua pace e che ci offre la liberazione, la libertà: “A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non li perdonerete non saranno perdonati” (Gv 20,23). È una responsabilità: si ha il potere di liberare la gente o di rifiutare di farlo. Una cosa è certa, se vogliamo assomigliare a Cristo, la liberazione è obbligatoria.

4) Assente dalla prima riunione, Tommaso, che è, insieme, il nostro gemello e il nostro modello nella fede, non ha fatto l’esperienza del Risorto. Sentiva la testimonianza degli altri, ma gli ci voleva qualcosa di più: “Se non vedo nelle sue mani il segno e se non metto il mio dito nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,25b). Alla riunione della domenica successiva, Tommaso è presente. Il testo di Giovanni non dice che Tommaso ha toccato le piaghe di Cristo... Dice semplicemente che le ha viste, e il verbo vedere, nel vangelo di Giovanni ha lo stesso senso del verbo credere: vedere porta necessariamente alla fede. Per questo, l’evangelista Giovanni ci presenta Tommaso non come un incredulo, ma proprio come un modello di fede. L’espressione: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) è la più bella professione di fede del discepolo che incontra il Risorto.

5) La Beatitudine che segue al versetto 29: “Beati coloro che credono senza aver visto”, si rivolge a tutti i cristiani di tutti i tempi che sono invitati a credere sulla testimonianza dei primi testimoni, cioè di coloro che hanno conosciuto Gesù di Nazareth e che, dopo la sua morte, lo hanno riconosciuto vivente nella comunità dei suoi discepoli. La loro esperienza del Risorto è unica, nel senso che possono verificare la sua autenticità rispetto a quel Gesù che hanno conosciuto, seguito, amato, accompagnato fino alla morte. Sono in qualche modo dei testimoni privilegiati, ed è sulla loro testimonianza che si fonda la fede nostra, di noi, discepoli di oggi.

Terminando vorrei condividere con voi questo bellissimo commento dell’esegeta francese Jean Debruynne su questa pagina di vangelo:

“Questo testo del vangelo è una meravigliosa canzone di speranza. È quando noi abbiamo chiuso la porta a Gesù, quando abbiamo messo il chiavistello, che Gesù entra e sta lì. È nel momento in cui si dubita di più che Gesù arriva. È nella notte che nasce il giorno. È nell’inverno che comincia la primavera. È quando non c’è più speranza terrena, che sorge la Speranza vera. È quando non c’è più ragione di credere che la fede apre gli occhi. Il chiavistello è messo, la porta è ermeticamente chiusa eppure Gesù è lì. Non è fuori di noi, è dentro. Si presenta: ’Pace a voi!’ Gesù non è né rimprovero né accusa, è Pace. La Pace sia con voi!”


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