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A FRANCESCO E CHIARA DI ASSISI. A DANTE E ALL’ ITALIA. "Deus charitas est: et qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo" (1 Gv., 4.1,21).

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO. Una nota di Federico La Sala

DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA
giovedì 28 febbraio 2013 di Federico La Sala
[...] Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est”
[Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!
Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un (...)

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> SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ---- Dopo sette anni di pontificato, e i numerosi casi di incomprensione tra il papa e il mondo, i "paradossi di un fine pontificato" (di Stéphanie Le Bars - “Le Monde”)

martedì 19 giugno 2012


Paradossi di una fine di pontificato

di Stéphanie Le Bars

in “Le Monde” del 16 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Furti, macchinazioni, complotti, tradimenti, minacce: il Vaticano ha forse fatto in queste ultime settimane un salto indietro di secoli? Sembra perfino che la morte si aggiri nei vicoli lastricati di Roma, se si deve credere all’ex presidente della banca del Vaticano: congedato in fretta dal suo incarico, il 23 maggio, Ettore Gotti Tedeschi ha assicurato poco dopo di “temere per la sua vita”. Nemmeno un anno, o quasi, di pontificato di Benedetto XVI, è stato risparmiato da scandali e rivelazioni che hanno dato una coloritura “noir” ai metodi di governo di alcuni gerarchi della “Chiesa universale”. Iniziato nel 2005 come regno di transizione di un papa anziano e poco intraprendente, questo pontificato sconfina, per certi aspetti, nel tragico.

Dopo gli scandali di pedofilia e i numerosi casi di incomprensione tra il papa e il mondo, ora i Vatileaks, queste pubblicazioni di lettere confidenziali sulla stampa, delineano dei contorni di una fine regno paradossale. Benedetto XVI sembra come superato dalla vastità dei cantieri che lui stesso ha dovuto aprire, suo malgrado. E non è certo che l’energia e il tempo che gli restano gli bastino per rimettere ordine nella curia, per ristabilire la fiducia e restaurare un’immagine appannata.

Eppure Benedetto XVI sapeva che cosa doveva aspettarsi. Poco prima della sua elezione, il cardinale Ratzinger aveva fatto una diagnosi terribile. “Spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”, aveva affermato durante la Via Crucis nel 2005. Ahimè! La politica di “trasparenza e di purificazione”, rivendicata da allora dal papa in materia finanziaria o sul problema della morale del clero, si scontra con le resistenze all’interno della curia e negli episcopati. Certo, affinché che “la barca” trovasse acque meno torbide, sarebbe stato necessario un papa politico, esperto nell’amministrazione degli uomini e in grado di sventare gli intrighi vaticani, un’arte italiana nella quale eccellono i membri della curia. Benedetto XVI è l’esatto contrario. Prima di tutto teologo, ha fatto una scelta diversa. Con una costanza che suscita l’ammirazione dei suoi sostenitori ma spiega in parte le disavventure del pontificato, l’ottuagenario ha preferito dedicare le sue forze alla restaurazione di una fede cattolica che considera in pericolo.

Costantemente, quindi, il papa invita i credenti a ritrovare “la lettura della parola di Dio”, a ritornare “al sacro”, a difendere posizioni “non negoziabili” in materia di morale, a mostrarsi fedeli alla “tradizione della Chiesa”, al punto da fare promesse agli integralisti contrari alla modernità... Questa strategia è adatta al “nocciolo duro” dei credenti. Ma non per una gestione politica e umana della Chiesa, tale da renderla più efficiente e seducente.

Così, dopo sette anni di pontificato, le riforme in materia di trasparenza e di governance, che il suo predecessore Giovanni Paolo II non aveva saputo né voluto intraprendere, restano incompiute. Dovendo affrontare scandali ricorrenti nel funzionamento dell’Istituto delle Opere di Religione (IOR), il Vaticano è stato spinto dagli organismi europei a mettere la sua banca in regola con le norme internazionali di lotta al riciclaggio di denaro sporco, per avere la possibilità di essere inserito nella “white list” dei paesi virtuosi. Le recenti fughe di documenti e la destituzione a sorpresa di Gotti Tedeschi fanno pensare che non tutti condividano l’opinione del papa e/o i metodi impiegati.

Lo scandalo Vatileaks ha messo in luce ciò che molti osservatori avevano già notato: una polarizzazione sulla persona del cardinal Bertone, numero due del Vaticano e fedele a Benedetto XVI, alimentata dall’importanza crescente dei suoi amici italiani negli affari della curia e nelle poste in gioco della successione. Se dovesse essere fatto oggi un conclave, gli italiani sarebbero presenti con 30 elettori su 125.

Questa situazione rende difficile per il Vaticano l’uscita dal suo italocentrismo, nel momento in cui la mondializzazione e le sfide che si presentano alla Chiesa (scristianizzazione da un lato, corruzione dall’altro, concorrenza, altrove, con il protestantesimo o con l’islam...) esigerebbero uno sguardo plurale, collegiale e nuovo sulle situazioni dell’istituzione. Ma la Chiesa resta segnata da un centralismo mortifero; il papa e le persone a lui vicine si muovono in un universo da “ancien régime”, in cui vige una “benevolenza fraterna”, dove i cattivi soggetti vengono spostati senza essere mai, o quasi mai, sanzionati. Al contempo, una parte dei fedeli e del clero hanno fatto proprie le esigenze di trasparenza, di individualismo, di democrazia, di concertazione delle società moderne e del loro funzionamento attraverso le reti.

Non avendo tenuto conto di queste nuove realtà, certe decisioni prese a Roma vengono contestate in Germania, negli Stati Uniti o in Giappone. Ci sono credenti fanno enormi sforzi per restare “cattolici”, ma il “cattolicesimo romano” verticale e onnipotente non sta più loro bene. Perfino dei preti arrivano a definirsi ufficialmente “disobbedienti”. Nel momento in cui occorrerà fare un bilancio, la “Chiesa universale” che sarà lasciata in eredità da Benedetto XVI al suo successore potrebbe rivelarsi addirittura più fragile e frammentata che non profondamente “purificata” e rinnovata.


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