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A FRANCESCO E CHIARA DI ASSISI. A DANTE E ALL’ ITALIA. "Deus charitas est: et qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo" (1 Gv., 4.1,21).

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO. Una nota di Federico La Sala

DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA
giovedì 28 febbraio 2013 di Federico La Sala
[...] Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est”
[Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!
Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un (...)

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> Il papa deve concedere la grazia al suo ex maggiordomo, Paolo Gabriele (di Gianluigi Nuzzi)

lunedì 8 ottobre 2012

Il papa deve concedere la grazia al suo ex maggiordomo, Paolo Gabriele

di Gianluigi Nuzzi

in “LeMonde.fr” del 8 ottobre 2012

(traduzione: www.finesettimana.org)

Condannato a 18 mesi di reclusione, Paolo Gabriele, il maggiordomo di Benedetto XVI, sarà graziato dal papa? La misericordia del Vangelo e della Chiesa prevedono il perdono. Chiedo solennemente al Santo padre di accordare la grazia al suo ex collaboratore, punito per aver sottratto dei documenti di cui ha fatto pervenire delle fotocopie al giornalista che io sono. Paolo Gabriele non ha violato alcun segreto militare o diplomatico come nel caso Wikileaks. Il suo gesto è un gesto di denuncia. Ha messo sotto gli occhi di tutti le realtà nascoste del Vaticano che nuocciono alla stessa Chiesa.

La grazia, se sarà accordata, proverà che in questo caso, la Chiesa non è un’istituzione oscura e conservatrice ma che, al contrario, è capace di perdonare colui che, a torto o a ragione, ha rischiato il proprio avvenire per il suo bene. Chi ha fatto del torto alla Chiesa? Paolo Gabriele che, abusando della fiducia del papa, ha rivelato i giochi di potere in seno alla Curia o i protagonisti di tali complotti? È mio dovere offrire alcuni elementi di riflessione perché tutti possano sapere ciò che è accaduto e soprattutto quali sono state le vere ragioni - appena accennate durante il processo - che spiegano il gesto dell’ex maggiordomo.

Nei mesi durante i quali ho frequentato il collaboratore del papa, ho affrontato a più riprese il tema della sua responsabilità. Mi è sempre sembrato sereno e convinto di fare ciò che era, secondo lui, indispensabile e giusto. Ha spesso insistito sul fatto che il santo padre era totalmente estraneo alle congiure, ai conflitti di potere, agli intrighi finanziari che i documenti che ho pubblicato nel mio libro mostrano. Il papa, infatti, non ha alcun ruolo in questi oscuri affari. Sembra, al contrario, esserne indirettamente la vittima.

Perché allora non reagisce? Perché non caccia questi mercanti dal tempio? Secondo Paolo Gabriele, il papa è tenuto all’oscuro di ciò che dovrebbe riguardarlo. “Talvolta, ha raccontato Paolo Gabriele nel corso di una delle udienze, mentre eravamo a tavola, Benedetto XVI poneva delle domande a proposito di avvenimenti di cui avrebbe dovuto essere informato”

Questa testimonianza pone nuovamente una questione lancinante: Joseph Ratzinger, teologo, studioso, è un “capo di Stato” informato o vive in una sorta di solitudine? Quante informazioni riceve che gli permetterebbero di avere una visione completa dei problemi che agitano il Vaticano? E, di contro, quante informazioni parziali o tronche gli sono presentate per cercare di influenzarlo?

Beneficiando di un punto di osservazione privilegiato, Paolo Gabriele, che è stato per sei anni una delle persone più vicine al santo padre, dubitava fortemente che Benedetto XVI fosse stato sempre tenuto al corrente di ciò che succedeva tra le mura del Vaticano. Questa realtà che emerge dai documenti che ha sottratto ha aggiunto amarezza al suo dolore. I complotti, i regolamenti di conti sono in evidente contraddizione con i principi di trasparenza fermamente voluti da Benedetto XVI stesso.

Durante i nostri incontri, ha confessato la propria profonda perplessità, il proprio disagio. Ha insistito sul proprio amore per il papa, la propria venerazione per la sua semplicità. Secondo lui, Benedetto XVI è un uomo puro in mezzo ai lupi. Il maggiordomo vedeva crescere la distanza siderale tra il papa e le espressioni più dure e più vili del potere, tra il pastore della Chiesa, che opera per la trasparenza nelle relazioni tra gli Stati, e ciò che si trama alle sue spalle: nomine, flussi finanziari, ecc. La denuncia di Paolo Gabriele si unisce a quella che il cardinale Ratzinger stesso formulava negli anni 70 quando affermava che “la Chiesa sta diventando per molti fedeli l’ostacolo principale alla fede. Riescono a vedere in essa solo l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini, che, con il pretesto di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano piuttosto ostacolare il vero spirito del cristianesimo”.

A poco a poco, Paolo Gabriele è diventato il confidente di coloro, che, tra i vescovi e i cardinali, erano, come lui, lacerati tra la loro fede, la loro ammirazione sincera per il papa e le manovre di corridoio di cui erano testimoni. Si rivolgevano a lui, pensando così di avere una via di accesso a Benedetto XVI. Fu per lui occasione di scoprire nuove ingiustizie.

Due esempi. La promozione-punizione di monsignor Carlo Maria Viganò, l’economo della Curia, promosso nunzio apostolico a Washington un anno dopo aver informato il papa della corruzione e delle operazioni opache nell’attribuzione di appalti pubblici e di forniture nel più piccolo stato del mondo. Dai documenti sottratti da Paolo Gabriele e che io ho pubblicato emerge che il presepe e l’albero di Natale installati ogni anno in piazza San Pietro costavano... 250.000 euro! Questa denuncia valse a Monsignor Viganò un terribile scontro con il cardinal Tarcisio Bertone, primo collaboratore di Benedetto XVI. Il Vaticano ha sempre replicato che le accuse di Viganò erano false. Paolo Gabriele ha, al contrario, ritenuto Monsignor Viganò vittima della propria volontà di trasparenza. Ha cercato di aiutarlo per quanto gli era possibile.

Secondo esempio: il siluramento di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le opere di religione, detto anche “la banca del papa”. Gotti Tedeschi è stato allontanato dopo che il consiglio di amministrazione della banca ha voluto rendere meno costrittive le regole anti-riciclaggio. Stimato dal papa, il banchiere è entrato anche lui in conflitto con Bertone. In una memoria confidenziale, trasmessa al papa, confida il timore di essere ucciso. Questi due casi, sui quali deve essere ancora fatta luce, spiegano da soli la frustrazione di un uomo solo di fronte agli intrighi, consapevole della fragilità del sovrano pontefice nella lotta secolare tra il bene e il male.


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