lettere al circolo Rosselli
di ViTTORIO MELANDRI
Ha un nome che fa pauuuuraa /libertaaà libertaaà libertaaà
Ieri 25 aprile 2009 su la Repubblica è ricomparso agli occhi disattenti dell’opinione pubblica, non di rado ad arte opacizzati da cataratte artificiali, la figura di Riccardo Lombardi.
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In una lettera a firma di Carlo Patrignani indirizzata a Corrado Augias si legge:
"Caro Augias,
vorrei ricordare per il 25 aprile, il primo Prefetto di Milano liberata: Riccardo Lombardi, ingegnere socialista ritenuto dalla polizia fascista "di statura gigantesca, scaltro e preparato, persona pericolosissima" anche se "di malferma salute".
Nel 1930 una squadraccia, a colpi di sacchi di sabbia, gli aveva lesionato un polmone. Dirigente del Cnlai, alla vigilia della Liberazione, alla presenza del cardinale Schuster mediatore della resa, aveva strappato la "resa senza condizioni" a Benito Mussolini. In un articolo sulla Rsi per `Il Ponte’ nel 1946 raccontò: «Mussolini è tutto in questo ultimo folle tentativo di rivolgere contro il popolo le armi, di ricreare una chance per il fascismo mettendolo al servizio dei reazionari occidentali, dopo averlo messo al servizio dei reazionari del Centro-Europa».
Il 24 aprile 1974 invitato ad una Tribuna Politica sul referendum per il divorzio, rifiuta il `faccia a faccia’, con il leader dell’Msi-Dn, Giorgio Almirante. Spiegò: «Noi siamo disposti al dibattito, anzi lo sollecitiamo, con tutti gli avversari più risoluti, anche con coloro che sono stati fascisti, ma non con coloro che agiscono da fascisti oggi servendosi della libertà conquistata il 25 aprile, per distruggerla». Spiegò anche il suo `No’ all’abrogazione della legge sul divorzio: «L’indissolubilità del matrimonio è un fatto di coscienza individuale che non può esser imposto o demandato da nessuna autorità civile». È morto 25 anni fa."
Augias ricorrendo all’aiuto di Giorgio Ruffolo risponde:
In autunno, quando ricorrerà l’anniversario esatto della morte (18 settembre 1984) bisognerà ricordarlo davvero questo siciliano di ferro (come La Malfa), figlio di un capitano dei carabinieri caduto in servizio quando aveva 3 anni, allevato dai gesuiti, entrato in politica con i `popolari’ di don Sturzo, poi socialista. Anzi leader della corrente di sinistra del partito socialista insieme a Giolitti e a Giorgio Ruffolo.
Proprio a Ruffolo, che ha lavorato a lungo con lui e lo ha conosciuto bene, ho chiesto di descriverlo brevemente con qualche parola che ne fissasse almeno un tratto fondamentale del temperamento, della visione politica. Ha risposto così:"Vorrei proprio vedere come va a finire. Peccato che devo andarmene". Così mi disse non molti giorni prima della morte. Si riferiva a una delle tante vicende che lo appassionavano. Gli capitava spesso. Era curioso: di leggere, di conoscere, di scoprire. Viveva il presente come storia. E aveva contribuito a scriverla. Ma di questo non parlava. Del passato parlava poco. Era il futuro che lo interessava. E non recriminava. Non dava giudizi sprezzanti su questo nostro paese, Nemmeno sui fascisti che gli avevano rotto le ossa. C’erano uomini così una volta nei partiti della sinistra.
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Già, c’erano uomini così una volta nei partiti della sinistra, e non solo nei partiti, anche nella "sinistra" politica e civile intesa in senso più lato.
Sinistra dai cui cascami purtroppo, oggi si allungano solo ombre (quando va bene).
Oggi 26 aprile 2009 sulla prima pagina del Corriere della Sera si legge:
"È una ferita antica che si chiude. L’Italia trova finalmente le parole della riconciliazione nazionale celebrando insieme la «festa di libertà»."
Giunto alla diciannovesima parola, Pierluigi Battista non riesce proprio a trattenersi e immortala, appunto sulla prima pagina del Corriere, il verbo di padron (pardon ..) di Silvio Berlusconi, non sia più "festa della liberazione", d’ora in poi sarà: «festa di libertà».
Non mi spingo a credere che sia calcolato, si tratta solo del caso cinico e amaro, ma i numeri si rincorrono e offrono il destro per notare che novant’anni dopo quel ’19, dopo 19 parole, ancora da Milano, spunta di bel nuovo come un Valentino vestito di nuovo, un nuovo "diciannovismo".
Povera libertà, le stanno proprio facendo la "festa".
Ai tanti che come me continuano a considerarla un bene indiviso da uguaglianza, fratellanza e pure onestà intellettuale, resta a disposizione ormai poco, a me, poco più di questo "ritornello", che sta dentro la colonna sonora del film di Luigi Magni "Nell’anno del Signore", che sottolineato dalle musiche di Armando Trovajoli accompagna la mia malinconia da troppi anni ....
La bella ch’è prigionieeera / Tra lala tra lala tra lala lala / Ha un nome che fa pauuuuraa /Libertaaà libertaaà libertaaà
vittorio melandri