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"FEBBRE ITALIANA" E COSTITUZIONE. LA PAROLA "ITALIA", COPERTA DA COPYRIGHT DAL 1994: IL NOME E L’IDENTITA’ DI TUTTO IL PAESE NELLE MANI DI UN PRIVATO E DI UN PARTITO ...

MENO MALE CHE C’E’ VERONICA. Al culmine (altro che vigilia!!!) di un regime conclamato, se la regina grida che "il re è nudo", che vuol dire?! Che paese siamo diventato!!! Una nota di Curzio Maltese - a cura di Federico La Sala

VIVA IL (PARTITO DEL) "POPOLO DELLA LIBERTA’", VIVA IL PRESIDENTE (DEL PARTITO UNICO) D’ITALIA: "FORZA ITALIA"!!!
giovedì 30 aprile 2009 di Federico La Sala
[...] Alla vigilia di un regime conclamato, qualcuno ci ricorda ancora che esiste la dignità. La sua, di donna, moglie, madre. La nostra di cittadini. Non si tratta dunque di un affare privato, ma di una questione politica. E’ importante ricordarlo, perché ci sono momenti in cui il fiume della cattiva politica tracima in dato antropologico permanente, e questo è il passaggio che stiamo vivendo. Alcuni il confine l’hanno già superato, basta leggere i commenti di certi giornali o il (...)

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> MENO MALE CHE C’E’ VERONICA. --- Il Cavaliere oggi vola a Milano per un chiarimento con la moglie (di Francesco Verderami)

giovedì 30 aprile 2009


-  Il Cavaliere oggi vola a Milano per un chiarimento con la moglie
-  Il presidente del Consiglio ai suoi «Stavolta non mi scuso»

-  di Francesco Verderami (Corriere della Sera, 30.04.2009)

ROMA - Non sapeva se ridere o di­sperarsi, Enrico Letta: «Stanno per arriva­re dati terrificanti sul fabbisogno dello Stato, e di cosa si parla? Di ’papi’». Per­ché in effetti non si parlava d’altro ieri in Parlamento, della diciottenne Noemi che chiama Berlusconi «papi» e dell’en­nesima sfuriata di Veronica Lario contro il marito. Ma per quanto possa apparire paradossale non c’è differenza tra questa storia d’interno familiare e i conti dello Stato, perché lo scontro tra il premier e la sua consorte è un affare di Stato nel sistema della seconda Repubblica.

Così la «dynasty all’italiana» si è pre­potentemente infilata nelle dinamiche politiche. All’ombra di una lite privata sulla suddivisione dell’asse ereditario- con Berlusconi a dir poco irritato con la moglie, «la signora», che starebbe cer­cando di «mettermi contro i figli» - si sono prodotti effetti sul Pdl e sul gover­no, con ministri e dirigenti di partito pre­occupati per i contraccolpi d’immagine alla vigilia delle elezioni. Perché dopo il 25 aprile il Cavaliere è schizzato ben ol­tre il 73% nella fiducia degli italiani e il suo partito nei rilevamenti ha raggiunto «quota 45%».

Insomma, il rischio che la lite recasse danni c’era. Non a caso ieri mattina il Ca­valiere ha commissionato subito un son­daggio, dal quale - così ha spiegato in serata ai suoi - «sono uscito vincitore». Gli italiani sarebbero dalla sua parte, «stavolta non dovrò chiedere scusa», co­me accadde nel 2007 dopo la lettera in­viata dalla moglie a Repubblica. Tanto basta per capire quanto abbia inciso la faccenda privata nelle faccende pubbli­che. Ecco perché martedì - venuto a sa­pere in mattinata delle intenzioni della moglie - Berlusconi aveva invano tenta­to di evitare che la questione esplodesse. Ecco perché oggi avrebbe intenzione di volare a Milano. Ecco il motivo per cui sarebbe saltato il pranzo con Fini.

D’altronde non sarebbe stata una cola­zione serena, dato che Berlusconi aveva il dente avvelenato con il presidente del­la Camera, perché la sua fondazione, Fa­refuturo, con un articolo aveva sparato a zero sulle «veline in lista», prima che la moglie lo attaccasse. Quando poi la si­gnora Lario ha fatto riferimento proprio a quell’articolo, apriti cielo. È vero che Fi­ni aveva in parte rettificato il tiro di Fare­futuro, ed è vero che le liste del Pdl all’ul­timo momento sono state in parte sbian­chettate, «ma le candidature - racconta il coordinatore Verdini - erano concor­date, Gianfranco ne era a conoscenza. Più volte l’ho sentito in questi giorni». La Russa conferma la versione del colle­ga, «eravamo d’accordo su tutto, anche perché avevamo potere di veto sulle pro­poste ».

Il ministro della Difesa, chiamato spes­so a fare da pompiere tra il Cavaliere e Fini, ci prova anche stavolta: «A parte il fatto che Gianfranco ha preso subito le distanze dall’articolo di Farefuturo, Sil­vio non ce l’ha con lui. Diciamo che gli attribuisce una sorta di ’responsabilità oggettiva’, come accade alle squadre di calcio che devono rispondere del com­portamento dei tifosi sugli spalti».

Sarà, ma ciò non basta a placare l’ira del premier, pronto a sfidare tutto e tut­ti, facendo campagna elettorale «con le veline a fianco»: «Ho chiesto dei giovani perché non volevo che le liste fossero in­zeppate dai soliti noti, per di più d’età avanzata. Mentre il Pd candida Berlin­guer e Cofferati, alla faccia del rinnova­mento. Ed è spregevole quello che han­no detto sul conto di alcune ragazze. La stessa cosa l’avevano fatta con Mara Car­fagna. E poi...». E poi Franceschini ha ri­conosciuto che verso la ministra «gli uo­mini hanno mostrato tutto il loro razzi­smo inconsapevole, il loro maschili­smo ». Insomma, dirà pure «cose sbaglia­te » ma è «preparata».

Non erano tuttavia solo le «veline in lista» il motivo del dissidio tra Berlusco­ni e sua moglie, e se la «dynasty all’italia­na » è diventata un affare di Stato, è pro­prio il leader del Pd che l’ha spiegato nel­l’intervista alla Stampa, quando ha getta­to lì che «dopo Silvio ci sarà Pier Silvio». Non era una battuta, c’era dietro un ra­gionamento sul sistema presidenziale ca­ro al Cavaliere, e che riproduce il model­lo statunitense, dove da decenni le gran­di famiglie si contendono la Casa Bianca: dai Kennedy, ai Bush, ai Clinton.

Ecco perché ieri non si parlava d’altro in Parlamento, nonostante la crisi, l’Abruzzo. E soprattutto il sì del Cavalie­re al referendum. Una mossa dirompen­te. Perché è vero che il 21 giugno difficil­mente la consultazione otterrà il quo­rum, ma ci sono alcune variabili che ven­gono calcolate nel Pdl: insieme al 12% de­gli italiani che andrebbe a votare per i ballottaggi, c’è un 15% di cittadini legati al referendum. Se poi a sostenerlo ci fos­sero Berlusconi, Fini e Franceschini...

Di qui alle Europee il premier non di­rà altro sull’argomento, attenderà il risul­tato delle urne. E se davvero superasse il 45%, allora potrebbe anche decidere di dare un ulteriore segnale sul referen­dum. «E se passasse - come dice Cic­chitto - sarebbe con quella legge che si andrebbe a votare». Magari in anticipo.


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