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PLATONE: ILLUMINISTA O TOTALITARIO?! Al di là dell’illuminismo e del platonismo per il popolo

PLATONE E NOI, OGGI. Una nota di Federico La Sala, seguita da un’intervista a Mario Vegetti di Antonio Gnoli e la risposta di Dario Antiseri.

mercoledì 6 maggio 2009
[...] il discendente di Codro e di Solone afferra
l’anima dell’Agorà, le regole (le categorie) dello scambio
e del dialogo, della discussione delle opinioni e
dell’esame delle merci, le forme-valori dei pensieri (idee)
e delle merci (valori di scambio) e la loro Misura,
la Forma-Valore del Bene-Denaro (l’equivalente generale),
e li riporta in cielo, sull’Acropoli, nelle mani del
Dio degli dei e delle dee: la bilancia è nelle mani del retto
filosofo, re e papa, che sa indicare con senno (...)

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> PLATONE E NOI, OGGI. --- IL "FEDRO". L’imperativo di Patone è la rlicerca della verità Così confutava la retorica vuota dei sofisti (di Corrado Ocone)

venerdì 6 luglio 2012


-  L’imperativo di Patone è la rlicerca della verità
-  Così confutava la retorica vuota dei sofisti

-   di Corrado Ocone (Corriere della Sera, 05.07.2012)

Quello fra Socrate e il giovane Fedro è uno dei più importanti dialoghi platonici, uno dei principali «luoghi» del pensiero occidentale. La questione ontologica (la natura dell’anima umana) è trattata insieme a quella logica (il corretto procedimento del pensiero) e a quella metodologica (valore e limite della scrittura rispetto all’oralità). È nel Fedro, in particolare, che, nel riprendere e sviluppare il discorso sull’anima iniziato nella Repubblica, Platone fa l’esempio famoso della biga alata, che vaga nei cieli e a volte si approssima al regno degli dei e delle idee (l’iperuranio) e altre volte se ne allontana. La biga è composta da un cavallo bianco, che rappresenta la parte irascibile o emotiva dell’anima, facilmente assoggettabile, e un cavallo nero, simbolo della parte concupiscibile o istintuale, indomito e sfrenato. È sul cavallo bianco che deve soprattutto lavorare l’auriga, simbolo della ragione che conduce la biga.

In effetti, mentre l’emotività serve a sostenere la ragione, a darle il tono e l’energia passionale che possono sorreggerla, l’istinto, lasciato libero a se stesso, rende gli uomini simili alle bestie. È proprio per aver voluto sopprimere l’istinto, per aver sottovalutato le «ragioni del corpo» allontanando dagli uomini gli elementi di «telluricità» che pur li costituiscono, che l’Occidente, secondo Nietzsche, il più strenuo avversario di Socrate/Platone, ha costruito se stesso come «malattia». Anche se per lui la soluzione non è affatto nella creazione di una nuova gerarchia, cioè nel lasciare andare a briglie sciolte il cavallo nero, bensì in un rapporto più dialettico fra le parti di luce e di tenebra che ci costituiscono. Una luce assoluta finisce per accecare, e quindi ci rende ciechi come se stessimo al buio. Che la praticabile soluzione sia proprio in un nuovo rapporto fra cosmos e caos, dove l’uno elemento non pretende di sopprimere l’altro, e non in una prospettiva di nichilismo assoluto, viene in evidenza anche riflettendo sulla logica platonica.

Nel Fedro Socrate introduce l’importante distinzione fra dialettica e retorica. Quest’ultima era appannaggio dei sofisti e degli oratori che pullulavano ad Atene nel periodo in cui fu scritto il dialogo (370-360 a.C.), primo fra tutti quel Lisia di cui il protagonista del dialogo riassume a Socrate le idee espresse in un entusiasmante discorso. Socrate dimostra al suo giovane allievo che una cosa è la ricerca della persuasione, un’altra quella della verità: compiacere e soggiogare gli animi, avere l’adesione della maggioranza delle persone, non è garanzia di un corretto procedimento nel ragionamento. Anche se per Platone, al contrario di Hegel, la dialettica è un metodo del pensiero e non della realtà, anche per lui essa procede per successive unificazioni e separazioni, per tesi che si confrontano con le antitesi, con un’attenzione costante alla complessità del reale. Essa aborre le semplificazioni ammantate di parole efficaci dei demagoghi, i quali, forti ieri come oggi, sono nichilisti assoluti. Non che si debba fare a meno delle arti retoriche, ma esse devono essere subordinate alla dialettica: devono essere nulla più che uno strumento utile per la trasmissione del vero.

In questo caso la risposta platonica, riformulata alla luce delle acquisizioni più recenti della filosofia, ha un’indubbia potenza. Circola infatti nella nostra cultura, anche e soprattutto in quella liberale, un malinteso elogio del relativismo. Tuttavia, se viene meno il criterio che ci fa distinguere il vero dal falso (così come il bene dal male o il bello dal brutto), checché se ne argomenti, la conclusione non può che essere il nulla. Da questa situazione si esce riaffermando che la verità esiste, sebbene non ferma e stabile nel mondo dell’iperuranio, come voleva Platone, bensì come attinente alle specifiche situazioni storiche. Al platonismo, detto altrimenti, fa difetto la storicità.

Molto interesse ha poi suscitato nel nostro secolo anche la critica platonica della scrittura, Essa, così come è posta nel Fedro, va vista soprattutto in funzione dell’affermazione di un rapporto interiore e non estrinseco con la verità. Se non sappiamo in che mani mai capiterà e da chi sarà letto uno scritto, il dialogo presuppone al contrario un rapporto paritetico con l’interlocutore, insieme al quale, con procedere dia-logico o dialettico, si è impegnati nella ricerca del vero. Il dialogo permette, come dice Platone in modo molto efficace, che i discorsi fatti siano «scritti nell’anima».


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