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"VINCERE". Il film di Marco Bellocchio sarà presentato a Cannes. Racconta un duce inedito. Di una donna perseguitata e del figlio Benito Albino

MUSSOLINI, IDA DALSER, E BENITO ALBINO MUSSOLINI: UNA TRAGEDIA ITALIANA. Sul film di Marco Bellocchio, una nota di Michele Anselmi, un’intervista al regista di Aldo Cazzullo, e una nota di Malcom Pagani - a cura di pfls

Ida fu sua moglie, sempre. «Accusò il fratello Arnaldo». Lo stesso che sulla Gazzetta Ufficiale mutò l’identità di Albino «Gli fece assumere un altro cognome. Cambiò la vita di una persona e quella di una nazione».
giovedì 7 maggio 2009 di Federico La Sala
[...] Racconta Bellocchio che il finale è cambiato rispetto al progetto. «Pensa­vo di chiudere il film con una scena am­bientata dopo la Liberazione: il cogna­to di Ida Riccardo Paicher, l’uomo che non aveva saputo difenderla, esce da un cinema richiamato dalle sirene del­la polizia, assiste agli scontri di un cor­teo politico con le bandiere rosse e tut­to, e soccorre una ragazza ferita. Poi mi sono detto che il film non meritava un finale consolatorio. È una tragedia, e così deve finire» (...)

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> A SCUOLA DA BRECHT - “MADDALENA SANTORO E ARNALDO MUSSOLINI” -- La stampa statunitense e l’arrivo del fascismo e del nazismo in Europa.

sabato 4 febbraio 2017

Normalità

di Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale *

John Broich è uno storico statunitense che insegna alla Case Western Reserve university, in Ohio. Studiando materiale d’archivio e diversi saggi usciti negli ultimi anni, ha cercato di ricostruire in che modo la stampa statunitense raccontò l’arrivo del fascismo e del nazismo in Europa. Tra il 1925 e il 1932 sui giornali americani uscirono almeno 150 articoli che parlavano di Benito Mussolini. In quegli anni il regime era già chiaramente violento e autoritario, ma il tono degli articoli è neutro se non addirittura positivo. Nel 1928 il Saturday Evening Post pubblicò a puntate tutta l’autobiografia di Mussolini.

I giornali spiegarono che i fascisti avevano salvato l’Italia dagli estremisti di sinistra e avevano rilanciato l’economia. Il New York Times scrisse che il fascismo avrebbe fatto tornare l’Italia, tradizionalmente turbolenta, alla “normalità”. Il modo in cui la stampa descrisse Mussolini ebbe un’influenza su come poi raccontò l’arrivo al potere di Adolf Hitler, definito nei giornali americani il “Mussolini tedesco”. Il leader nazista venne dipinto come una macchietta, che urlava in modo ridicolo frasi senza senso. “Ricorda Charlie Chaplin”, scrisse Newsweek. “Sembra una barzelletta”, è “volubile” e “insicuro”, scrisse Cosmopolitan.

Quando diventò cancelliere, nel 1933, molti commentatori sostennero che non sarebbe durato a lungo o che, una volta al potere, avrebbe assunto toni più moderati. “Hitler ha il sostegno di elettori impressionabili”, scrisse il Washington Post. Ora che è al governo “diventerà evidente all’opinione pubblica tedesca la sua inconsistenza”.

Tranne poche eccezioni, alla fine degli anni trenta quasi tutti i giornalisti statunitensi si erano resi conto del loro errore di valutazione. Dorothy Thompson, che nel 1928 aveva definito Hitler un uomo di “sorprendente insignificanza”, nel 1935 ammise che “nessun popolo riconosce un dittatore in anticipo”, perché “non si presenta alle elezioni con un programma dittatoriale” e “si definisce uno strumento della volontà nazionale”. E aggiunse: “Quando un dittatore arriverà da noi, di sicuro sarà uno dei nostri, e starà dalla parte di tutto quello che è tradizionalmente americano”.

* Internazionale, 02.02.2017


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