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"VINCERE". Il film di Marco Bellocchio sarà presentato a Cannes. Racconta un duce inedito. Di una donna perseguitata e del figlio Benito Albino

MUSSOLINI, IDA DALSER, E BENITO ALBINO MUSSOLINI: UNA TRAGEDIA ITALIANA. Sul film di Marco Bellocchio, una nota di Michele Anselmi, un’intervista al regista di Aldo Cazzullo, e una nota di Malcom Pagani - a cura di pfls

Ida fu sua moglie, sempre. «Accusò il fratello Arnaldo». Lo stesso che sulla Gazzetta Ufficiale mutò l’identità di Albino «Gli fece assumere un altro cognome. Cambiò la vita di una persona e quella di una nazione».
giovedì 7 maggio 2009 di Federico La Sala
[...] Racconta Bellocchio che il finale è cambiato rispetto al progetto. «Pensa­vo di chiudere il film con una scena am­bientata dopo la Liberazione: il cogna­to di Ida Riccardo Paicher, l’uomo che non aveva saputo difenderla, esce da un cinema richiamato dalle sirene del­la polizia, assiste agli scontri di un cor­teo politico con le bandiere rosse e tut­to, e soccorre una ragazza ferita. Poi mi sono detto che il film non meritava un finale consolatorio. È una tragedia, e così deve finire» (...)

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> MUSSOLINI, IDA DALSER, E BENITO ALBINO MUSSOLINI: UNA TRAGEDIA ITALIANA. --- Più politica che passione Bellocchio convince a metà la stampa ... Stasera controprova con il pubblico (di Paolo Mereghetti).

martedì 19 maggio 2009

Più politica che passione Bellocchio convince a metà Applausi (di cortesia) a «Vincere» sull’amore segreto del Duce

Aspettative in parte deluse alla prima per la stampa del film, forse troppo complesso, dell’unico italiano in gara. Stasera controprova con il pubblico: un bookmaker ieri lo dava per favorito

di Paolo Mereghetti (Corriere della Sera, 19.05.2009)

CANNES - Un applauso con­tenuto, più di cortesia che vera­mente convinto, ha chiuso la prima proiezione di Vincere a Cannes. Vedremo domani, da­vanti al pubblico della Sala Grande se le anticipazioni del bookmaker inglese che dava ie­ri il film di Bellocchio come fa­vorito numero uno per la Pal­ma saranno confermate.

Quello che è certo è che un film così denso e complesso, anche stilisticamente, avrebbe bisogno di più di una visione e più di una riflessione per porta­re a un giudizio calibrato e per­tinente.

Nell’impossibilità (una programmazione poco raziona­le quest’anno ci costringe a scri­vere subito dopo la visione) cer­cheremo di procedere per gra­di. Cominciando dalla storia che racconta l’odissea di Ida Dalser, la donna trentina che in­contrò Benito Mussolini quan­do era socialista e direttore del­l’Avanti a Milano, se ne inna­morò (verrebbe da dire molto contraccambiata), gli offrì tutti i suoi soldi per iniziare l’avven­tura del Popolo d’Italia dopo la «conversione» interventista, ri­mase incinta del piccolo Benito Albino (che il padre riconobbe legalmente, nonostante avesse già la figlia Edda da Rachele Guidi) e fu ben presto abbando­nata al proprio destino da un leader politico che stava diven­tando il padrone d’Italia.

Se nella prima ora (il film ne dura poco più di due) la straor­dinaria prova degli attori princi­pali - Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno - sa trasmettere al pubblico il misto di passione e narcisismo che guida il futu­ro Duce anche nei comporta­menti privati e lo struggimento incosciente di una donna che si concede totalmente a quello che crede un grande amore, nella seconda parte il film cam­bia registro affidando solo ai ci­negiornali il resoconto della carriera politica di Mussolini e documentando con rigore, ma anche con freddezza, l’odissea della donna rinchiusa dal fasci­smo nei manicomi di Pergine e San Clemente.

I grandi temi della carriera di Bellocchio si possono ritrova­re in larga parte dentro Vince­re, dal peso della figura pater­na, autoritaria e lontana, allo sbandamento rabbioso di un fi­glio che si vede privato prima di uno e poi dell’altro genitore fino alla ribellione impotente della donna che paga l’aver da­to ascolto alle proprie passioni rifiutando ogni «finzione» ra­zionale (come le suggerisce uno psichiatra). Anche stilisti­camente, il gusto visivo per i chiaroscuri (come sempre con predominio degli scuri sui chia­ri) attraversa tutto il film, gra­zie soprattutto alla bellissima fotografia di Daniele Ciprì. Men­tre negli ambienti si ritrovano i «labirinti domestici» dove l’orientamento (e la via di fuga) è sempre problematica.

Ma tutti questi elementi fati­cano a trovare una sintesi che arrivi immediatamente al cuo­re dello spettatore, come succe­deva per esempio nell’Ora di re­ligione o in Buongiorno, notte e la presenza della co-sceneg­giatrice Daniela Ceselli fa veni­re in mente di più la struttura della Balia, con il suo amore impossibile. Anche se qui le «gabbie» che dividono le perso­ne sono più politiche che di classe. Anzi, proprio la parte po­litica alla fine finisce per schiac­ciare il nostro interesse per la storia della Dalser e di suo fi­glio (morti in manicomi diver­si, lei a Pergine, lui a Mombel­­lo), grazie al montaggio di Fran­cesca Calvelli che fonde perfet­tamente immagini di reperto­rio e musica, questa sì l’unico elemento davvero melodram­matico in un film che, dopo questa prima visione, ci sem­bra prediliga la Storia alla Pas­sione.


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