Caparezza: “Così porto il museo nei palasport”
Il rapper/cantautore anticipa il tour che parte a fine mese: “L’arte mi ispira: a scuola mi usano per spiegare Van Gogh”
Caparezza (vero nome: Michele Salvemini) ha 42 anni e vive a Molfetta
di Marinella Venegoni (La Stampa, 08/02/2015)
Molfetta (Bari)
Torna da fine febbraio nei palasport un tipo del quale in futuro (e già nel presente) si occuperanno non solo le cronache musicali. Caparezza è un visionario dall’ispirazione complessa, uno che riesce sempre a sorprenderti. Il rap è uno specchietto per le allodole nel suo stile che sfugge a una definizione precisa: c’è in lui un’originale capacità spettacolare, un’ambizione di teatro/canzone diventata più chiara dopo l’ultimo lavoro, Museica. Nell’album, uscito quasi un anno fa, visita un museo immaginario, passa in rassegna quadri o imprese artistiche liberando l’immaginazione. Un lavoro non facile, che a sorpresa è stato al vertice della Top 10 e gli ha guadagnato attenzioni consolanti nell’era della musica popolare spiaggiata sui talent show.
Michele Salvemini (suo vero nome), 42 anni, mi accoglie nella natia Molfetta, nel suo nuovissimo studio, gelido di temperatura ma bollente di pensieri, collezioni, ricordi, la Targa Tenco 2014 per Museica miglior album, caricature con la vasta chioma in bella vista.
Caparezza come nasce?
«Tutti a Molfetta hanno un soprannome, il mio è per via dei capelli, fin da piccolo. Ero alto, introverso, la timidezza mi ha indotto a cantare. Ho attraversato vari nomi e identità fino al periodo di MikiMix, che è coinciso con andare a studiare a Milano. A 19 anni ho partecipato a Castrocaro, vinse Massimo Di Cataldo».
MikiMix finì pure a Sanremo, nel ‘97. E chiuse con il nome.
«Ho preso coraggio: “Basta, non sono io”. Avevo 25 anni. Ho mollato tutto, sono andato a lavorare nelle Murge, facevo l’animatore: un ragazzo punk al quale facevo sentire le mie cose mi convinse a riprovarci. Ho ricominciato a scrivere e a cantare ovunque, dalle pizzerie in là».
«Museica» è di una complessità inusuale.
«Potevo perdere clienti, come accade ai negozi. Mi succede che mentre scrivo io stesso imparo, approfondisco. È venuto fuori che alcuni docenti hanno utilizzato le canzoni per parlare di storia dell’arte, di Van Gogh... E adesso mi dico già: dove andrò? Ci sto pensando, non mi fa paura il buio. Debbo desiderare l’atto dello scrivere».
E questo tour che arriva?
«L’ho chiamato “The Exhibition” un po’ perché significa mostra, un po’ perché è un’esibizione. Ho bisogno di cambiare travestimenti e tutto, la scenografia ora è un museo. Porterò brani diversi di Museica ma non disprezzo i cavalli di battaglia. Non andando in tv e non facendo pubblicità, debbo lavorare un sacco sul palco: la gente se ne deve andare soddisfatta».
Si sente amato in Puglia?
«La banda di Molfetta mi ha appena dato un premio, è fra i più cari. In Fuori dal Tunnel c’era la mia parte bandistica, mi hanno influenzato. Viaggio ma vivo qui: ho parlato con molti italiani all’estero, la maggior parte si sente abbandonata».
Lei scava nelle parole, mentre i testi di molto pop italiano sono di una banalità sconcertante.
«Succede anche nel linguaggio corrente. Frank Zappa alzava il bicchiere e diceva “Abbondanza!”. Gli piaceva il suono delle parole, e anche a me. Resto rapito quando ascolto i cantautori, perché c’è un immaginario».
E il rap?
«È la cosa più simile alla gioventù oggi. Grazie a questi ragazzi ci sono tante persone che maturano una passione per l’italiano, ognuno a modo suo».
Lei esclude di cantare in senso proprio, prima o poi?
«Non lo escludo. Non sarò il massimo, ma adoro Jannacci che ha sopperito con i vocalizzi alla mancanza di vocalità».
Museica Tour II, le date: 28 febbraio Taranto, 6 marzo Firenze, 7 Perugia, 14 Rimini, 20 Napoli, 28 Torino, 31 Assago, 2 aprile Roma, 4 Bari