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RADICI EU-ROPEE. AMORE EU-ANGELICO (" CHARITAS"), IN FRANCESE E’ "CHARITÉ", MA IN VATICANO SCRIVONO "DEUS CARITAS EST" E "DIEU EST AMOUR". CHE CONFUSIONE!!! E CHE "LATINORUM"!!!

CHARITÉ : BERLINO RICORDA A PAPA RATZINGER IL NOME ESATTO DELL’ OSPEDALE E DELLA FACOLTÀ DI MEDICINA. Una nota a margine di un evento - di Federico La Sala

giovedì 4 giugno 2009
STORIA E MEMORIA DELLA LIBERTÀ E DELLA LIBERAZIONE
ROSA LUXEMBURG (1870/71), ASSASSINATA A BERLINO NEL 1919, RITROVATA. IL SUO CORPO NELL’OBITORIO DELL’OSPEDALE "CHARITÉ" DELLA CITTÀ.
«Ora è sparita anche la Rosa rossa.
Dov’è sepolta non si sa.
Siccome disse ai poveri la verità
I ricchi l’hanno spedita nell’aldilà"»
(Bertolt Brecht, Epitaffio, 1919)
SCUOLE CATTOLICHE: A BERLINO (E NON SOLO), UN ORRORE SENZA FINE.
MESSAGGIO CRISTIANO E TRADIMENTO STRUTTURALE. La chiesa non ha più il (...)

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> CHARITÈ: BERLINO - IL NOME ESATTO DELL’ OSPEDALE E DELLA FACOLTA’ DI MEDICINA. -- MARTIN LUTERO. Rivoluzionario per caso (di Massimo Firpo)

martedì 10 gennaio 2017


31 ottobre 1517

Rivoluzionario per caso

di Massimo Firpo (Il Sole-24 Ore, Domenica 08 Gennaio 2017)

      • Heinz Schilling, Martin Lutero. Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali, Claudiana, Torino, (prima ed. tedesca 2012), pagg. 608, € 39,50
      • Lucia Felici, La Riforma protestante nell’Europa del Cinquecento, Carocci, Roma, pagg. 326, € 29

Quando affisse le sue 95 tesi sulla porta della Schlosskirche di Wittenberg il 31 ottobre 1517, vigilia di Ognissanti, Martin Lutero non aveva nessuna intenzione di provocare lo sconquasso che ne sarebbe seguito. Era un pio monaco agostiniano, educato a una fede e immerso in una teologia ancora tutte medievali. Era entrato in monastero per onorare un voto pronunciato in un momento di paura e smarrimento, e aveva studiato sui testi della tarda scolastica la dottrina che insegnava dalla sua cattedra universitaria.

Lontanissime da lui erano le raffinatezze letterarie e filologiche della grande cultura umanistica che dall’Italia irradiava in tutta Europa e trovava in Erasmo il suo più illustre maestro. Sempre più però quella fede e quella teologia gli erano apparse inadeguate a rispondere alle sue inquietudini religiose, alla devastante convinzione che mai e poi mai, per quanto si impegnasse nella più severa disciplina ascetica e penitenziale, egli avrebbe potuto essere degno della giustizia di Dio e quindi conseguire l’eterna salvezza.

Per anni Lutero si tormentò su questo nodo cruciale, finché trovò la risposta nelle lettere di san Paolo che leggeva nei suoi corsi: «Iustus ex fide vivit» (Rom. I, 17; Gal. III, 11), «il giusto vivrà per la fede». Nulla che l’uomo possa fare è in grado di renderlo giusto agli occhi di Dio, ma nella sua infinita misericordia Dio dona («imputa») la sua giustizia agli uomini, purché essi credano nel valore salvifico del sacrificio di Cristo sulla croce. Nessuna opera buona, nessuna penitenza può diventare un merito agli occhi di Dio, e anzi illudersi di conquistare il regno dei cieli con le proprie forze è una sicura strada di perdizione. Non sono le opere buone a rendere giusto l’uomo, ma è l’uomo reso giusto dalla fede a compiere opere buone.

Si comprende quindi l’indignazione di Lutero per la brutale rozzezza con cui il domenicano Johann Tetzel predicava le indulgenze, di fatto mettendo in vendita pezzi di carta che - grazie all’inesauribile patrimonio dei meriti di Cristo custodito dalla Chiesa - avrebbero consentito ai fedeli di conquistarsi il perdono di Dio o di liberare i propri cari dalle pene del purgatorio. Uno sconcio mercimonio simoniaco, insomma, a sua volta frutto di una complicata operazione finanziaria tra la curia romana e l’arcivescovo di Magonza, Alberto di Hohenzollern, i cui frutti erano destinati a rimpinguare l’insaziabile scarsella di papa Leone X e a finanziare la costruzione della basilica di San Pietro.

Fu la sua esperienza di pastore e confessore a fargli capire il pericolo in cui tante anime ignare venivano gettate da quelle spregiudicate menzogne. «Su tutto questo io non potevo tacere più oltre», ebbe il coraggio di scrivere allo stesso arcivescovo, ammonendolo severamente per quanto avveniva nella sua diocesi: «Di ciò dovrai rendere duramente conto e il conto sale ogni giorno».

Per questo decise di affiggere le tesi, che tuttavia non intendevano incendiare il mondo, ma solo sfidare i teologi alla discussione accademica e mettere un argine dottrinale agli eccessi del Tetzel, anche se vi si potevano leggere affermazioni dirompenti. Per esempio che «qualunque vero cristiano, sia vivo che morto, ha la parte datagli da Dio a tutti i beni di Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenza» (37); che «chi vede un bisognoso, e trascurandolo dà per le indulgenze, si merita non l’indulgenza del papa ma l’indignazione di Dio» (45); che «se il papa conoscesse le esazioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro andasse in cenere piuttosto che essere edificata sulla pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle» (50); che «chi si oppone alla cupidigia e alla licenza del parlare del predicatore di indulgenze, sia benedetto» (72).

Lo stesso monaco sassone fu ben lungi dal percepire subito tutte le conseguenze della giustificazione per fede. Se solo quest’ultima, infatti, è in grado di salvare gli uomini ed essi non sono in grado di fare alcunché per ottenerla, ne consegue che solo Dio donando la fede decide, o per meglio dire ha deciso ab aeterno, chi si salva e chi no: con tutti gli inesorabili labirinti e le antinomie in cui sfocia la dottrina della predestinazione.

E se solo la fede è in grado di salvare gli uomini, si esaurisce ogni funzione della Chiesa visibile come mediatrice carismatica tra il popolo cristiano e Dio. Non più istituzione gerarchica, la Chiesa diventa solo la comunità dei credenti, senza più un clero distinto dal laicato in virtù dell’unzione sacerdotale, e quindi non più vincolato all’obbligo del celibato, e la sua tradizione magisteriale perde ogni legittimazione, perché la dottrina cristiana è affidata esclusivamente alla parola di Dio.

Sola fides e sola Scriptura diventeranno così i due fondamenti della Chiesa luterana. Ne conseguiranno l’abolizione della messa, la riduzione dei sacramenti a battesimo ed eucarestia, il rifiuto dei voti monastici, del purgatorio, del culto dei santi, della venerazione delle immagini, dei digiuni.

Insinuandosi tra i molteplici conflitti interni di una Germania immensa e frammentata, dove debolissima era l’autorità imperiale, la parola infiammata di Lutero non tardò a diffondersi con la straordinaria rapidità garantita dalla nuova arte della stampa. I conventi e i monasteri cominciarono a svuotarsi, mentre diffuse tensioni profetiche e millenariste sarebbero poi sfociata nella sanguinosa guerra dei contadini del 1524-25.

Lo stesso Lutero intorno al 1519 si convinse che la fine dei tempi era ormai imminente e che pertanto il papa romano, invenzione di Satana, era né più né meno che l’Anticristo che la annunciava. In breve tempo gli spazi di accordo e di mediazione si esaurirono. I grandi trattati di Lutero apparsi nel ’20, veri e propri testi fondativi della Riforma, La libertà del cristiano, La cattività babilonese della Chiesa di Roma e Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca accompagnarono la coeva scomunica proclamata da Leone X con la bolla Exsurge Domine, che il riformatore sassone diede alle fiamme insieme con il codice di diritto canonico sulla piazza di Wittenberg.

Convocato alla dieta di Worms, al cospetto del giovane Carlo V d’Asburgo, re di Spagna, principe di Borgogna e sacro romano imperatore, Lutero si rifiutò di ritrattare una sola parola dei suoi scritti se non gli fosse stato dimostrato Bibbia alla mano dove e perché sbagliava. Messo al bando dall’Impero, si rifugiò in una castello dell’elettore di Sassonia, dove tradusse la Bibbia in tedesco, offrendo così a tutta la Germania la lingua comune in cui veniva predicata la parola di Dio.

È bene tener presente che abolire il clero e la Chiesa papale significava cancellare il pilastro più solido e antico dell’ordine politico e sociale, un formidabile potere materiale e morale, fondato sulla sacralità della religione, dei suoi riti, delle sue parole, delle sue gerarchie, su enormi risorse fondiarie e finanziarie, su un prestigio radicato in un millennio e mezzo di cristianesimo, diventato modo di essere e sentire, di capire e giudicare, di temere e sperare.

Non stupisce dunque che le città e i principi tedeschi fossero rapidamente coinvolti nelle vicende della Riforma, impadronendosi di quel messaggio religioso e di quelle ricchezze per liberarsi per sempre dal potere imperiale.

È bene ricordare che il lungo e faticoso processo storico che nell’Ottocento avrebbe dato vita a uno Stato unitario tedesco non si sviluppò intorno agli Asburgo, eredi di Carlo Magno e di Carlo V, ma intorno a uno dei principali beneficiari della secolarizzazione dei beni ecclesiastici, quel margravio del Brandeburgo di casa Hohenzollern, che con il tempo sarebbe diventato duca e poi re di Prussia e infine Kaiser del Reich.

Del resto, fu solo dove principi e sovrani aderirono alla Riforma che essa ebbe duraturo successo, come in Danimarca, in Svezia, in Inghilterra, mentre ciò non avvenne in Francia e in Spagna, dove un forte potere sovrano era già riuscito ad assumere il controllo della Chiesa e delle sue risorse economiche.

Tra le molte battaglie che Lutero dovette affrontare, particolarmente insidiosa fu quella con Erasmo che, dopo aver taciuto per anni lasciando che Eleutherium audacem combattesse la sua battaglia contro una curia romana corrotta e una fede oggettualizzata e superstiziosa, lo attaccò in difesa del libero arbitrio, fondamento della responsabilità morale di ogni uomo, costringendolo a difendere la tesi contraria e con essa la predestinazione, a contrapporre a un cristianesimo etico tutto fondato sull’ispirazione di fratellanza e carità del vangelo, il suo cristianesimo teologico tutto fondato sulla lettera della parola di Dio.

Negli anni seguenti egli potrà infine vedere il successo in tutta l’Europa del Nord delle nuove Chiese scaturite dal suo magistero, tutte sottoposte al potere dei principi e fondate sul testo della confessione presentata nel ‘30 alla dieta di Augusta (la confessio Augustana, appunto) che per secoli avrebbe costituito il fondamento della dottrina luterana.

Sarebbe morto il 18 febbraio 1546, a 63 anni, circondato dall’affetto della moglie, Katharina von Bora, sposata nel ’25, dei numerosi figli avuti da lei, da nugoli di discepoli adoranti, compiaciuto di quanto aveva fatto, ma attribuendone il merito solo al volere di Dio: «Io mi sono schierato contro tutti i papisti; mi sono costituito oppositore implacabile del papa e delle indulgenze. Ma io non ho fatto appello alla forza, alla persecuzione, alla ribellione. Io non ho fatto altro che diffondere, predicare, inculcare la parola di Dio: altro non ho fatto. Di modo che quando io dormivo e quando bevevo la birra a Wittenberg [...] la parola di Dio ha operato di cotali cose che il papato è caduto, come nessun principe e nessun imperatore avrebbero potuto farlo cadere. Nulla io feci: la parola di Dio ha determinato il successo della mia predicazione». Tutto in lui era fede, o meglio la sua fede, anche la dirompente violenza con cui seppe proporla, lasciando una traccia indelebile sull’intera storia europea.

Con la nascita della Chiesa luterana si esauriva definitivamente la respublica christiana, sempre più frammentata dai processi di confessionalizzazione che a fianco e dopo Lutero videro affacciarsi sulla storia europea altri e ancor più radicali riformatori, Zwingli, Calvino, le Chiese svizzere e olandesi, gli anabattisti e gli antitrinitari poi diventati sociniani, i puritani, i quaccheri, l’irriducibile mondo settario e radicale che durante la rivoluzione inglese avrebbe indotto qualcuno a denunciare la Gangraena delle mille eresie che avevano invaso la Chiesa anglicana.

Nato da una ribellione, insomma, il mondo protestante non avrebbe potuto impedire nuove ribellioni al suo interno e sarebbe diventato, anche a dispetto dei suoi padri fondatori, un mondo plurale in cui convinzioni e pratiche religiose sono libere e in cui gli uomini hanno via via imparato a convivere anche se hanno opinioni diverse su Dio e i suoi precetti e lo onorano in modo differente, o magari non credono in alcun Dio.

Quella che nel 1688 Jacques Benigne Bossuet denunciava come l’eterna condanna del mondo riformato a dividersi e frantumarsi, una volta venuto meno il fondamento ultimo dell’autorità papale, in una perenne Histoire de variations des Églises protestantes, sarebbe diventata col tempo una ricchezza e una risorsa. Eterogenesi dei fini, come sempre nella storia.

Oggi i teologi cattolici e luterani si armano di nuove utopie ecumeniche per sottoscrivere formule di concordia sulle questioni religiose che mezzo millennio fa divisero l’Europa lungo aspri confini religiosi e politici segnati da guerre, stragi, persecuzioni e violenze d’ogni sorta. Vivaddio, meglio la pace della guerra, la tolleranza che l’intolleranza, ma è bene non dimenticare quelle persecuzioni e violenze, anche per non trattare la storia (e la teologia) come un’ondivaga bandierina che ogni volta si ridipinge per adattarla alle esigenze del presente.


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