L’analisi.
Nel ’94 l’annuncio, ma il progetto partì nel ’92. Il premier lamenta
di essere accusato di "cose mai viste" a proposito delle stragi di mafia del 1993
La nascita di Forza Italia
e le bugie del Cavaliere
Ma ci sono anche documenti notarili che retrodatano la creazione del partito
di GIUSEPPE D’AVANZO *
FORZA ITALIA nasce nel 1993, da un’idea covata fin dal 1992. Non c’è dubbio che già nell’aprile del 1993 - quindi alla vigilia della prima ondata delle stragi di mafia di via Fauro, Roma (14 maggio), via dei Georgofili, Firenze (27 maggio) - è matura la volontà di Berlusconi di "mettersi alla testa di un nuovo partito".
In luglio - in parallelo con la seconda ondata di bombe, via Palestro, Milano, 27 luglio; S. Giorgio al Velabro, S. Giovanni in Laterano, Roma, 28 luglio - si mette a punto il progetto politico che diventa visibile in settembre e concretissimo in autunno. E’ una cronologia pubblica, quasi familiare, documentata da testimoni al di sopra di ogni sospetto. Dagli stessi protagonisti. Addirittura da atti notarili. Se è necessario ricordarla, dopo sedici anni, è per le sorprendenti parole di Silvio Berlusconi. Dice il presidente del Consiglio a Olbia: "Mi accusano di cose mai viste. Dicono che io sia il mandante delle stragi di mafia del ’92 e ’93; che avrei orchestrato insieme a Dell’Utri per destabilizzare il Paese. E’ una bufala visto che Forza Italia non era ancora nata e nacque solo un anno dopo quando diversi sondaggi mi avevano detto che c’era un spazio politico per evitare che finissimo in mano ai comunisti" (il Giornale, 29 novembre).
"La pianificazione dell’operazione politica di Berlusconi cominciò nel giugno 1993, subito dopo la vittoria dei partiti di sinistra alle elezioni amministrative, e già a fine luglio se ne cominciarono a scorgere le prime, anche deboli, avvisaglie pubbliche", scrive Emanuele Poli (Forza Italia, strutture, leadership e radicamento territoriale, il Mulino).
Il 28 luglio, intervistato da Repubblica, Berlusconi invoca "la necessità di una nuova classe dirigente" e rivela che, in quelle settimane, "sta incontrando in varie città d’Italia chiunque condividesse i "valori liberaldemocratici" e credesse nella libera impresa". Nello stesso giorno, intervistato dal Corriere della Sera, Giuliano Urbani, docente di Scienza della politica alla Bocconi, svela i suoi incontri con intellettuali, opinionisti, imprenditori di Confindustria che condividono le preoccupazioni "per una replica su scala nazionale della vittoria delle sinistre alle amministrative". In segreto, Berlusconi e Urbani già lavorano insieme.
Il loro progetto politico diventa pubblico il 29 giugno, quando molti uomini vicini a Berlusconi (Marcello Dell’Utri, Cesare Previti, Antonio Martino, Mario Valducci) costituiscono l’"Associazione per il buon governo" presso lo studio del notaio Roveda a Milano. Le nove sezioni tematiche dell’Associazione raccolte in un libretto ("Alla Ricerca del Buongoverno") diventano il "riferimento ideologico" dei nascenti club di Forza Italia. Il 6 settembre, Berlusconi ne inaugura il primo. Il 25 novembre viene fondata a Milano da Angelo Codignoni, ex direttore di La Cinq, il network francese di Fininvest, l’"Associazione nazionale del Club di Forza Italia".
Questa è la storia ufficiale, verificata dai politologi. Se ne può mettere insieme un’altra con le testimonianze dirette, che sono mille e una. Ne scegliamo qui soltanto tre. La prima è di Indro Montanelli (L’Italia di Berlusconi, Rizzoli). "Il 22 giugno del 1993, Urbani espone le sue tesi a Gianni Agnelli, che ascoltò con attenzione limitandosi a dire: "Ne ha parlato con Berlusconi?". Il 30 del mese Urbani si trattenne alcune ore a villa San Martino ad Arcore. Le idee che espose erano idee che il Cavaliere già rimuginava. Sta di fatto che, a distanza di un paio di giorni, Berlusconi convocò Gianni Pilo, direttore del marketing in casa Fininvest. Pilo doveva accertare quali fossero i "sogni" degli italiani: il che fu fatto tramite due istituti specializzati in sondaggi d’opinione. Qualche settimana più tardi Pilo ebbe un istituto demoscopico tutto suo mentre Marcello Dell’Utri gettava le fondamenta d’una struttura organizzativa su scala nazionale". Quindi, i primi sondaggi sono del ’93 e non del ’94.
Il secondo testimone diretto è Enrico Mentana, che retrodata al 30 marzo "il primo indizio chiaro della volontà di Berlusconi" di creare un partito. Quel giorno, consueta riunione mensile ad Arcore dei responsabili della comunicazione del gruppo. Ci sono Berlusconi, il fratello Paolo, Letta, Confalonieri, Dell’Utri e Del Debbio di Publitalia, l’amministratore delegato Tatò, i direttori dei periodici, Monti (Panorama), Briglia e Donelli (Epoca), la Bernasconi e la Vanni dei femminili, Orlando il condirettore de il Giornale, Vesigna (Sorrisi e Canzoni). E poi i televisivi, Costanzo, Ferrara, Fede, Gori, Mentana, direttore del Tg5. Che cita (Passionaccia, Rizzoli) il verbale della riunione: "Ad avviso di Silvio Berlusconi, l’attuale situazione è favorevole come non mai per chi provenendo da successi imprenditoriali voglia dedicare i propri talenti al governo della cosa pubblica. Non nasconde che gli viene una gran voglia di mettersi alla testa di un nuovo partito". Cinque giorni dopo, la decisione è presa. Lo racconta il terzo testimone, Enzo Cartotto, ghost writer di Giovanni Marcora e Piero Bassetti, prima di diventare consigliere politico di Berlusconi e Dell’Utri.
I ricordi di Cartotto si possono ricavare dall’interrogatorio reso alla Procura di Palermo il 20 giugno 1997 e da un suo libro Operazione Botticelli.
"Nel maggio-giugno 1992 sono contattato da Marcello Dell’Utri perché vuole coinvolgermi in un progetto. Dell’Utri sostiene la necessità che, di fronte al crollo degli ordinari referenti politici del gruppo, Fininvest "entri in politica" per evitare che un’affermazione delle sinistre possa portare il gruppo Berlusconi prima a un ostracismo e poi a gravi difficoltà. Dell’Utri mi fa presente che questo suo progetto incontra molte difficoltà nel gruppo e, utilizzando una metafora, mi dice che dobbiamo operare come sotto il servizio militare, e cioè preparare i piani, chiuderli in un cassetto e tirarli fuori in caso di necessità. Dell’Utri mi invita anche a sostenere questa sua tesi presso Berlusconi, con il quale io coltivo da tempo un rapporto di amicizia. Successivamente a questo discorso, comincio a lavorare presso gli uffici della Publitalia. (...) Partecipo a un incontro tra Berlusconi e Dell’Utri, nel corso del quale Berlusconi dice espressamente a Dell’Utri e a me di non mettere a conoscenza di questo progetto né Fedele Confalonieri, né Gianni Letta. Dall’ottobre 1992 in poi, mi occupo di contattare associazioni di categoria ed esponenti del mondo politico dell’area di centro e il risultato del sondaggio fu che tutte queste forze sentono fortemente la mancanza di un referente politico. Si arriva quindi all’aprile del 1993, quando Berlusconi mi dice che aveva la necessità di prendere una decisione definitiva su ciò che si deve fare perché le posizioni di Dell’Utri e Confalonieri gli sembrano entrambe logiche e giuste, e lui non è mai stato così a lungo in una situazione di incertezza. Che devo fare?, mi chiede Berlusconi. Confessa: "A volte mi capita perfino di mettermi a piangere, quando sono sotto la doccia e sono solo con me stesso. Non so veramente come venirne fuori". Mi dice che, per prendere una decisione, quella sera ad Arcore, ha chiamato Bettino Craxi. Alla riunione partecipiamo soltanto noi: io, Craxi e Berlusconi. (...) Dice Craxi: "Bisogna trovare un’etichetta, un nome nuovo, un simbolo che possa unire gli elettori che un tempo votavano per il pentapartito. Io sono convinto che, se tu - Silvio - trovi una sigla giusta, con le televisioni e con le strutture aziendali di cui disponi puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti e dagli ex comunisti". (...) "Bene - dice Silvio - so quello che devo fare. E’ deciso. Adesso bisogna agire da imprenditori. Chiamare gli uomini, comunicare la decisione. Adesso bisogna dirlo a Marcello (Dell’Utri), perché mi metta attorno persone che mi possano accompagnare. Bisogna fare quest’operazione di marketing sociale e politico. Va bene, allora andiamo avanti, procediamo su questa strada, ormai la decisione è presa".
E’ il 4 aprile 1993. Quel giorno - è domenica, piove, fa freddo come in inverno - può essere considerato il giorno di nascita di Forza Italia. Perché il Cavaliere vuole farlo dimenticare?
Non è una novità, in Berlusconi, l’uso politico e sistematico della menzogna. In questo caso egli nega la realtà, la sostituisce con una menzogna per liberarsi di un sospetto - fino a prova contraria, soltanto una coincidenza - sollecitato dal sincronismo tra le sue mosse politiche e la strategia terroristica di Cosa Nostra. E’ una contemporaneità che i mafiosi disertori dicono combinata. Se c’è stata intesa o collaborazione, non ha trovato per il momento alcun attendibile, concreto conforto. Confondere le cose, eclissare fatti da tutti conosciuti, appare a Berlusconi la migliore via d’uscita dall’imbarazzante angolo. E’ la peggiore perché destinata a rinvigorire, e non a sciogliere, i dubbi. Un atteggiamento di disprezzo per la realtà già non è mai moralmente innocente. In questi casi, la negazione della realtà - al di là di ogni moralistica condanna - finisce per mostrare il bugiardo corresponsabile di una colpa. Che bisogno ne ha Berlusconi, quando raccontando la verità dei fatti può liberarsi di quella nebbia? Perché non lo fa? Qual è la ragione di questa fragorosa ultima menzogna, in un momento così delicato per il Cavaliere?
© la Repubblica, 1 dicembre 2009