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PAIDEIA. EDUCAZIONE ALLA SOVRANITA’ DEMOCRATICA ..... "AVERE IL CORAGGIO DI DIRE AI GIOVANI CHE SONO TUTTI SOVRANI" (don Lorenzo Milani).

ESAMI DI MATURITA’. SECONDA PROVA SCRITTA: PEDAGOGIA. Due tracce ... im-possibili - a cura di Federico La Sala

giovedì 4 giugno 2009 di Federico La Sala
STORIA, MEMORIA ED EDUCAZIONE: "MEDITATE CHE QUESTO E’ STATO". CON GRAMSCI, PRIMO LEVI E KURT H. WOLFF: SULLA ZATTERA DELLA MEDUSA, SU UN OCEANO DIPINTO, CON L’AMORE COGNITIVO.
EDUCAZIONE, INSEGNAMENTO, E SOCIETA’: LA PATRIA, LA NOSTRA PATRIA E’ LA LINGUA, NON LA TERRA NON IL SANGUE. Dante e Saussure insegnano. Materiali sul tema
IL MONDO COME SCUOLA, LA FACOLTA’ DI GIUDIZIO, LA CREATIVITA’, I NATIVI DIGITALI, E L’ATTIVISMO CIECO NELLA CAVERNA DI IERI E DI OGGI. Materiali (...)

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> ESAMI DI MATURITA’ 2009-2010. SECONDA PROVA SCRITTA: PEDAGOGIA. ---- EDUCAZIONE E SOCIETA’. Metamorfosi del ruolo paterno nella società e nella famiglia

lunedì 1 febbraio 2010

Un libro analizza la metamorfosi del ruolo paterno nella società e nella famiglia: prima uomo forte poi affettuoso e "mammo"

-  DA PADRE A PAPA’
-  Così è cambiata l’autorità

-  di Loredana Lipperini (la Repubblica, 01.02.2010)

La figura inizia a indebolirsi nel Settecento quando l’infanzia diventa oggetto di studio Il primo padre di cui abbiamo notizia aspetta il ritorno del figlio, ascolta il resoconto del suo compito scritto, gli chiede di recitargli la tavoletta d’argilla e infine "ne rimane contento". Avveniva quattromila anni fa, in Mesopotamia.

Da qui parte il lungo cammino di Maurizio Quilici, giornalista, fondatore e presidente dell’Istituto Studi sulla Paternità, autore di Storia della paternità: dal pater familias al mammo (Fazi, pagg. 500, euro 23): una cavalcata attraverso i millenni per studiare i mutamenti di una figura che, a fronte della crescente esposizione mediatica, mancava di una ricostruzione storica: "Fino a pochi decenni fa la paternità, a differenza della maternità, non ha avuto dignità di oggetto nelle analisi storiche, sociologiche, psicologiche e, tranne qualche eccezione, neppure nell’ambito della narrativa".

Uno sguardo indietro che risulta utilissimo, negli anni della paternità "dolce", per riflettere su cosa sia stata l’autorità paterna: un misto di potere e cura, come per i padri della Grecia antica, cui spettava la decisione sulla sopravvivenza dei neonati gracili o indesiderati e che pure erano legati alla prole da un vincolo reciproco di responsabilità e dovere. Ma anche da reciproco timore: la mitologia greca nasce da Urano, e da un rapporto padre-figli fatto di odio e rivalità.

Il parricidio era il grande terrore degli antichi e, conseguentemente, i figlicidi del mito sono innumerevoli: uccidono, sia pur inconsapevoli, Ercole e Teseo, Tantalo cucina le carni di Pelope, Idomeneo e Agamennone non esitano a sacrificare la discendenza sperando nel favore di una divinità. Ma ci sono anche i padri amorosi: c’è il disperato tentativo di Dedalo di salvare Icaro e di insegnargli la via giusta per il cielo e c’è, soprattutto, Ettore, che solleva fra le braccia il figlio Astianatte con tenerezza e orgoglio, augurandosi che il figlio possa oltrepassarlo in forza.

Il terrore del parricidio era diffuso anche presso i romani, la cui storia stessa si identifica con la figura del padre, il magistrato domestico che può condannare a morte il proprio figlio (come fece Tito Manlio Torquato) perché ha trasgredito a un ordine. Eppure, l’Eneide si fonda sulla devozione dell’eroe nei confronti del padre. L’ambivalenza fra amore, rispetto e autorità attraversa anche il Cristianesimo, che pure riduce il potere paterno anteponendogli il potere divino, raggiunge e supera il Medioevo.

Se nel Decameron padri assassini e generosi si alternano, Cecco Angiolieri non esita a cantare il parricidio: "S’i’ fosse morte, andarei da mi’ padre". Beatrice Cenci la diede al violento e crudele Francesco. Bisogna arrivare a John Locke e ai suoi Pensieri sull’educazione (1693) per trovare frasi come questa: "il padre, quando suo figlio sia cresciuto e in grado di comprenderlo, farà bene a intrattenersi familiarmente con lui e perfino a chiederne il parere e a consultarlo in quelle cose di cui egli ha qualche conoscenza".

L’indebolirsi dell’autorità paterna inizia nel Settecento, secolo in cui l’infanzia comincia a essere oggetto di attenzione e il diritto di natura conduce alla madre: il diritto paterno non viene negato, ma deriva dal vivere civile e dalle sue leggi. Di pari passo, inizia la ribellione aperta, che trova il suo simbolo nel rapporto fra Monaldo e Giacomo Leopardi che, nei Pensieri, così scriverà: "colui che ha il padre vivo, comunemente è un uomo senza facoltà". La potestà paterna è la schiavitù dei figli, che non possono compiere alcuna grande azione, sostiene il poeta: nel 1819, progettando la fuga, Leopardi scrive una lettera al padre che Giorgio Manganelli definisce "un grande, straordinario pezzo di bravura" per amarezza, deplorazione, umiltà e scatto tirannicida: "Se la mia salute fosse stata meno incerta avrei voluto piuttosto andar mendicando di casa in casa che toccare una spilla del suo". La fuga non riuscì, la lettera non venne mai consegnata.

Di questi padri ostili parleranno Hesse e Musil, che ricorderanno punizioni e percosse, mentre l’ultimo schiaffo dato dal padre morente condizionerà la vita di Zeno Cosini. Con l’industrializzazione cessa il passaggio di testimone fra padre e figlio: passaggio di autorità, ma anche di valori professionali. "Si sfalda la famiglia patriarcale - scrive Quilici - e ha inizio la rottura antropologica tra l’uomo e la cultura maschile preesistente". In sostanza, il paterno si svaluta nel momento in cui il padre esce dalla famiglia e lascia i figli alla madre. Parallelamente, però, inizia la lenta scoperta dei padri "materni".

Il primo libro in cui questo avviene è Pinocchio: nella storia di Collodi è il padre a "far nascere" il burattino, e Geppetto si dimostrerà sempre pieno di affetto e capacità di sacrificio nei confronti del figlio. Un fallimento della responsabilità virile, secondo alcuni. Un’anticipazione, secondo altri, di quel che verrà dopo. Dopo i padri devoti o violenti di Cuore, dopo il gelido genitore di Incompreso, dopo Freud, dopo quel topos del dissidio generazionale che fu La lettera al padre di Franz Kafka. E dopo quel "parricidio sommario" che, scrive Quilici, fu il 1968.

Finisce il padre, inizia il papà: iniziano la commozione, l’estroversione, la fisicità maschile che un tempo furono della madre. Nel 2007 la conquista dell’affido condiviso. Da oggi, il cammino per la costruzione di una nuova fisionomia.


intervista

Zoja: "Sono caduti molti tabù"

di Loredana Lipperini (la Repubblica, 01.02.2010)

Anche nella storia della paternità, lo spartiacque potrebbe essere il 1968. Luigi Zoja, lo psicoanalista autore di uno dei libri più belli sulla figura paterna (Il gesto di Ettore, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2003), avverte che il processo è evidentemente più lungo: «Le tre parole simbolo della rivoluzione francese, Libertè, Egalitè, Fraternitè, anticipano di molto, sia pure solo fra le classi più colte, quel principio orizzontale della fraternità che ha finito con il prevalere su quello, verticale, della paternità. E che trova la sua legittimazione con i movimenti studenteschi americani e con la famosa copertina del 1967 con cui Time, dichiarando i giovani personaggi dell’anno, consegna il potere alle nuove generazioni».

Quando questo cambiamento tocca la figura del padre?

«La figura del padre indegno comincia apparire nell’Ottocento, sia nella letteratura romantica sia sulla stampa periodica: fino a quel momento il padre negativo e distruttivo era l’eccezione, il mostro. Il fatto che diventi un’apparizione regolare è un fatto senza precedenti».

Il padre di oggi che accudisce il figlio è ugualmente una figura nuova?

«In parte, è un riflesso del venir meno di alcuni tabù: quello dell’omosessualità, per esempio. La rigidità paterna è stata sempre legata anche alla paura di comportarsi in modo troppo femminile. Vedo favorevolmente il padre come ausiliario della madre: purché si vada comunque a riempire il vuoto lasciato dal principio psichico paterno».

Manca dunque, a suo parere, un principio di autorità?

«Manca il principio di autorità buona: che esiste anche se nei secoli è stato anche esercitato in modo tremendo. Ma non ci sono stati solo padri violenti, bensì padri che hanno usato l’autorità per intervenire, come è necessario per incanalare l’aggressività dei giovani maschi. Oggi quel principio è venuto meno: e la sua assenza si collega alla forte crescita della criminalità giovanile gratuita».

I padri di oggi si sottraggono al gesto di Ettore, quello di sollevare il figlio verso l’alto pregando che sia più forte di lui?

«I salti generazionali, oggi, sono tali che i padri non riescono a capire cosa significhi il successo per i propri figli. Molto spesso l’accudimento paterno è più diretto e emozionale. Quel che il freudismo ortodosso non ha abbastanza preso in considerazione è che il padre come autorità buona non è solo castratore e invidioso: ma prova gioia nel vedere il figlio che va avanti».


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