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PAIDEIA. EDUCAZIONE ALLA SOVRANITA’ DEMOCRATICA ..... "AVERE IL CORAGGIO DI DIRE AI GIOVANI CHE SONO TUTTI SOVRANI" (don Lorenzo Milani).

ESAMI DI MATURITA’. SECONDA PROVA SCRITTA: PEDAGOGIA. Due tracce ... im-possibili - a cura di Federico La Sala

giovedì 4 giugno 2009 di Federico La Sala
STORIA, MEMORIA ED EDUCAZIONE: "MEDITATE CHE QUESTO E’ STATO". CON GRAMSCI, PRIMO LEVI E KURT H. WOLFF: SULLA ZATTERA DELLA MEDUSA, SU UN OCEANO DIPINTO, CON L’AMORE COGNITIVO.
EDUCAZIONE, INSEGNAMENTO, E SOCIETA’: LA PATRIA, LA NOSTRA PATRIA E’ LA LINGUA, NON LA TERRA NON IL SANGUE. Dante e Saussure insegnano. Materiali sul tema
IL MONDO COME SCUOLA, LA FACOLTA’ DI GIUDIZIO, LA CREATIVITA’, I NATIVI DIGITALI, E L’ATTIVISMO CIECO NELLA CAVERNA DI IERI E DI OGGI. Materiali (...)

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> ESAMI DI MATURITA’ 2009-2010. SECONDA PROVA SCRITTA: PEDAGOGIA. ---- EDUCAZIONE E SOCIETA’: DONNE E SCIENZA. L’eredita’ di Ipazia di Alessandria. Materiali

mercoledì 14 aprile 2010

Ipazia, la donna che osò sfidare la Chiesa in difesa della scienza

-  Il convegno Due giornate dedicate alla filosofa-astronoma martire in nome del libero pensiero
-  L’eroina Morì nel IV secolo d.C. per mano delle armate cristiane: voleva «insegnare a pensare»

-  Ospitiamo in questa pagina un articolo di Mariateresa Fumagalli, storica della filosofia, che anticipa i temi
-  dei quali parlerà al convegno dedicato a Ipazia il prossimo 20 aprile a Milano
.

di Mariateresa Fumagalli (l’Unità, 13.04.2010)

Avvolta nel suo mantello Ipazia percorreva, libera e armata dalla ragione, le strade di Alessandria d’Egitto nel V secolo, parlando dell’Essere e del Bene, della inessenzialità delle cose materiali, della fragilità della vita, della bellezza della meditazione ai molti che la riconoscevano maestra di pensiero e di vita. «Atena in un corpo di Afrodite». Era naturale che qualcuno si innamorasse di lei e Ipazia con un gesto da filosofa «cinica» per disilludere l’innamorato mostrava le sue vesti intime macchiate del sangue mestruale a indicare lo «squallore della vita» e la verità dell’amore che deve superare il corpo.

Cosa insegnava Ipazia ammirata anche dai suoi allievi cristiani? In una città dove pagani, cristiani e ebrei convivevano non sempre in pace? È quasi impossibile saperlo con certezza: degli scritti di Ipazia, matematica astronoma e filosofa soprattutto, seguace della scuola di Platone e di Plotino nella turbolenta Alessandria d’Egitto di quei secoli, nulla è rimasto.

Paradossalmente quasi tutto quel che sappiamo del suo insegnamento lo apprendiamo dal suo allievo cristiano Sinesio, divenuto in seguito vescovo, ma non per questo meno filosofo. Sinesio la chiama «madre sorella e maestra» e nelle sue opere giovanili rispecchia probabilmente i temi del pensiero di Ipazia che si ispirava a sua volta a Plotino e, sembra, al suo allievo Porfirio.

Un altro cristiano (chiamato Socrate Scolastico per distinguerlo da quello antico, il maestro di Platone) scrive che Ipazia «con la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura si presentava in modo saggio davanti ai capi della città e non si vergognava di stare in mezzo agli uomini perché a causa della sua straordinaria sapienza tutti la rispettavano profondamente...». Dunque le cose erano un po’ più complicate di quel che appare nell’immagine convenzionale di Ipazia martire predestinata che in nome del libero pensiero e «in difesa della scienza sfida la chiesa».

Per prima cosa c’è da chiedersi «quale scienza e quale chiesa»? La scienza e la filosofia insegnata da Ipazia e dai neoplatonici, erano saperi congeniali a una religione della salvezza fondata sui valori dello spirito come il cristianesimo. Molti storici definiscono del resto la religione cristiana una forma di platonismo. Quanto alla religione cristiana oramai istituzionale, è vero, dopo gli editti di Costantino e Teodosio - la chiesa non era allora il corpo accentrato e potente che diverrà, e viveva conflitti interni violenti, divisa in nestoriani, ariani e altre sette. Niente di paragonabile alla forza organizzata e al pensiero solido della chiesa romana di un millennio dopo ai tempi di Galileo (paragone certamente anacronistico ma irresistibile a quanto pare).

Da dove nasceva allora il conflitto che opponeva filosofi e cristiani? «La divisione non avveniva fra monoteismo e politeismo» (E.R. Doods) come siamo abituati a credere: sia i filosofi pagani che quelli cristiani (Clemente, Origene, Gregorio Nisseno) pensavano che Dio fosse incorporeo, immutabile e al di là del pensiero umano. Per entrambi l’etica era «assimilazione a Dio»; si trattava tuttavia di sapienti che leggevano in parte gli stessi libri e assimilavano la virtù alla ragione.

UOMINI COLTI, UOMINI SEMPLICI

Ma una differenza c’era: la filosofia neoplatonica parlava agli uomini colti, mentre il Vangelo si rivolgeva ai «semplici», notava il pagano Celsio con disprezzo e il cristiano Origene con orgoglio. È in mezzo a questi «semplici» o «illetterati» che Ipazia trova i suoi nemici, cristiani che si rifugiavano per forza di cose nella fede cieca diventando strumento dei più fanatici come del resto aveva già notato ai suoi tempi, allarmato S. Gerolamo. È una storia che si ripete. La massa degli illetterati e dei diseredati non aveva difese contro la angoscia che invadeva le menti, agitava i sogni, annullava le speranze di quei tempi duri.

Alessandria, come e più di altre città di quei secoli, viveva in una situazione di incertezza materiale e politica, timore di guerre, perdita di identità, caduta del benessere, scomparsa del senso del bene comune, in una età segnata dall’angoscia.

Rancori profondi e paure indistinte armavano le mani di coloro che erano in grado solo di ubbidire alle voci più estreme ascoltando i suggerimenti di chi nutriva progetti personali di potere. Una donna che andava sola per le vie annunciando la bellezza della filosofia, ossia la via della liberazione attiva dalle passioni e i modi della contemplazione, era il bersaglio naturale dell’odio che nasceva dalla paura.

Ipazia parlava in pubblico infrangendo antiche leggi scritte e non scritte , sconvolgeva pericolosamente le misere certezze che i capi suggerivano: insegnava a pensare, proprio lei, una donna, quell’essere che Aristotele aveva insegnato essere un uomo «diminuito» e inferiore... La politica aggiunse legna al fuoco: Cirillo vescovo di Alessandria, celebre teologo, nemico del governatore imperiale Oreste a sua volte vicino a Ipazia, ispirò o forse ordinò l’omicidio terribile della filosofa. Nel 1882 Cirillo di Alessandria fu dichiarato da Leone XIII Santo e Dottore della Chiesa.


-  Due incontri
-  Da Canfora e Eco a proposito di Ipazia

-  l’Unità 13.4.10

In occasione dell’uscita in Italia il 23 aprile di «Agora», il nuovo lavoro di Alejandro Amenábar, la casa di distribuzione Mikado organizza due incontri per approfondire la vicenda del personaggio principale del film: Ipazia. Domani a Roma (ore 18,00, alla Sala Igea di Palazzo Mattei-Istituto della Enciclopedia Italiana, via Paganica, 3-4), in collaborazione con l’Istituto Treccani, interverranno il filologo e saggista Luciano Canfora, la storica bizantinista Silvia Ronchey, il filologo e critico letterario Carlo Ossola, il filosofo della scienza Giulio Giorello, i giornalisti Antonio Gnoli e Gabriella Caramore. A Milano, il 20 aprile alle 18, presso la Sala delle Colonne della Banca Popolare (via San Paolo, 12), in collaborazione con la rivista «Reset», saranno presenti all’incontro introdotto dal direttore della rivista Giancarlo Bosetti, lo scrittore Umberto Eco, la studiosa di diritto romano Eva Cantarella, il teologo Vito Mancuso, la medievalista Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri (che interviene in questa pagina). Parteciperà anche Alejandro Amenábar.

-  Amenábar, dopo Cannes finalmente arriva in Italia-l’Unità, 13.04.2010

Protagonista di «Agora», il nuovo film di Alejandro Amenábar (regista di «Mare Dentro» e «The Others»), è la regina Ipazia (interpretata dall’attrice Rachel Weisz), prima scienziata della storia, celebre per la sua attività di matematica e astronoma. La sua è una figura tragica, inghiottita da improvvisa morte violenta per mano di quelle armate cristiane che nel IV secolo dopo Cristo annientarono intere civiltà in nome della verità rivelata. Le guerre che ne seguirono videro molti intellettuali di estrazione platonica massacrati crudelmente, specialmente quando di sangue ebreo. Tra questi c’era anche Ipazia. Il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 23 aprile per Mikado, con enorme ritardo rispetto agli altri Paesi europei. «Agora» era stato presentato al Festival di Cannes 2009, tra applausi e fischi.


-  Ipazia
-  La donna che sfidò la Chiesa

-  Film, convegni, spettacoli teatrali dedicati alla figura femminile dell’antichità che in difesa della scienza e della filosofia affrontò la persecuzione fino alla morte
-  Fu Cirillo, vescovo cristiano di Alessandria, a eccitare la folla che la uccise
-  La lezione della ricerca della verità contro tutti i fondamentalismi religiosi

di Roberta De Monticelli (la Repubblica, 09.04.2010)

"Lo so,/per noi tutti che vi fummo insieme in quei tempi/ Alessandria vibra ancora della sua febbre fina/ e anche del suo un po’ frenetico deliquio...". Così Sinesio di Cirene, dotto poeta e ragionatore alessandrino, ricorda la città della sua giovinezza. La città dove si era consumata, fra la fine del IV secolo e l’inizio del V, nell’incendio della più grande biblioteca dell’Antichità, l’ultimo "sogno della ragione greca": simbolicamente massacrata nel marzo del 414 nel corpo di Ipazia. Essa fu matematica e filosofa neoplatonica, commentatrice di Platone e Plotino, Euclide, Archimede e Diofanto, inventrice del planisfero e dell’astrolabio - secondo quanto ci riportano le poche testimonianze giunte fino a noi. Perché della sua opera, come di quella del padre Teone, anche lui grande matematico, non c’è rimasto nulla. Eppure quei frammenti bastano a testimoniare la fama e l’ammirazione di cui godeva questa donna, che in Alessandria teneva scuola di filosofia.

La sua uccisione, scrisse Gibbon in Declino e caduta dell’impero romano, resta "una macchia indelebile" sul cristianesimo. Perché fu massacrata, pare, da una plebaglia fanatica ma eccitata alla vendetta, si dice, dal vescovo Cirillo. Fu vittima quindi di un gioco per la conquista della supremazia politica sulla città di Alessandria: ma il delitto inaugurava, con l’epoca cristiana, l’orrore della violenza che invoca il nome di Dio invano - per la verità in tutti i luoghi e i tempi dove una religione diventa istituzione di potere terreno. Era da poco in vigore l’editto di Teodosio, con il quale, nel 391, il cristianesimo era stato proclamato religione di stato.

Il Sinesio che ho citato è in realtà la voce di Mario Luzi, che nello splendido piccolo dramma Il libro di Ipazia, pubblicato nel 1978, fa dell’antico discepolo della filosofa alessandrina il testimone pensoso di un’epoca di trapasso, di tramonto e di nuova barbarie: "Città davvero mutata, talvolta cerco di capire/se nel tuo ventre guasto e sfatto/si rimescola una nuova vita/o soltanto la dissipazione di tutto./E non trovo risposta". E’ questa voce di poeta che prendiamo a guida di una possibile riflessione sull’impotenza della filosofia, della ricerca di ragioni e di luce anche per l’azione, quando essa lascia il suo "luogo alto, dove annidare la mente" e scende sulla piazza. Dove - come dice a Sinesio uno sconsolato amico - "l’intimazione della verità è un’arte di oggi,/come la persuasione lo fu di ieri". "Agora", appunto, si intitola il film su Ipazia del regista spagnolo Alejandro Amenábar, finalmente in arrivo anche da noi.

Si dice che sia "un duro atto d’accusa contro tutti i fondamentalismi religiosi", tanto duro nei confronti del neonato potere temporale della chiesa da aver subito addirittura ostacoli e ritardi alla sua programmazione nel nostro Paese. Vedremo: in attesa, può ben essere la splendida figura di questo vescovo perplesso a guidarci nella riflessione. "Il suo destino sembra esitare incerto sopra di lui".

Sinesio, neoplatonico lui stesso, fu davvero in seguito eletto vescovo di Cirene: quando ancora era indeciso fra i due mondi, ancora perduto nel sogno dell’armonia fra la ragione che governa le cose terrene e il soffio sottile di quelle divine. In un tempo in cui, invece - proprio come nel nostro - "la sorte della città è precaria/esige risoluzioni forti, parole chiare all’istante./Occorrono idee brevi e decise - oppure cinismo".

Ipazia poi è diventata simbolo di molte cose. Il contrasto fra gli Elementi di Euclide e la Bibbia, ad esempio - "le due summae del pensiero matematico greco e della mitologia ebraico cristiana", come scrisse Odifreddi". Oppure la possibilità provata che anche le donne sappiano pensare, ed eccellere addirittura nelle scienze matematiche: e se guardate in rete troverete ancora parecchie, un po’ incongrue, difese del pensiero "al femminile" condotte in suo nome (mentre parrebbe difficile dare un sesso alla geometria euclidea).

Ma noi ancora per un poco preferiamo farci guidare, prima ancora che dalla voce di Sinesio, da quella del poeta che lo anima. Mario Luzi ci accompagna fino nella più segreta stanza notturna di Ipazia, dove questa donna che "vede lontano", lontano al punto che "una luce d’aurora" promana da "quei discorsi accesi da un fuoco di crepuscolo" - conduce la sua ultima conversazione con Dio. "Sono come sei tu. Perché io sono te./Te e altro da te". E’ colta di sorpresa, Ipazia: e oppone resistenza: "Perché ti manifesti ora? Sono stanca/e mi credevo compiuta." Terribile la risposta: "Non lo sei ancora. C’è tutta l’enorme distesa del diverso,/del brutale, del violento/contrario alla geometria del tuo pensiero/che devi veramente intendere". Che devi veramente intendere: Ipazia così, nella perfetta fedeltà al suo essere, che è amore del vero, filosofia, ricerca, Ipazia alla cui parola "si addice la temperatura del fuoco" si avvia verso quello che già intravede come l’estremo sacrificio. "Non c’è ritirata possibile, Sinesio./ Qualcuno ci ha dato ascolto, in molti hanno creduto/nella forza redentrice della nostra voce di scienza e di ragione./Dobbiamo deflettere a lasciarli al loro disinganno?". E ancora, il poeta dà voce alla speranza che infine è quella di tutti noi, degli sconfitti: "La nostra causa è perduta, e questo lo so bene./Ma dopo? Che sappiamo del poi?/Il frutto scoppiato dissemina i suoi grani."

Ma non c’è scampo. Ipazia viene trascinata in una chiesa, e fatta a pezzi. "Così finisce il sogno della ragione ellenica./Così, sul pavimento di Cristo". Ecco: Ipazia e la sua Idea sono emblemi di un tale spessore, di una tale profondità intellettuale e spirituale, e di un modo d’essere fatto di luminosa intransigenza (così diverso da quello di Luzi, benché altrettanto preso nel sentimento dell’assoluto), che fantastico a volte potesse trattarsi di una figura capace di incarnare una vera alternativa - in quegli anni - alla dialettica indulgenza di "Sinesio". Cioè di Luzi.

Un ultimo sconsolato lume di intelligenza illumina una scena che si restringe paurosamente dopo questa tragedia. Alessandria è un ricordo lontano, e anche l’urto dei mondi, la trasvalutazione dei valori lo sono. La scena si chiude su una Cirene rimpicciolita fino a coincidere proprio con quella tanto piccola e meschina che è la nostra di oggi: "Spesso me lo ripeto:/ senza un’idea di sé/ da dare o da difendere/non si regna, si scivola a intrighi di taverna".


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