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PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO E DELLA SUA TEOLOGIA "MAMMONICA" (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006).

"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE. Un saggio di Federico La Sala

LO SPIRITO CRITICO E L’AMORE CONOSCITIVO. MARX, IL "LAVORO - IN GENERALE", E IL "RAPPORTO SOCIALE DI PRODUZIONE - IN GENERALE".
giovedì 14 marzo 2024
"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. Relazioni chiasmatiche e civiltà. Lettera da ‘Johannesburg’ a Primo Moroni (in memoriam)
(PER LEGGERE il saggio, aprire il pdf, vedi anche allegato, in fondo.
HEGEL E L’AUTOCOSCIENZA - DALLA RELAZIONE DIALETTICA AL DIALOGO: "L’autocoscienza attraversa nella sua formazione o movimento questi tre stadi: 1. quello del desiderio [Begierde], in quanto rivolto ad altre cose; 2. quello della relazione signoria-servitù, nella misura in cui l’autocoscienza si rivolge ad (...)

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> RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTA’: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE. --- Neoliberismo, riproduzione e comunità: "Calibano e la strega". Un dialogo con Silvia Federici (di Gea Piccardi)

sabato 7 maggio 2016

Neoliberismo, riproduzione e comunità

      • Sono milioni le persone, soprattutto donne, che non vedono alcuna possibilità che lo Stato possa rispondere in modo dignitoso alle loro aspettative. La sola possibilità di riproduzione e di costruzione del futuro diventa il lavoro collettivo. Silvia Federici la chiama organizzazione collettiva della riproduzione e ne disegna qua e là alcuni tratti in questa lunga e appassionata conversazione. Una gimcana a perdifiato tra le domande chiave per l’elaborazione politica femminista postcoloniale e l’apertura dei concetti essenziali del “fare comunità», vale a dire del ricreare un tessuto di relazioni di reciprocità che investano la materialità delle vite e le condizioni comuni di sussistenza e di benessere. Sullo sfondo, in campo lungo, il paesaggio riproduttivo, lo spazio rimosso dall’economia politica moderna e dalla critica marxista, abitato da corpi di donne che garantiscono le condizioni affettive, materiali e di cura di ogni comunità. L’inquadratura sulle crisi nel vivere il nostro tempo è profonda e di una lucidità impressionante

di Gea Piccardi* (Comune-info, 07.05.2016)

Ho incontrato i testi di Silvia Federici quattro anni fa. Mentre in Europa ancora erano in corso le traduzioni, in America Latina i suoi scritti stavano già passando di mano in mano, di assemblea in assemblea, tra collettivi di donne e misti. È stata una compagna italiana, parte del progetto di Universidad de La Tierra a Oaxaca (Messico), a mostrarmi per la prima volta il libro tradotto in spagnolo come Caliban y la bruja. Mi disse poche parole, semplici ed efficaci. Quel libro, disse, avrebbe permesso di ripensare la nascita dell’economia mondo capitalistica e degli Stati Nazione come un fenomeno di colonizzazione interna allo stesso territorio europeo, avvenuta sui corpi delle donne, terreno strategico di sfruttamento e appropriazione. Pochi mesi dopo, a Buones Aires, un’altra compagna mi raccontò che quell’anno, nella loro assemblea presso una villa di periferia, avevano letto e studiato insieme Caliban y la bruja, trovandovi strumenti fondamentali per l’elaborazione di un’azione politica femminista e postcoloniale.

Da allora, con alcune compagne, amiche e ricercatrici abbiamo cominciato a lavorare, qui in Italia, sui testi di Federici. Uno dei termini su cui ci siamo maggiormente imbattute è quello di «riproduzione», concetto che Federici comincia ad indagare con il collettivo padovano di Lotta Femminista dentro alle lotte delle donne negli anni Settanta. La loro analisi sul lavoro domestico e riproduttivo all’interno delle società capitalistiche occidentali ha permesso alla parola «riproduzione» di indicare via via molteplici campi semantici non riducibili al solo linguaggio della biologia o al concetto marxiano di «riproduzione sociale». Ha permesso di spostare l’attenzione teorica e politica dalla relazione capitale-lavoro centrata sullo sfruttamento del salariato, alle condizioni di possibilità di quella stessa relazione che risiedono altrove, in quello spazio - fino ad allora senza tempo e senza storia - della casa, del privato e delle reazioni sessuali, per indagarne le grammatiche specifiche. Finalmente oggi, anche in Italia, siamo in grado di poter ricostruire i passaggi della ricerca di Silvia Federici, grazie a un lavoro di traduzione e diffusione dei suoi testi avvenuto negli ultimi tre anni. È infatti di recente pubblicazione l’ultimo libro di Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, curato da Mimesis. L’impegno di compagne e compagni in diverse città ci ha offerto la possibilità, qualche settimana fa, d’incontrare l’autrice in Italia, nelle università e negli spazi sociali.

Con Calibano e la strega Federici prosegue con approccio storico e genealogico l’analisi critica sul lavoro riproduttivo contenuta nei saggi de Il punto zero della rivoluzione. Quali sono le origini della separazione tra produzione e riproduzione? Tra un maschile e un femminile che si riflettono in organizzazioni gerarchiche e oppressive di facoltà e attività umane? A partire da questi interrogativi, l’autrice mostra i nessi storici esistenti tra le esigenze dell’accumulazione originaria nel «passaggio al capitalismo», la nascita degli apparati di sapere e di potere su cui si sono costituiti gli Stati moderni, e l’organizzazione, attraverso la caccia alle streghe, del «nuovo ordine patriarcale» occidentale. Qui Federici propone con scientificità la storia della modernità occidentale ma da un’angolazione prospettica che si radica nelle urgenze di libertà del presente, senza cadere nelle gabbie dei pensieri totalizzanti. È proprio questa direzione di sguardo, carica di etica e di politica, che conduce a un pensiero complesso e aperto come quello che il suo libro ci regala. Un metodo d’analisi (ispirato ai lavori di Marx, Foucault e al pensiero femminista) che inchiesta il sociale, attuale e passato, mostrando le contemporaneità.

L’ideazione del libro, scrive nell’introduzione, nasce dalla sua permanenza in Nigeria durante gli anni Novanta, periodo di attivazione - in tutta l’Africa e nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo - dei «programmi di aggiustamento strutturale» imposti dall’FMI e dalla Banca Mondiale, che hanno coinciso con l’indebitamento, nuovi processi di espropriazione delle terre comuni, tagli alle spese sociali e ondate repressive e di violenza.

Da una parte, quindi, sono gli attuali fenomeni di naturalizzazione, espropriazione e attacco alla riproduzione, a livello globale, che illuminano la sua storia della caccia alle streghe nella fase di transizione al capitalismo. E dall’altra, è lo studio dei processi di violenta riorganizzazione del lavoro delle donne nella prima età moderna che permette di comprendere l’attualità neoliberista in cui il paesaggio riproduttivo - quello spazio da sempre rimosso dall’economia politica moderna e dalla critica marxista, abitato da corpi di donne che continuamente garantiscono le condizioni affettive, materiali e di cura di qualsiasi comunità - vive una fase di tremenda crisi che colpisce le vite delle singole, dei singoli, e della società tutta. Fuori da una lettura storicistica e progressista della storia Federici ritiene, dunque, che lo scenario della cosiddetta «accumulazione originaria» non si sia dato una volta per tutte, ma, al contrario, persista nel nostro presente sebbene con attrici/attori e in contesti differenti, coloniali e neocoloniali. E che ridisegni, non senza conflitto, le condizioni sociali di estrazione di profitto economico.

Tuttavia, di fronte ai segni della crisi, Federici trova esempi concreti di apertura e d’immaginazione radicale nelle esperienze di lotta di donne che oggi, in tutto il mondo, resistono alle logiche dell’economia capitalistica e ai «nuovi modelli di patriarcato». Da queste prende piede la sua riflessione sui commons o sulla pratica del commoning, intesa nel senso di «fare comunità», ricreare, cioè, un tessuto di relazioni di reciprocità che investano la materialità delle vite e le condizioni comuni di sussistenza e di benessere (leggi anche Comune? È la società in movimento ndr). L’esistenza di comunità autonome e resistenti sparse per il globo e radicate nelle pratiche di autodeterminazione delle donne, le permette di rintracciare nuovi profili possibili della prassi politica oggi; una prassi che indica altri tempi e spazi dell’azione e del pensiero, nuovi e differenti strumenti teorico-pratici di comprensione del mondo e di consapevolezza del proprio potenziale storico. È nel nesso tra crisi della riproduzione e pratiche di commoning che Federici rintraccia nuove priorità etico-politiche, non più legate alle grammatiche del potere maschile novecentesco e al modello di militanza da questo ereditato, ma aperte a nuovi orizzonti di senso.

L’intervista * cerca di sciogliere questi nodi teorici, passando per la biografia dell’autrice e cercandovi i momenti sorgivi, quelli in cui incontri virtuosi con persone, luoghi o movimenti sociali hanno modificato e approfondito la sua ricerca. Quello che Federici propone a tutte e tutti noi, nel dipanarsi delle sue risposte, nella franchezza del linguaggio e nell’apertura dialogica del suo pensiero, è di affrontare la fatica immaginativa che richiede qualsiasi desiderio di cambiamento. Non c’è nulla di immediato e di automatico, ciascun gesto per esser libero richiede una grande attenzione, direi di weiliana memoria. Silvia Federici parla di «altri modi di fare politica» per ritrovare, in essa, un momento di soddisfazione di vita e di resistenza sociale forte.

* L’intervista segue IMMEDIATAMENTE ... QUI.

* Gea Piccardi, laureata in Filosofia Politica presso l’Università di Roma Tre, fa parte della redazione di Iaph e partecipa al gruppo di ricerca Eco-Pol - studi su altri paradigmi di ecologie ed economie politiche. Ha vissuto per periodi più o meno lunghi in Messico, dove ha partecipato all’Escuelita Zapatista.

*Pubblicato su Iaph, con il titolo completo “Neoliberismo, riproduzione e comunità. Un dialogo con Silvia Federici tra biografia, politica e pensiero”


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