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PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO E DELLA SUA TEOLOGIA "MAMMONICA" (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006).

"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE. Un saggio di Federico La Sala

LO SPIRITO CRITICO E L’AMORE CONOSCITIVO. MARX, IL "LAVORO - IN GENERALE", E IL "RAPPORTO SOCIALE DI PRODUZIONE - IN GENERALE".
giovedì 14 marzo 2024
"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. Relazioni chiasmatiche e civiltà. Lettera da ‘Johannesburg’ a Primo Moroni (in memoriam)
(PER LEGGERE il saggio, aprire il pdf, vedi anche allegato, in fondo.
HEGEL E L’AUTOCOSCIENZA - DALLA RELAZIONE DIALETTICA AL DIALOGO: "L’autocoscienza attraversa nella sua formazione o movimento questi tre stadi: 1. quello del desiderio [Begierde], in quanto rivolto ad altre cose; 2. quello della relazione signoria-servitù, nella misura in cui l’autocoscienza si rivolge ad (...)

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> RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTA’. CON MARX, OLTRE -- DONNE E UOMINI, POLITICA - Sovrane e Puttane. Due recensioni (di M. Terragni e M. Recalcati).

lunedì 16 maggio 2016


Blog, Maschile/Femminile, DONNE E UOMINI, POLITICA 29 settembre 2013

Sovrane e libere dal potere

di Marina Terragni *

      • Annarosa Buttarelli, Sovrane. La libertà femminile al governo (il Saggiatore, pp. 238, € 18,00)

Ogni anno a Kathmandu, Nepal, nel corso di una solenne cerimonia, la dea-bambina Kumari è chiamata a rilegittimare con la sua superiore autorità il potere del Presidente della Repubblica laica.

Non è raro che sia una fanciulla a incarnare l’idea di una sovranità più alta di ogni potere. Una vergine, ovvero non ancora compromessa con l’ordine simbolico maschile, capace di un’autorità che non è dominio e di una potenza che non è violenza. Come la «nostra» Maria, come Agata e le altre sante celebrate con processioni e «cannalore».

Nel suo ardente Sovrane la filosofa Annarosa Buttarelli ragiona su quest’altra idea di sovranità, ben più antica della potestas che ha orientato l’assolutismo monarchico e la democrazia rappresentativa. Idea che i riti, prevalentemente maschili, custodiscono e a un tempo esorcizzano: finita la festa, gabbate le sante, che sono rimesse a tacere.

Si tratta, invece, di onorare il debito con le «sovrane» lasciandole parlare, e fare. Di intraprendere un nuovo inizio della convivenza umana che tenga conto della differenza femminile.

Si tratta di «ripartire dalle origini dei processi e, se queste origini si rivelassero infauste, trovare la forza e l’intelligenza necessaria per crearne altri differenti». Cominciando con il «togliere definitivamente dalla rimozione ciò che è accaduto del 403 a. C. ad Atene», anno e luogo di nascita della democrazia: ciò che lì fu rimosso è il «due» che siamo, uomini e donne ritenute «parenti acquisite» e rinchiuse nel privato. Non aver tenuto conto dei corpi e dei pensieri delle donne, e della fonte della loro autorità, è ragione di ogni altra ingiustizia, che non può essere sanata se non confidando in una «conversione trasformatrice».

Nel saggio, scritto con arendtiano "amor mundi" e l’intento di orientare l’azione politica qui e ora, molti esempi di sapienza al governo: Cristina di Svezia, Elisabetta I d’Inghilterra, Ildegarda di Bingen. Inaspettatamente, anche la derelitta Antigone: sovrana, lei? E di che cosa? In lei il principio di sovranità si mostra purissimo nell’amore radicale per una verità che esiste «da sempre: la vita con le sue leggi e la sua trascendenza, le relazioni di cui abbiamo bisogno per vivere e la condizione umana calata in un cosmo che impone spesso un suo ordine». Antigone non contro la legge, ma sopra - sovrana -, nell’ordine di ciò che è «eterno, universale e incondizionato» (Simone Weil), immersa nel mistero della «struttura che connette», come la chiamerà Gregory Bateson, e da cui la politica di oggi sembra prescindere.

La logica inclusiva della parità e delle quote, scrive Buttarelli, è poca cosa: la posta in gioco «non sono i posti di potere», ma «la decisa dislocazione della sovranità dal potere». In particolare, le donne si mostrano estranee al concetto di rappresentanza, per affidarsi alla pratica delle relazioni reali. Portare la sapienza al governo significa portarvi questa competenza relazionale e attenersi in ogni atto al primato della vita.

Due esempi di questo governare che non è rappresentare: la vicenda delle operaie tessili di Manerbio, Brescia, che tra gli anni Ottanta e Novanta affrontarono la crisi della fabbrica rifiutando la rappresentanza sindacale e portando l’amore - tra loro stesse, per i loro prodotti, per chi li comprava - al tavolo di trattativa. E quella di Graziella Borsatti, sindaca a Ostiglia, Mantova, tra il 1991 e il 2004, che saltando l’astrazione della rappresentanza e mettendo in campo relazioni concrete, fece della sua giunta e di tutta la città una «comunità governante», orientata dal proposito di «disfare il potere e agire il benessere»: primum vivere.

Presentando Sovrane al Festivaletteratura di Mantova, Stefano Rodotà ha parlato di «fondazione di un pensiero» e ha ammesso di avere «imparato molto». Gli rispondono idealmente, invitando a una nuova politica da subito, le parole con cui Buttarelli chiude il saggio: «Se il meglio è accaduto a Brescia e a Ostiglia può accadere ancora, oggi e ogni volta che sarà necessario».

(pubblicato oggi su La Lettura-Corriere della Sera)


LO PSICOANALISTA E LA CITTA’ Riflessioni sulla vita contemporanea

SOVRANE E PUTTANE

di MASSIMO RECALCATI (Psychiatry-on-line)

Due libri recenti e molto diversi tra loro offrono ritratti opposti della femminilità: nel primo, titolato Sovrane, edito da Il Saggiatore, Annarosa Buttarelli - filosofa e femminista - s’impegna a ricuperare le tracce di una pratica femminile del governo, mentre nel secondo, quello di Lucrezia Lerro, già nota per romanzi di un certo successo come Certi giorni sono felice o Il rimedio perfetto - titolato La confraternita delle puttane, edito da Mondadori, emerge un universo di disperazione e di morte dove il destino delle donne appare segnato da una solitudine senza speranza.

Si tratta di due testi che sembrano meditare attorno a quel rifiuto della femminilità messo a tema da Freud. Un destino di rimozione colpisce il femminile non solo nella società patriarcale, ma nelle vicissitudini più profonde della vita psichica, sottraendogli ogni diritto di cittadinanza. È precisamente contro questa rimozione che Annarosa Buttarelli lotta a viso aperto. Ecco la posta in gioco del suo lavoro: è possibile dare voce a una filosofia e a una pratica femminile della democrazia che si emancipi dalla «storia monosessuata maschile delle istituzioni politiche d’Occidente?». Domanda che - secondo l’autrice - si rende necessaria constatando come «tutte le cose “maschie” sono oggi in agonia o già morte - Stato, famiglia dell’uomo che porta a casa il pane, matrimonio esclusivo tra uomo e donna, democrazia rappresentativa, polis, solidarietà di classe, salari, divisione privato-pubblico». Esiste una narrazione solo maschile della sovranità che s’incarna nell’autorità del pater familias come nella democrazia rappresentativa e che esalta l’universale della Legge contro il particolare della vita.

Diversamente, la sovranità femminile si esercita «non contro ma sopra la Legge» prendendosi cura della vita nella sua particolarità.

È il concetto stesso di rappresentanza che viene qui messo in discussione. Non si tratta di riabilitarne la funzione, ma di cogliere nella sua crisi attuale l’apertura ad un’altra pratica di governo. Nelle donne - continua il ragionamento della Buttarelli - esiste una sensibilità affettiva che intende il governare non come rappresentanza di un’altra volontà - della Nazione, dello Stato, del popolo - ma come esercizio di una cura fondata sul «primato assoluto della relazione». Dall’Antigone di Zambrano, alla regina Elisabetta, da Hannah Arendt a Carla Lonzi, dalla dea bambina Kumari alla scrittrice Anna Maria Ortese, da Chiara di Assisi alla sindaca di Orsiglia Graziella Borsatti, l’autrice convoca i testimoni di questa «democrazia senza rappresentanza» capace di dare luogo a un economia non vincolata all’assillo dell’utilee del profittoea una vita politica non preoccupata di unificare le differenze quanto piuttosto di esaltarle. Ne scaturisce un libro che può essere un contributo importante nell’attuale dibattito politico impegnato a ripensare le ragioni della nostra vita insieme.

Il testo di Lucrezia Lerro ci offre invece un’altra visione del femminile che completa, come in un contrappunto tragico, il libro della Buttarelli: dalle sovrane alle puttane. Si tratta di un romanzo scritto con il consueto stile asciutto e ricco di una poesia che scaturisce dall’attenzione al dettaglio delle cose e al peso delle parole. Ambientato in un claustrofobico paesino del profondo Sud nel corso degli anni Ottanta, dove domina il fantasma maschilista che vuole le donne «tutte puttane», ritrae le ambizioni di giovani donne dalle condizioni sociali umili, esposte ai miti consumistici di quegli anni, prive di prospettive se non quelle di farsi sposare da qualche soldato della vicina postazione militare della Nato o dai giovani più benestanti del paese.

Tuttavia questa rincorsa alla propria sistemazione che sfiora il cinismo più disperato e l’abbrutimento di sé, cela il vero tema del libro che è quello del fallimento dell’eredità. È il destino afflitto e sconfitto delle madri e dei padri a non trasmettere nulla alle loro figlie. Le sovrane lasciano qui il posto al loro rovescio: all’apatia e alla distruzione di sé. Schiacciate dall’arroganza e dall’ignoranza machista queste madri sembrano plasmarsi sul fantasma che le umilia. Lerro entra con grande sensibilità nelle pieghe del rapporto devastante tra madre e figlia. È la rassegnazione delle madri a non permettere la trasmissione del sentimento della vita e del desiderio. Tutto appare come un grande e spettrale aborto: la vita appassita trasmette morte senza vita. Com’è possibile per una figlia non replicare l’infelicità materna? Non lasciarsi contagiare dall’apatia e dalla tendenza alla flagellazione? Non credere che la sola cosa che conti in una donna sia «farsi sposare»? Nella dedica, come un gesto liberatorio, si legge: «A mia madre che non mi ha impedito di partire». Essa ci rivela il dono più grande della genitorialità: sapere perdere i propri figli, saper stare dalla parte dei loro sogni.


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