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PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO E DELLA SUA TEOLOGIA "MAMMONICA" (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006).

"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE. Un saggio di Federico La Sala

LO SPIRITO CRITICO E L’AMORE CONOSCITIVO. MARX, IL "LAVORO - IN GENERALE", E IL "RAPPORTO SOCIALE DI PRODUZIONE - IN GENERALE".
giovedì 14 marzo 2024
"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. Relazioni chiasmatiche e civiltà. Lettera da ‘Johannesburg’ a Primo Moroni (in memoriam)
(PER LEGGERE il saggio, aprire il pdf, vedi anche allegato, in fondo.
HEGEL E L’AUTOCOSCIENZA - DALLA RELAZIONE DIALETTICA AL DIALOGO: "L’autocoscienza attraversa nella sua formazione o movimento questi tre stadi: 1. quello del desiderio [Begierde], in quanto rivolto ad altre cose; 2. quello della relazione signoria-servitù, nella misura in cui l’autocoscienza si rivolge ad (...)

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> RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE. --- "Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima". Intervista con Naomi Klein (di Alessia Rastelli).

mercoledì 2 ottobre 2019

La terra brucia - intervista con Naomi Klein

di Alessia Rastelli (Corriere della Sera, "La Lettura" 15.09.2019)

      • Il 19 settembre uscirà per Feltrinelli Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima l’ultimo libro di Naomi Klein.

      • «La Terra brucia e non possiamo spegnere l’incendio con una pistola ad acqua. Dobbiamo agire in fretta con un piano globale, radicale. Già i prossimi undici anni saranno decisivi». Naomi Klein, l’attivista canadese che nel 2000 scrisse No Logo - il saggio nel quale denunciava lo strapotere delle multinazionali, divenuto manifesto del movimento no global - è impegnata da almeno un quindicennio a combattere la crisi ambientale e a sostenere la sua correlazione con il sistema economico.
        -  A «la Lettura» parla in occasione dell’uscita del nuovo libro, Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima (Feltrinelli). Per spegnere l’incendio, scrive, è necessaria «una guerra a tutto campo», non solo all’inquinamento ma anche «alla povertà e al razzismo e al colonialismo e alla disperazione, tutto d’un colpo». Un Green New Deal, un piano verde che smantelli «un sistema economico basato sul consumo illimitato e sullo sfruttamento di individui e natura», contando sulla spinta dei movimenti dal basso e di una nuova generazione di politici.

Perché i prossimi undici anni saranno già determinanti?

«Non lo dico io ma un rapporto del 2018 del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, l’Ipcc. Il 2030 è l’anno limite per tagliare la metà delle emissioni mondiali, poi si dovrà eliminarle del tutto entro il 2050. Solo così possiamo sperare di mantenere l’aumento del riscaldamento globale rispetto all’era pre-industriale sotto gli 1,5 °C. Abbiamo già riscaldato la Terra di un grado e questo ha portato l’Amazzonia al punto di non ritorno, ha provocato lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico e la morte della Grande barriera corallina, un cimitero subacqueo. Il pianeta è al collasso. Non possiamo andare oltre».

Come spiega allora l’atteggiamento negazionista di alcuni leader come Donald Trump e Jair Bolsonaro?

«Penso che in realtà credano nella scienza. Ma che si sentano al sicuro: confidano che il denaro li tutelerà dal cambiamento climatico. Inoltre sono imbevuti di una visione del mondo nella quale potere e ricchezza, soprattutto maschili, controllano il pianeta e la maggior parte dei suoi abitanti. La battaglia per il pianeta richiede un enorme investimento nella sfera pubblica e il divieto per le aziende di fare ciò che vogliono, che si tratti delle società di combustibili fossili a Houston, in Texas, o degli allevatori di bestiame in Brasile. Gruppi ai quali, invece, i due presidenti hanno fatto promesse. Ecco perché licenziano gli studiosi e chiudono i dipartimenti dedicati alla crisi ambientale: la lotta per la Terra non può coesistere con la loro visione del mondo. Ancora più inquietante è vedere leader progressisti che predicano l’ambientalismo e agiscono al contrario».

A chi si riferisce?

«Emmanuel Macron in Francia e il premier canadese Justin Trudeau, ad esempio, hanno criticato Bolsonaro sull’Amazzonia ma ricoprono di sovvenzioni i giganti degli idrocarburi. Il problema è che la crisi climatica pone una profonda sfida al progetto economico neoliberista. Così come al culto del “centrismo”, incarnato da Trudeau e da molti leader europei ed esponenti democratici americani. “Siamo la via di mezzo tra gli estremismi, non facciamo nulla di troppo veloce e radicale”, rassicurano. Ma di fronte all’emergenza la risposta deve essere radicale. In linea, piuttosto, con il Green New Deal proposto negli Stati Uniti da Bernie Sanders, tra i candidati democratici alle primarie: investimenti per oltre 16 mila miliardi di dollari che servirebbero tra l’altro per le energie rinnovabili e per trasformare l’agricoltura, creando anche nuovi posti di lavoro».

In che cosa consiste esattamente il Green New Deal che lei stessa sostiene?

«La definizione s’ispira al New Deal di Franklin Delano Roosevelt, al suo imponente pacchetto di misure per uscire dalla crisi del 1929. Del Green New Deal esistono però diverse versioni, sia in Europa sia negli Stati Uniti, dove appunto i vari candidati democratici stanno elaborando le proprie. E già nel 2009 all’Onu la negoziatrice boliviana Angélica Navarro Llanos usò un altro paragone storico quando chiese “un Piano Marshall per la Terra”. L’idea sottesa a tutte queste iniziative è un programma mondiale che affronti l’emergenza climatica e la povertà allo stesso tempo, che cambi il sistema economico per combattere tutte le diseguaglianze, incluse quelle razziali e di genere. Le crisi planetarie, di tipo finanziario, umanitario, sociale, ecologico, sono interrelate e vanno affrontate in modo olistico. Il capitalismo moderno, fondato sul consumo illimitato, nacque d’altra parte già con gli africani strappati alla loro terra e con gli espropri alle popolazioni indigene: gli stessi individui divennero materia prima da sfruttare, così come le foreste, i fiumi, gli animali. Le fiamme dell’Amazzonia ci mostrano tuttavia che siamo interconnessi e vulnerabili. Un punto che uomini-bambini come Trump e Bolsonaro faticano forse ad accettare».

Quali provvedimenti andrebbero presi nel nuovo corso verde?

«Negli ultimi tre decenni, cioè da quando hanno iniziato a incontrarsi con gli scienziati per discutere la riduzione delle emissioni, i governi sono stati condizionati dal neoliberismo. Le rinnovabili sono finite nelle mani di società private, con l’effetto di aumentare i costi dell’energia per la classe operaia mentre scendevano le tasse per i milionari. Rispetto al passato, il Green New Deal dice chiaramente che la nostra economia non aiuta la maggioranza dei cittadini, che dobbiamo creare occupazione e migliorare i servizi e che dobbiamo farlo riducendo drasticamente le emissioni e creando milioni di posti di lavoro “verdi”. Potremmo ad esempio finanziare del tutto l’assistenza sanitaria e fare in modo che si realizzi con basse emissioni».

Per i critici è una linea utopistica, che comporterebbe una spesa pubblica insostenibile.

«Va ridefinito il concetto stesso di ciò che è possibile. Certo si tratta di una trasformazione difficile, ma è l’unica opportunità di abitare il futuro. E definirà anche il modo in cui lo abiteremo. Il clima, ad esempio, è - e diventerà sempre più - una delle cause della migrazione di massa, che a sua volta viene usata dalla destra xenofoba per aumentare i consensi. Dunque sì, siamo di fronte a una sfida difficile, ma l’alternativa è terrificante. Il neoliberismo ci ha abituato all’idea che il cambiamento collettivo non sia possibile, ci ha imprigionato nell’eredità di Margaret Thatcher. Ma la storia ci viene appunto in soccorso: la mobilitazione durante e dopo la Seconda guerra mondiale, quando cambiarono la produzione nelle fabbriche, la coltivazione del cibo, le politiche degli aiuti, così come l’esperienza del New Deal, testimoniano che si può cambiare, e in fretta».

Naomi Klein nel 2000 interpretò le aspirazioni del movimento no global. Ora condivide con «la Lettura» i temi del suo impegno, affidati al nuovo libro: una rivoluzione verde, un «Green New Deal» tanto ambizioso quanto ineludibile.

«Abbiamo bisogno di leader e l’Europa non ha saputo darceli. Trump e Bolsonaro sono come dei bambini, Macron e Trudeau si dicono ambientalisti ma fanno il contrario. Non bisogna lasciare soli i ragazzi, si deve scioperare ovunque. Utopia? No, va ridefinito quel che è possibile»

Se abbiamo undici anni per dimezzare le emissioni, quanto le presidenziali americane del 2020 saranno cruciali anche per il futuro del pianeta?

«Saranno decisive. Ecco perché mi sono trasferita per tre anni negli Stati Uniti. Resterò fino al 2020 perché voglio fare il possibile per non far vincere Trump. Sono figlia di americani, potrò votare».

Chi è il suo candidato?

«La prima scelta è Bernie Sanders perché il suo Green New Deal è appunto il più ambizioso. Prevede anche di aiutare i Paesi in via di sviluppo a convertirsi all’energia verde e a combattere il cambiamento climatico, il che è pure un modo per non costringere a migrare chi non lo vorrebbe. Il contrario di Trump, che ha tagliato milioni di dollari in fondi all’America Centrale, inclusi quelli ai contadini colpiti dalla siccità. Anche Elizabeth Warren ha un piano verde, in ogni caso chiunque vinca le primarie democratiche va sostenuto. Incluso Joe Biden, pure lui un neoliberista del quale non sono una fan, ma che aiuterei comunque, sperando che poi un forte movimento dal basso lo spinga al Green New Deal».

Lei ha fiducia nei movimenti dal basso. Possono davvero cambiare le cose?

«Devono trovare un’espressione politica. Negli Stati Uniti c’è una donna, la più giovane mai eletta al Congresso, Alexandria Ocasio-Cortez: nata nel 1989, l’anno scorso ha preso le idee dei giovani nelle strade e le ha trasformate in una proposta di legge per un Green New Deal. Oggi quelle idee sono entrate nella maggioranza dei programmi dei candidati alle primarie democratiche. Il cambiamento può avvenire in fretta se c’è una vera leadership. Ocasio-Cortez non può partecipare alle presidenziali, servono 35 anni, ma ha rifiutato di seguire la linea del partito e ha ridisegnato la mappa politica a una velocità incredibile. Il cambiamento, inoltre, avviene pure a livello locale: le città possano fare da modello».

Oggi l’emergenza ambientale riempie le piazze. Effetto Greta Thunberg?

«Il principale motivo è che il mondo è in fiamme. L’Italia ha ospitato alcune tra le proteste più partecipate. Il prossimo passo è non lasciare soli i ragazzi, scioperare in fabbrica, nei porti, nei municipi».

L’Europa può giocare un ruolo nella lotta per il pianeta?

«Abbiamo bisogno della leadership dell’Europa, deve fare da modello, ma finora non è accaduto. Il vostro ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, incarnava piuttosto quella che io chiamo “barbarie climatica”: le ideologie tossiche che si scatenano a seguito dei flussi migratori, dovuti come abbiamo detto anche al clima. Di fronte a questo, Salvini e altre forze di destra pensano solo al proprio Paese e lasciano morire i più deboli. È ciò che accade nel Mediterraneo e lo stesso Trump si è ispirato a Salvini. Non credo che questa politica rispecchi il sentire della maggioranza degli italiani. Il vostro Paese ha bisogno della sua rivoluzione politica, del suo Bernie Sanders».

Nel libro lei riconosce il coraggio di Papa Francesco nel «rinfacciare ai governi l’indifferenza ecologica» ma non nasconde una certa delusione.

«Ho grande rispetto per il Pontefice, in ambiti come clima e migranti è l’unico leader globale. Ma il Vaticano non ha dato finora una risposta forte sugli abusi sessuali. La profonda crisi del nostro tempo va affrontata su tutti fronti».

A quasi vent’anni da «No Logo» la destra si è appropriata della critica alla globalizzazione. Che cosa è successo?

«In Europa e Nord America quel movimento ha iniziato a crollare dopo l’11 settembre, mentre l’agenda contro cui protestavamo è andata avanti. Anzi, la crisi finanziaria ha compromesso ancora di più la sicurezza economica. Il punto non è che le nostre idee vengano usate dalla destra, ma che il centrosinistra non abbia saputo dare risposte. Si è creato un vuoto e lì si è inserita la destra».

La Rete è utile nella battaglia per la Terra?

«Perdiamo tempo prezioso a guardare i social, eccellenti per trovarsi rapidamente ma pessimi per capire che cosa fare dopo. I giovani che scioperano li usano ma poi fanno bene a vedersi faccia a faccia, a radunare i loro corpi. Meglio cercare un meccanismo democratico per prendere decisioni insieme che usare algoritmi programmati per scatenare invidia e rabbia. La crisi climatica smaschera ancora di più la crisi tecnologica».

Se tutto è in crisi, c’è speranza?

«Si conquista con il lavoro. Bisogna meritarsela. E tutti dobbiamo impegnarci, perché la posta in gioco è altissima».


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