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CASO CONSULTA. PRESIDENTE NAPOLITANO, IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI. Un invito e un appello a fare luce ...

CARO SILVIO ... UN GIUDICE DELLA CORTE COSTITUZIONALE, LUIGI MAZZELLA, SCRIVE AL PRESIDENTE E GRIDA ... "FORZA ITALIA"!!! Il testo integrale della lettera - a cura di Federico La Sala

Caso Consulta, lite Di Pietro-Bondi. Scontro in Aula alla Camera sulla cena tra il Cavaliere, Alfano e due giudici.
mercoledì 1 luglio 2009 di Federico La Sala
[...] Caro Silvio, a parte il fatto che non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l’ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali, mi sembra doveroso dirti per correttezza che la prassi delle cene con persone di riguardo in casa di persone perbene non è stata certo inaugurata da me [...]
O CHE "BEL" NATALE: E CHE "BUON" ANNO !!! IL PRESIDENTE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’" GIA’ PREPARA LO (...)

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> CARO SILVIO ... UN GIUDICE DELLA CORTE COSTITUZIONALE, LUIGI MAZZELLA, SCRIVE AL PRESIDENTE E GRIDA ... "FORZA ITALIA"!!! ---Relazioni pericolose (di Massimo Villone).

giovedì 2 luglio 2009

Relazioni pericolose

di Massimo Villone (il manifesto, 02.07.2009)

Il fatto. In una sera di maggio si incontrano a cena due giudici costituzionali, il premier, il sottosegretario alla presidenza del consiglio, il ministro della giustizia, i presidenti delle commissioni affari costituzionali di camera e senato. Il luogo è la casa di uno dei giudici costituzionali. Si discute, tra l’altro, la prospettiva di una radicale riforma della giustizia, volta a ridisegnare in specie la figura del pubblico ministero, non più magistrato. Nei giorni successivi circola una bozza di riforma costituzionale in tal senso, si dice ispirata da uno dei giudici presenti alla cena. E tra non molto la corte deciderà sul lodo Alfano, che impedisce per la durata del mandato di sottoporre il presidente del consiglio a giudizio, o di proseguire i giudizi in corso. Di tutto, la stampa dà notizia.

Il diritto. Interpellato, il giudice ospitante risponde con parole sprezzanti che in casa sua invita chi gli pare. E comunque un giudice costituzionale incontra politici di ogni calibro e colore. Da ultimo, invia al presidente del consiglio una lettera aperta - come tale rivolta al popolo italiano - in cui ribadisce anzitutto il «diritto umano» di invitarlo a cena, e di vederlo «insieme a persone a me altrettanto care e conversare tutti insieme in tranquilla amicizia». Ovviamente, le notizie di stampa sono «frottole» raccontate a «ignari lettori». Il tutto condito con ampi riferimenti alla libertà e alla democrazia.

Tutti argomenti privi di sostanza.

Partiamo dai fondamentali. La corte costituzionale è il principale organo di garanzia del sistema. Deve essere - e mostrare di essere - assolutamente autonoma e indipendente. Di mestiere, la corte si contrappone al legislatore, quando valuta la conformità a Costituzione di una legge. Se la legge è recente, si contrappone anche alla maggioranza politica del momento. Da qui la necessità che nessuna contiguità ci sia o appaia tra i giudici e chi ha poteri formali o sostanziali nella formazione della legge. Anzitutto, i titolari - come il presidente del consiglio o un ministro - dell’iniziativa legislativa del governo. Ovvero i presidenti di commissione, che sono il braccio armato della maggioranza. Ancor più quando si discute di temi che direttamente toccano i potenti. Ed in specie quando liste bloccate e scelta oligarchica dei parlamentari rendono le assemblee legislative un obbediente parco buoi. Più è asservito il parlamento, più indipendente e autonoma deve essere la corte in difesa della Costituzione. E la notte della Repubblica che viviamo preclude a un custode della Costituzione - come la corte - opinioni e suggerimenti su eventuali e stravolgenti riforme della stessa Costituzione.

Né vale l’argomento che tra giudici e politici il contatto è inevitabile. Altro è se il giudice incontra il politico in una occasione istituzionale, o a casa di amici che hanno invitato entrambi. In tal caso il giudice si trova in una situazione che non ha contribuito a determinare, non avendo in alcun modo scelto i partecipanti. Nulla gli può essere imputato, ad esempio, se incontra il presidente del consiglio a un ricevimento del Quirinale.

Diversamente, nel caso di una cena a casa del giudice. L’argomento «a casa mia invito chi voglio» diventa decisivo. La libertà del domicilio rende la scelta dell’invitato rilevante: si potrebbe decidere di non invitarlo. Dunque si è responsabili della scelta degli invitati. Si risponde di una scelta per qualsiasi motivo inappropriata.

Chi può escludere che siano state scambiate assicurazioni sul futuro voto dei due giudici per il lodo Alfano? Non sfugge a nessuno che solo la sentenza della corte separa Berlusconi dalla ripresa dei processi a suo carico. Né sfugge che già la prima sentenza - quella sul lodo Schifani - non fu particolarmente incisiva sul principio di eguaglianza. Il voto di due giudici potrebbe alla fine determinare una maggioranza, e quindi la decisione della corte.

Stupisce che dell’accaduto si sia parlato - in fondo - poco. Qui non è questione di tregua per il G8. Non di bassa cucina si tratta, ma della salute delle istituzioni. E dov’è la torma di opinionisti e costituzionalisti veri o presunti che di norma intasa carta stampata e talk show? Conformismo e autocensura calano sul paese. Non si considera che l’etica pubblica pone parametri più stringenti di quelli giuridici. Non si vuole vedere che il privato dei potenti ha spesso un rilievo pubblico. E si richiama a sproposito la privacy, dimenticando che in paesi di più solida democrazia rispetto al nostro si ritiene che per le figure pubbliche debba prevalere l’informazione. Leggi in itinere apprestano bavagli per la stampa e la magistratura, quando le cronache dimostrano l’assoluto bisogno del contrario. Alla fine, accade in Italia quel che altrove sarebbe impensabile.

Per questi motivi la cena de qua, e la lettera che ad essa ha dato seguito, sono gravemente lesive del ruolo della corte costituzionale, e pericolose per la Repubblica.


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